L’esito della guerra in Afghanistan, cui assistiamo in questi giorni, era scritto da tempo. Certo il disastro annunciato avviene in modo ben più traumatico di ogni previsione.
Vent’anni di guerra è difficile considerarli, come all’inizio si era detto, azione di polizia internazionale. Ora si impone una riflessione seria, quantomeno nel campo progressista evitando di derubricarla una volta passata l’emozione e il turbamento di questi giorni.
I temi e le domande che ci si pongono sono tanti e di assoluto rilievo.
L’emirato islamico dell’Afghanistan tornerà a imporre al suo popolo un giogo che viola i diritti umani? Mi riferisco all’obbligo del burka per le donne, al divieto di uscire sole da casa, alla proibizione dell’istruzione alle bambine, all’imposizione dei matrimoni combinati.
In vent’anni di presenza occidentale in quel paese non siamo neanche riusciti a rendere irreversibili questi diritti fondamentali. L’immagine della democrazia e delle nazioni occidentali esce a pezzi, in una fase storica in cui la democrazia in quanto tale è sotto attacco e si è di fronte a sfide epocali come quella del covid, dell’ecologia, di uno sviluppo giusto socialmente e sostenibile.
La credibilità internazionale degli Stati Uniti è compromessa: dopo il voltafaccia e il tradimento dei curdi, ora il disordinato ritiro/fuga dall’Afghanistan. Gli Stati Uniti nel loro stesso interesse dovrebbero smettere di compiere atti unilaterali sullo scenario internazionale: sanzioni, guerre, dietrofront.
Trump un anno fa decise una trattativa con i talebani e il ritiro, senza realmente coinvolgere le nazioni europee e la Nato. Biden si è mosso su questa scia.
Le nazioni europee , Italia compresa, dovrebbero cessare di seguire supinamente: a questo deve servire l’Unione Europea, per questo abbiamo bisogno di una democrazia federale europea, per noi e per il mondo.
A Kabul sono rimaste aperte solo le ambasciate di Russia, Turchia e Cina. La Cina soprattutto sembra assumere un ruolo primario in Afghanistan: il ministro degli esteri cinese ha incontrato una delegazione dei talebani e oggi il quotidiano, voce ufficiale del governo, pubblica un editoriale significativo.
I talebani potranno svolgere un’azione positiva di stabilità e di governo – così è scritto – se impediranno l’affermarsi di tre pericoli, tre demoni: terrorismo, estremismo, separatismo.
Se lo faranno avranno aiuti, ingegneri, contributi per la realizzazione di infrastrutture, per la nascita di imprese e saranno inseriti nella via della seta. In caso contrario la Cina in prima persona chiederà all’ONU di inviare una “forza di pace” nel paese e la Cina stessa chiederà di esserne parte!
Sappiamo bene che la Cina non si preoccuperà, per questa valutazione, sull’andamento dei diritti umani o sul ruolo delle donne, ma dei suoi interessi in Afghanistan e del non sostegno da parte dei talebani alle spinte indipendentiste degli Uiguri, i musulmani cinesi sottoposti spesso a una brutale repressione.
Infine, per concludere, una domanda che a me pare cruciale: siamo di fronte a un doppio fallimento, della politica delle sanzioni e di quella degli interventi militari.
Che fare? Bisogna cessare prima di tutto con le decisioni unilaterali. Sono eticamente ingiuste e politicamente arbitrarie e inefficaci. È necessario riformare e rafforzare l’ONU. La Destra sta facendo di tutto per indebolirlo.
I richiami per comportamenti contrari alla Dichiarazione Universale dei Diritti della Persona, per inadempienze rispetto alle decisioni assunte per il controllo del clima, sui doveri di accoglienza di profughi e immigrati, devono spettare all’ONU.
Sempre l’ONU, in caso di inadempienze che continuino, deve stabilire sanzioni, con l’obbligo di attuarle da parte di tutti. Oggi due terzi delle nazioni non lo fanno e il risultato è che le sanzioni penalizzano i popoli che le praticano e quelli che le subiscono, non i governi che le hanno provocate.
Per ultimo, quando si rendano inevitabili per aggressioni ad altre nazioni o sterminio di minoranze interne etniche, religiose etc, ancora l’ONU può assumere la decisione di interventi di polizia internazionale, ma questi devono essere chiari negli obiettivi e limitati nel tempo.
Non guerre, altrimenti saranno insostenibili per i paesi che vedono i loro soldati andare a combattere e morire senza una ragione che lo giustifichi, e saranno insopportabili e sentiti come invasione e occupazione nei paesi in cui si interviene.
Piuttosto si realizzi una cooperazione internazionale giusta e si uniscano a obiettivi di reciproco interesse economico, finalità condizionanti di sviluppo civile come l’istruzione per bambini e bambine, la sanità, la tutela dell’ambiente, la qualità dell’acqua e degli alloggi.
Proviamo come Sinistra occidentale a elaborare un progetto che guardi al Nord e al Sud del mondo, che traduca in programmi la dignità di ogni persona, il valore delle differenze, il bene comune dell’umanità. Forse siamo ancora in tempo.
(Foto da Arab News – Fb)