Eppure la guerra… interrogativi dopo un viaggio in Bosnia Erzegovina

Tra la volontà di mantenere la memoria e la voglia di avere un futuro

Se incontri le persone giuste, visitando la Bosnia Erzegovina, capirai, prima di tutto, che stai visitando una terra dove le tracce della guerra sono ancora presenti e visibili. Se poi hai la possibilità di parlare con chi la storia di quelle terre l’ha vissuta e la vive capirai ancora meglio come le divisioni che portarono al conflitto continuano.

Nel viaggio a cui ho partecipato, organizzato dall’Istituto Storico di Modena, l’incontro è stato con tre persone di assoluta eccezione. Tre accompagnatori per tre città. Tre incontri, tra i luoghi della memoria e la speranza nel futuro.

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A Mostar DarioTerzic; a Sarajevo Azra Nuhefendic; a Srebrenica Irvin Mujčić.

Dario Terzic

Dario Terzic, giornalista e scrittore bosniaco, conduttore radiofonico e corrispondente. Nato a Mostar nel 1965, da studente inizia la sua carriera da giornalista. Scrive per vari giornali e soprattutto per la radio. Durante la guerra lavora come interprete per varie testate europee e poi come collaboratore per Osservatorio sui Balcani e altre realtà. Per un breve periodo dopo la fine della guerra in Bosnia vive a Bologna. Dal 2012 inizia la sua carriera di insegnante universitario.

Azra Nuhefendic

Azra Nuhefendic, giornalista di Sarajevo, dal 1980 al 1992 lavora presso la Radio Televisione di Belgrado. Dal 1995 vive e lavora in Italia, a Trieste, collaborando con varie testate. Ha vinto numerosi premi per i suoi reportage e racconti.

Irvin Mujčić

Irvin Mujčić, nasce a Srebrenica il 5 dicembre 1987, fa parte della generazione sopravvissuti alle campagne di “pulizia etnica” perpetuate dalle milizie serbo-bosniache. Ha cinque anni quando con la madre, la sorella ed il fratello minore, lascia Srebrenica, il 16 aprile 1992, un giorno prima che la città subisse il primo attacco. Oggi, dopo venti anni passati in Italia, ritorno al paese d’origine per far sì che la memoria diventi speranza.

Torniamo alla guerra. Te ne parlano i tanti cimiteri, da quelli enormi, monumentali, a quelli sparsi per i giardini delle città. I luoghi più prossimi dove dare sepoltura ai cadaveri al riparo dei cecchini. Cimiteri, quelli cristiani, a quelli mussulmani a quelli misti, ma non solo.

Nonostante i trent’anni passati le tracce della guerra sono ben visibili nei tanti palazzi colpiti e che ancora dopo tanto tempo attendono una sistemazione e un loro riuso. Simbolo più di ferite ancora aperte piuttosto che un monito per le generazioni successive.

La Bosnia Erzegovina è anche una bella terra con grandi tradizioni di civiltà e tolleranza. Eppure non sono state sufficienti. E, a ben vedere, tutt’ora le guerre degli anni novanta, hanno tutt’altro che una storia condivisa.

Può succedere ad esempio che in un palazzo di Mostar dove restarono uccisi tre giornalisti italiani, l’eccidio sia commemorato da tre lapidi diverse che danno al fatto significato diversi.

Eppure trent’anni non paiono sufficienti per ricostruire, riparare, assorbire, cancellare le loro storie, i loro luoghi della memoria, i luoghi che attendono riconsiderazione e futuro sono ancora lì.

Non che l’orologio si sia fermato. La vita è continuata e continua ma molti troppi lutti aspettano ancora di essere elaborati. Troppe le vittime disperse. Molti i vivi che non riconoscono le città che li hanno visti nascere. Tanti che vorrebbero essere altrove. Nostalgici? Forse semplicemente in cerca di risposte ma anche di domande.

Le guerre non scoppiano, vengono pianificate. Le guerre hanno sempre degli obiettivi semplici: terra, risorse, potere, soldi. Soprattutto il genocidio.

Le guerre hanno bisogno di armi, eserciti per sostenerli e giovani da reclutare e inviare a combatterle. Diciamo la verità, solo chi non vuole vedere non le vede arrivare.
Le guerre ci sono e ci saranno.

Guai a sottovalutare i segnali premonitori. Non basta scuotere spalle e testa. Pensare che non possono accadere a noi. Non basta avere una storia alle spalle di civiltà e coesistenza tra popoli e tra le religioni. Si possono determinare dei crocevia talmente incredibili da divenire dura realtà.


Sì, anche allora, negli anni novanta del secolo scorso, nessuno poteva pensare o credere. E’ la storia della rana bollita. Ma nessuno sembra abbia imparato la storia.

Dai racconti capisci che la guerra ha una sua quotidianità con cui convivere. Le guerre sono sangue continuo. Bombardamenti e cecchini da evitare. Ma anche piccole storie quotidiane di coraggio e resilienza. Perché nella guerra la vita, per quanto sconvolta, continua. Anche se è una variabile indipendente. E ai morti si aggiungono i profughi, gli scomparsi e i suicidi. Tanti i racconti dal cuore dell’Europa.

C’è sempre chi attacca e chi si difende. Fa la differenza. Ma le storie si ripetono. Chissà perché rifiutiamo di imparare le lezioni della storia? Chi allora pensò che quella immane tragedia non potesse accadere nella pacifica e pacificata Europa restò per così dire sorpreso e sbugiardato dalla storia.

Chissà se le tragedie odierne saranno all’insegna dei ricorsi storici oppure avranno spazio tra le eccezioni?

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