Hikikomori è la parola giapponese che indica la persona che sceglie di isolarsi dalla società, generalmente giovani e giovanissimi che si rinchiudono nelle proprie camere trasformandole nel loro mondo.
«Il grande tema del ritiro sociale era già molto cresciuto anche in Italia prima della pandemia. Con la pandemia, il lockdown, chi soffre di questa sindrome è diventato “normale”, cioè ha messo in atto il comportamento che in quel momento era richiesto a tutti, ma in realtà il problema rimane».
Maria Antonietta Gulino, presidente dell’ordine degli psicologi della Toscana, affronta anche la delicata tematica nel corso del convegno “La psicologia nell’emergenza sanitaria: verso una ricostruzione delle relazioni violate”, tenutosi al Santa Maria della Scala.
«In questo caso si parla addirittura di prescrizione del sintomo – aggiunge il vice presidente Simone Mangini – cioè, quella che prima era una evidente difficoltà, ci ha permesso di essere buoni cittadini durante il lock down. In realtà il sintomo è stato rafforzato proprio dal fatto di essere considerato positivo, e questo rappresenta un problema. Oggi è diventato difficile far venire le persone in studio, sono molti gli adolescenti che non riescono più ad uscire di casa. In questo frangente è enorme il rischio che si crei una cristallizzazione di un comportamento disfunzionale».
«Intercettare i bisogni dei giovani è fondamentale – interviene Gulino – ma occorre anche aiutare i contesti a farlo, cioè le famiglie, dove purtroppo però si è sempre impegnati e di corsa. Non è facile parlare con un adolescente. Non si può essere insistenti, per esempio. Bisogna quindi insegnare a genitori e insegnanti a relazionarsi nel modo giusto con i più giovani».
Un altro strascico importante della pandemia è quella delle persone che sono state colpite dal virus e che ora soffrono di quello che viene definito long Covid e quella di chi ha subito lutti importanti.
«In entrambi i casi la riabilitazione psicologica è fondamentale – precisa Gulino -, anche chi soffre ancora per gli effetti della malattia è una persona, con un corpo ma anche degli aspetti psicologici. Coloro che sono stati colpiti dal virus rimangono legati alla paura della malattia. La notte non riescono a dormire a causa del ricorso del tempo trascorso in terapia intensiva. Inoltre il Covid c’è ancora, non è stato debellato. Quindi c’è la paura che ritorni e che ci colpisca ancora una volta». «C’è poi chi ha perso un compagno, una compagna, altri parenti – aggiunge Gulino -. Se sei un sopravvissuto ti rimane dentro un’ombra che porta alla depressione. È un trauma da superare. Ritengo che sia giusto utilizzare una parte delle risorse economiche per aiutare chi ha subito la violazione del Covid, un virus che, come abbiamo visto, devasta corpo e mente. È giusto anche studiare progetti in tal senso, anche per i familiari. Molti non riescono a farsene una ragione. Magari hanno perso un affetto l’anno scorso, quando ancora non c’era il vaccino e non si danno pace pensando che se fosse successo dopo, la persona si sarebbe potuta salvare. Le malattie e le morti in situazioni dovute al caso lasciano un peso non indifferente».
Una studentessa chiede se sia possibile ritornare alla quotidianità antecedente il Covid o se dovremo trovare una nuova quotidianità.
Maria Antonietta Gulino (presidente Ordine): «Il tempo non torna mai indietro e nemmeno vorrei che lo facesse. Vorrei invece intercettare i disagi e risolverli. Spero che questo possa portare a una nuova normalità».
Simone Mangini (vice presidente Ordine): «Il passato non si cambia, il futuro non si può prevedere. Ma possiamo cercare di non perdere quello che di buono abbiamo trovato. Il segreto è nell’integrazione fra i benefici e i problemi».
Rossella Capecchi (segretario Ordine): «In ogni caso sarà un’esperienza, con crisi o no, che ognuno si porterà dentro e che, una volta elaborata, porterà ad un nuovo modo di stare insieme. È quello che viene chiamato resilienza».
Eleonora Ceccarelli (tesoriera Ordine): «Vorrei concludere con una frase di Gianni Rodari che diceva, se avessi un negozio di una sola cosa venderei la speranza».
(L’immagine di copertina è tratta dal sito della Regione Piemonte)