Cosa ci dicono davvero i referendum dell’8 e 9 giugno

Senza quorum nessun quesito è valido. Ma il paese non è muto. Oltre 15 milioni di italiani hanno votato. Davvero non è successo nulla?

Cinque quesiti, cinque Sì inequivocabili. Eppure la legge non cambia. L’8 e 9 giugno 2025, milioni di italiani si sono pronunciati su alcune delle questioni più delicate del nostro tempo: i licenziamenti ingiusti, la precarietà, la sicurezza sul lavoro e la cittadinanza per chi vive in Italia da anni.

I numeri sono chiari: il quorum non è stato raggiunto, e dunque i referendum non sono validi. Ma i dati ci dicono molto di più. E meritano di essere letti nel dettaglio. Ho già scritto che i risultati delle urne non sono un algoritmo. https://sienapost.it/global/politica-global/dietro-ogni-voto-una-persona-e-da-li-bisognerebbe-ripartire/.

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La partecipazione si è attestata attorno al 30,58% per tutti i quesiti. Una quota lontana dal 50%+1 necessario per rendere validi i referendum abrogativi. Ma tra chi ha votato, il consenso per l’abrogazione delle norme in vigore è stato netto. Almeno su quattro dei cinque quesiti.

I numeri, uno per uno:

 Quesito 1 – Licenziamenti illegittimi (art. 18)

   * 88,93% di Sì, 11,07% di No.

   * Circa 1,6 milioni di voti No.

   * L’obiettivo era ripristinare la possibilità del reintegro nel posto di lavoro per chi veniva licenziato senza giusta causa.

Quesito 2 – Tetto ai risarcimenti per le PMI

   * 87,54% di Sì, 12,46% di No.

   * Circa 1,8 milioni di voti No.

   * Si proponeva di eliminare il limite massimo di sei mensilità per i risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo.

Quesito 3 – Contratti a termine senza causale

  * 88,98% di Sì, 11,02% di No.

   * Circa 1,6 milioni di voti No.

   * Il quesito chiedeva di tornare all’obbligo di indicare una motivazione specifica per tutti i contratti a termine, anche sotto i 12 mesi.

Quesito 4 – Appalti e responsabilità solidale

   * 87,25% di Sì, 12,75% di No.

   * Circa 1,85 milioni di voti No.

   * Qui si voleva reintrodurre la responsabilità solidale del committente in caso di infortuni gravi o mancata sicurezza sul lavoro.

Quesito 5 – Ridurre a 5 anni di residenza il termine per cittadinanza

   * 65,17% di Sì, 34,83% di No.

   * Circa 5 milioni di voti No.

   * Il quesito affrontava il tema della cittadinanza per gli stranieri residenti regolarmente da almeno 5 anni, riducendo l’attesa rispetto agli attuali 10 anni.

La prima evidenza è che la partecipazione è stata uniforme per tutti i quesiti. Nessuna distinzione: circa il 30,6% ha votato tutto, oppure ha scelto di astenersi completamente. Questo smentisce la narrazione secondo cui vi sarebbero stati quesiti più sentiti e altri meno: i votanti hanno espresso un giudizio articolato, ma compatto. Soltanto il quesito sulla cittadinanza – meno travolgente nei consensi, sostenuto da due elettori su tre – ha raccolto un dato che non può non lasciar pensare.

Se i numeri parlassero da soli, direbbero che c’è una larga minoranza trasversale del Paese – che vota – e che ha detto che serve più giustizia nei luoghi di lavoro, più tutele, meno ricattabilità e più diritti, anche per chi non è nato in Italia.

Eppure nulla cambierà. Il mancato raggiungimento del quorum ha reso questi referendum nulli. Le leggi rimangono quelle che sono.

Certo, da qui a trarre tuttavia precipitosamente – su entrambi i fronti – conseguenze politiche immediate ce ne corre. Prudenza vorrebbe che neppure i Sì – figuriamoci l’intero corpo dei votanti – possano essere automaticamente iscritti a un campo largo di centrosinistra. Contemporaneamente però, considerare il mancato raggiungimento del quorum – solo perché era obiettivo dichiarato delle forze di governo – come un meccanico plebiscito sulla leadership del Paese, sembra un po’ audace. Si rischia di professare il silenzio assenso.

Allora tutti vincenti? È vero che il referendum come strumento di democrazia diretta non è certo nel cuore degli italiani. Del paradosso ho già scritto. Vedremo.

I cittadini continuano a essere distanti dalle urne. Alcuni più di altri. I promotori del referendum qualche corda hanno saputo pizzicarla, ad esempio suscitando qualche interesse su fasce di elettorato giovane. Consiglierei attenzione a parlare di bocciatura politica dei promotori…

È indubbio tuttavia che protagonista sia stata l’astensione. Ma quanti padri e madri ha? Volontà politica contro? Volontà politica per? O forse, più di tutto, una miscela di indifferenza, sfiducia e stanchezza, alimentata talvolta dalla disinformazione?

E soprattutto bisogna considerare che l’astensione, alla lunga – ma anche alla corta – penalizza chi propone cambiamento. Certo non può essere ignorata. Ma assegnarle un ruolo politico può non essere la strada per farsela amica.

In una democrazia che funziona, oltre 10 milioni di persone che dicono Sì non possono semplicemente essere ignorate. Se quei milioni di italiani dichiarano, punto per punto, che il lavoro deve essere più tutelato, che la precarietà va arginata, che la cittadinanza non può essere un miraggio infinito, voltare pagina senza affrontare il tema sarebbe un errore. Questo è un pezzo importante di Paese. Non è minoranza rumorosa. È voce civile.

Che cosa dirà il Parlamento, ora? Che cosa faranno le forze politiche che siedono alla Camera e al Senato? Possibile che non si apra nemmeno un dialogo nel merito? Possibile che nessuno raccolga l’indicazione chiara uscita dalle urne?

Perché se l’unica via possibile per far passare una legge è il Parlamento, allora almeno si discuta lì di ciò che milioni di persone hanno chiesto a voce alta nelle urne. Ciò potrebbe tradursi in proposte di legge, audizioni parlamentari o in un più ampio dibattito pubblico promosso dalle forze politiche stesse.

I cinque referendum dell’8 e 9 giugno non sono passati. Dunque, sono falliti? Ma… Mi piace di più pensare che hanno acceso una luce. Hanno scattato una fotografia. E ora quella fotografia è lì, davanti a noi: mostra un’Italia che vuole più diritti, più tutele, più giustizia.

Tuttavia, è fondamentale non ignorare l’ombra dei milioni di voti “No” sul quesito della cittadinanza. Questa cifra, nettamente superiore a quella dei “No” registrati sugli altri quesiti, pone un interrogativo significativo. Indica una minore compattezza del consenso sul tema e suggerisce che, all’interno della platea di chi ha votato, esistono resistenze e posizioni più complesse o restrittive in merito all’acquisizione della cittadinanza. Questo dato non va liquidato, forse è proprio questo no ad aver fatto lievitare la partecipazione…

Andrà analizzato con attenzione, poiché offre una fotografia più sfumata e complessa delle sensibilità del Paese su un tema così delicato.

Sta a chi governa oggi o governerà domani decidere se guardare questa fotografia o distogliere lo sguardo. Ma ignorarla sarebbe un errore grave. E, nel tempo, anche miope.

Comunque sia il nostro resta – purtroppo – un paese diviso. Per chi vuole, c’è ancora da fare. Zaino in spalla.

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