Accoglienza, sì. Ma senza perdere il senso della realtà

Eugenio Neri offre un contributo critico al ragionamento di Ivano Zeppi sui migranti e le loro sfide

Accogliamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Eugenio Neri sul tema pace e migranti, provocato da un testo sulle nostre colonne

Il sogno di un mondo senza frontiere, in cui l’accoglienza sia il fondamento di una società nuova e più giusta, è affascinante. Ed è giusto che continui a ispirare azioni, riflessioni, campagne culturali. Ma se vogliamo davvero costruire ponti e non alimentare muri invisibili, occorre anche uno sguardo lucido sulla complessità del presente.

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Disarmare le frontiere, disarmare i cuori, è un ideale che condivido. Ma non possiamo ignorare che l’Europa, e l’Italia in particolare, stanno attraversando una fase di grave sofferenza sociale: sanità pubblica in difficoltà, lavoro precario, povertà crescente, spazi di welfare sempre più ristretti. In questo contesto, immaginare una migrazione non governata, priva di regole, rischia di essere non solo irrealistico, ma anche profondamente dannoso.

Cattive politiche migratorie, in questi anni, hanno spesso avuto come esito il rafforzarsi della xenofobia e del razzismo, soprattutto negli strati più deboli della popolazione. Dove crescono disagio, paura, precarietà, attecchisce facilmente il veleno della diffidenza e dell’odio. È un meccanismo che non possiamo sottovalutare.

Non si tratta di contrapporre egoismo a solidarietà, né tantomeno di negare il diritto di chi fugge da guerre, persecuzioni o catastrofi: rifugiati e profughi devono essere accolti con dignità, attenzione, umanità. Ma è altrettanto necessario riconoscere che un’accoglienza indiscriminata, in una società già provata da profonde fratture sociali, rischia di provocare ulteriori lacerazioni.

Serve, dunque, una politica migratoria seria, capace di coniugare accoglienza e programmazione. Non basta aprire le porte; bisogna saper costruire percorsi di integrazione reali, sostenibili, equi. Percorsi che non gravino esclusivamente sui quartieri popolari o sulle fasce più vulnerabili della società, ma che coinvolgano tutta la comunità nazionale in modo equilibrato e responsabile.

Inoltre, più ancora del diritto a migrare, sarebbe opportuno difendere e promuovere il diritto a non dover migrare. È un principio che troppo spesso viene dimenticato. Costruire un futuro migliore nei paesi d’origine, investire seriamente nella cooperazione internazionale, lavorare per ridurre le cause profonde della fuga — guerre, povertà, disastri ambientali — è la vera sfida di lungo periodo.

Un’accoglienza generosa ma cieca può sembrare un gesto di grande umanità. Ma se non si accompagna a una strategia lungimirante, rischia di generare nuove ingiustizie, nuove sofferenze, nuove paure. Il rischio è quello di una società che si livella verso il basso, che perde la propria coesione, che diventa sempre più fragile e divisa. Una società “terzomondizzata”, dove il rancore si sostituisce alla solidarietà.

La migrazione è una realtà strutturale del nostro tempo, certo. Ma come ogni realtà complessa, richiede risposte ponderate, non slanci emotivi privi di consapevolezza. Il dovere di accogliere i perseguitati resta sacrosanto. Tuttavia, va accompagnato dal diritto — e dal dovere — di governare i processi migratori in modo razionale, umano, sostenibile.

Se vogliamo davvero costruire un futuro di inclusione, giustizia e pace, non basta abbattere i muri fisici. Bisogna anche tenere in piedi le strutture sociali che rendono possibile la convivenza civile. E questo richiede coraggio, generosità, ma anche realismo.

Eugenio Neri

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