Ma qual è il dibattito attuale sul costo della vita?

Salirà ancora il caffè, saliranno i servizi, salirà tutto. Comprese l’indignazione e la paura dei senesi

L’ultima di agosto ho fatto una puntatina in riviera. Tanta gente, ma non quanta mi aspettavo. Comunque non famiglie complete, semmai bambini e chi li accudisce. In città alcuni esercizi non hanno chiuso. Un po’ perché la prima angoscia di ciascun titolare è quella di lavorare per i costi fissi, fra cui anche i tributi. E se uno chiude per ferie, i medesimi corrono lo stesso.

Se si tratta di bar, anche il rito della tazzina, per colazione o dopopranzo, non si consuma più al bancone. Quando alla radio sento che il caffè salirà a 1,50 – da lunedì questo il prezzo a Torino e Milano almeno – , mi fermo per prenderne uno a 1,20. Il grattare il “non detto” dell’amico che me lo serve mi accompagna dentro la sua depressione. Il sentire ancora un servizio dalla “Milano da bere” dove il “giusto prezzo della tazzina”, se di qualità, è… due euro, aumenta il mio risentimento. Dovrei esser mero spettatore, forse sono irragionevole.

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Esercenti che lavorano nella consapevolezza del non farlo per i propri figli. Loro, gli eredi, quella vita non la vogliono fare e neanche si danno il tempo di impararne il senso. Svegliarsi alle tre di notte perché l’ansia di una scelta non è riuscita a trasformarsi in incubo, ma poco c’è mancato. Sorridere quando non se ne ha voglia. Vedersi allontanare da una clientela senza averne neanche vera responsabilità.

E’ l’effetto globale, con ricaduta su Siena, “una città patetica! Una rappresentazione urbana delle miserie in piccolo stile”. La frase non è mia, me l’ha scritta in un diverso contesto un altro amico, da qualche ora. Lui fa bene attenzione a rimanere senese, ma con un piede poggiato altrove. La leggo più volte e decido di lasciarla. Secondo il senso della catarsi, bisogna toccare il fondo per ricominciare a crescere. E Siena mi pare che sia solo a un soffio dal toccare il fondo. Servirebbe però capirlo collettivamente; il sentirsi superiori a chi è comunque di meno, ci distrae.

La fotografia della provincia senese da Expiter.com

Ma come si fa? Chi torna dal mare, ora deve comprare i libri di scuola. E poi altri rincari. Così fan tutti. Ma quanto spazio c’è per i rincari? Da quell’ottobre 2022, micidiale per tutta Italia, la previsione di inflazione è stata corretta nel 2023 da 1,5 a 5,4% e nel primo semestre 2024 ha fatto un ulteriore 1,4%. E tuttavia a Siena abbiamo fatto di meglio – primi in Italia – con un costo annuale a famiglia aumentato di 663 euro.

Ma a distanza di qualche mese qual è il dibattito che si è fatto e si sta facendo a beneficio degli abitanti? E non parlo del solo gruppo consiliare Pd che, ammalato di contemporaneità, ha fatto solo una toccata e fuga… Mi riferisco piuttosto a quel centrodestra di governo che con il populismo ha conquistato le masse e che ora se le ritroverà nelle piazze perché è stato incapace di alleviarne la sofferenza.

Leggiamo da expiter.com, che non è l’Istat ma è un sito che pone il suo target in coloro che intendono spostarsi per lavoro, studio o turismo e che si aggiorna con le varie classifiche nazionali e internazionali (tipo quelle del Sole24Ore), le seguenti semplificazioni: “Lo stipendio medio mensile nella provincia di Siena è di 1810.17€, che è sopra la media italiana. Il costo della vita tuttavia si stima attorno a 1836.29€ al mese per persona singola o 2754.65€ al mese per una famiglia di quattro persone. Il costo per affittare un piccolo appartamento (bilocale o trilocale) in un’area residenziale di città è di circa 1170.46€ al mese. In generale, vivere a Siena è all’incirca 11.28% più costoso rispetto alla media di tutte le città italiane”.

Fatte le dovute addizioni ho appena capito che Siena dovrebbe in teoria essere aldilà delle mie aspirazioni e continuo a chiedermi il perché stante la coscienza che ho del degrado incessante del territorio. Soprattutto quello demografico. Non trovo altra spiegazione che essere un pellerossa che abita in terre ambite da altri.

E di colpo mi viene un’illuminazione. Un tempo esistevano le città che erano a misura di cittadino. In molti casi è ancora così, ma la nostra abbiamo voluto renderla a misura di turista. Già quegli sconosciuti che talvolta soppesiamo in quantità e qualità, ma che non generano ricchezza per tutti, bensì inflazione condivisa.

Capisco che molto del mio sfogo potrebbe esser contraddetto, ma vorrei che più che essere smentito venissi aiutato a capire; vorrei che chi ha deciso di leggerci venisse aiutato a capire prima che il decadimento di usi e costumi non sia irritrattabile. Vorrei che altri parlassero…

L’Università ad esempio… quanti nuovi studenti pensa che potrà accogliere se la fama che diamo a questa città è quella di essere chiusa, esclusiva e cara? E il Comune attuale che tiene tanto ai residenti del centro storico, sa davvero quanti sono e quanto gli contano? E se valgono gli sforzi che sta facendo per preferirli? Eppure, il precedente governo di Centrodestra – suvvia è passato un anno, possiamo dircelo, in pratica stessa gente, stessa roba – aveva capito, per esempio, che Isola valeva molto di più in termini di consenso.

Parliamone; chi avvia la discussione, avrà grandi meriti. Altrimenti, non resterà che fare come i nostri antichi predecessori e come si è fatto da Monteaperti al recentissimo 15 marzo 2020 in pieno Covid: “A te o Vergine Santa, o Madre del Cielo, affidiamo tutta l’umanità, tutta la città, perché possiamo guardare come segno di speranza di una luce che presto si faccia strada e squarci queste nubi nere che ci attanagliano. A Te, Signora, affidiamo le sorti della nostra Gente. E le chiavi dei nostri cuori”.

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