Passando per referendum e elezioni regionali. E soprattutto dai cittadini attivi
Le elezioni amministrative del 25 e 26 maggio hanno restituito un’indicazione chiara: quando si presenta unito, il centrosinistra può vincere, anche in città cruciali, anche contro candidati sostenuti direttamente da Giorgia Meloni.
È il caso eclatante di Genova, dove Silvia Salis ha vinto al primo turno, forte di una coalizione ampia che ha messo insieme PD, M5S, Verdi, Sinistra, Italia Viva, Azione e civici. E’ anche il caso di Ravenna e di altre realtà minori dove il “campo largo” ha dimostrato di funzionare elettoralmente.
Non è solo un fatto numerico. È un segnale politico: la destra non è invincibile, e l’unità del centrosinistra, quando è reale e non solo aritmetica, può restituire fiducia a un pezzo di elettorato che si era rifugiato nell’astensione o nel voto di protesta.
Tuttavia, un conto è vincere, un altro è amministrare, governare, ed è qui che la scommessa del campo largo si fa più esigente. Perché le esperienze amministrative costruite su alleanze plurali dovranno dimostrare capacità di coesione, chiarezza nelle scelte, e soprattutto radicamento reale nei bisogni delle comunità. Non basteranno gli slogan di unità: serviranno leadership autorevoli e inclusive, capaci di mediare tra culture politiche diverse, e soprattutto capaci di ascoltare.
Il rischio, altrimenti, è di replicare a livello locale gli stessi limiti che a livello nazionale appaiono evidenti: difficoltà a costruire un programma condiviso, visioni diverse su temi-chiave (giustizia, transizione ecologica, lavoro, politica estera), e una certa autoreferenzialità delle forze politiche, che spesso si parlano più tra loro che con la società.
È qui che entra in gioco il contesto sociale e associativo: se il campo largo vuole essere qualcosa di più di una somma di sigle, deve radicarsi dove si costruisce ogni giorno democrazia reale. Nei comitati per il clima, nelle esperienze di mutualismo, nelle reti civiche e culturali, nel mondo del lavoro e del volontariato. In molti casi, le vittorie alle amministrative sono passate proprio da lì: dove il centrosinistra ha saputo ascoltare e includere, ha trovato legittimità. Dove è rimasto chiuso nei propri recinti, ha perso o ha vinto di misura, senza slancio.
Certo, le relazioni tra le leadership nazionali restano centrali: senza un lavoro paziente di costruzione di fiducia reciproca tra PD, M5S, AVS e alleati non ci sarà campo largo possibile. Ma quel lavoro dovrà essere sostenuto da una spinta che venga dal basso, dai territori, dai sindaci, dai cittadini attivi, da chi non vuole più una politica litigiosa e autoreferenziale ma una politica utile.
Le elezioni regionali, a cominciare da quelle in arrivo, saranno un altro banco di prova. A suo modo anche la tornata referendaria lo sarà se raggiungesse il quorum.
E, prima o poi, lo sarà anche il piano nazionale. Per allora, il campo largo dovrà dimostrare non solo di sapere vincere, ma di sapere decidere, di saper includere, e soprattutto di sapere costruire fiducia, che oggi è il bene più scarso ma più necessario della politica italiana.