La lingua “parla per noi, ma prima ancora pensa per noi”

Gianni, che piacere, davvero, ci fa ad accettare il nostro invito a divenire un socio-autore della nostra associazione no profit con mission l’editoria. Come ci si indirizza a Lei? Il classico “Onorevole”, un “Dottò” pensando a chi posteggia o un “Presidente” con riferimento alle correnti democratiche che fanno riferimento a Lei? In realtà la domanda è: Lei che ha dato contributi intellettuali così caratterizzanti per la Sinistra come si definisce?

“Forse un apolide, la categoria di chi, perduta un’appartenenza, una cittadinanza, non ne ha ancora recuperata un’altra. Nel caso mio, come di tante e tanti, a smarrirsi è stata un’idea della politica che miscelava in modo spesso originale la scelta di una parte, lo spirito di appartenenza a una comunità e una volontà conseguente di capire il mondo, i suoi processi, le ragioni di una Sinistra spesso in affanno o ritardo, ma non per questo disposta a rinunciare a una propria identità. Ecco, quando quella identità, per molte ragioni, ha iniziato ad appannarsi, lì, precisamente lì, è iniziata una fatica a dirsi, a definirsi; e questo ha reso complicato prendere le misure di cosa eravamo diventati e quale fosse, a quel punto, la parte di società che sceglievamo di rappresentare, promuovere, emancipare. Perché parlare a tutti è sacrosanto, ma devi sempre sapere chi sei anche perché, senza quella consapevolezza, non troverai le parole per farti capire e come diceva quello, “le parole sono importanti” nel senso che la lingua “parla per noi, ma prima ancora pensa per noi”.

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Partiamo dal presente. Una persona che era nota a tutti a Siena – Luana Garzia -: il suo bel ricordo è stato incluso nel filmato dell’Associazione Futura e verrà proiettato all’evento di sabato a San Rocco. Potrebbe dirci qualcosa ancora su di lei, o meglio su come impiegare la sua eredità intellettuale per affrontare il futuro?

“Ho conosciuto Luana quando era poco più che una ragazza, una giovane donna ancora impegnata negli studi e che condivideva la passione per una politica fatta di un impegno a volte persino eccessivo. Ricordo che in quegli anni è capitato anche a me di convincere, a volte imporre, a qualche nostro iscritto convinto di voler lasciare l’università per dedicarsi a tempo pieno al lavoro politico, della follia di quella scelta. Ecco, Luana che di passione ne aveva tanta questo rischio non credo l’abbia corso perché riversava anche nell’impegno, poi lo avrebbe fatto nella sua professione, quel rigore che al fondo era un patrimonio del partito nel quale siamo cresciuti. Era un po’ la capacità, frutto però di una precisa volontà culturale, di far sentire partecipi e protagonisti di una vicenda popolare e collettiva non solo chi entrava nelle istituzioni, ma una rete larga di competenze, saperi, esperienze che riversavano nella politica una ricchezza capace di trasformare anche la militanza in un’organizzazione giovanile in una grande palestra di civismo, se non rischiassi la retorica direi… una palestra di vita”.

Parliamo di lei, mi sono trovato a pensare che nella sua vita, sono caratterizzanti la sua solidità etica e la sua integrità e che hanno contato più i rifiuti – a Renzi, al Partito etc – che le accettazioni. Si ritrova nella descrizione?

“Mah, tutto sommato forse è vero. Non mi considero un leader perché non lo sono mai stato, ma credo di essere tra i più grandi professionisti su piazza nell’arte delle dimissioni e dei rifiuti! Naturalmente col senno di poi so anche che non sempre si è trattato di scelte giuste, ma se mi guardo indietro credo di poter dire che, anche sbagliando, alcune piccole coerenze ho cercato di preservarle e alla fine anche questo è un modo per sentirsi a posto con la propria coscienza”.

Lei è nato in terre giuliane, comprensorio dal quale forse si ha un’idea dell’Europa e della militanza a Sinistra, diverse dalla Toscana che si è proposta con l’Emilia come esempio nazionale. Come guardava e come guarda oggi questi territori dell’Italia centrale dove si è diffusa una crisi identitaria come mai in precedenza?

“Col rispetto che ho sempre avuto. È vero, là dove sono nato io la politica è stata a lungo, troppo a lungo, conflitto violento, scontro e odio tra nazionalismi. In terra giuliana, come la chiama lei, il secondo dopoguerra si è prolungato oltre ogni logica: Trieste è tornata italiana solo nel 1954 e le ferite di quella storia, dalla Risiera, unico campo di sterminio nazista in Italia, alle Foibe hanno impresso impronte indelebili. Per chi come me veniva da quelle radici l’Italia di mezzo, le “rosse” Emilia e Toscana, sono state a lungo un riferimento prossimo al modello. Era la parte di Paese dove la Sinistra, non solo i comunisti, aveva dimostrato nei fatti, nelle scelte, nei risultati, cosa significava il buon governo, la moralità nel gestire il bene pubblico. In quella tradizione c’era anche il senso di una militanza che si spingeva oltre il confine del razionale. So che raccontarlo a un ventenne di ora è difficile, ma lo spirito di appartenenza era un sentimento che poteva sfociare nella perdita del senso critico. Ricordo un episodio fantastico. Erano le elezioni politiche del 1987 e il Pci perdeva voti, non un mare ma neppure pochi, dalle urne del 1979 dopo la coda della solidarietà nazionale. Dopo l’ennesima flessione elettorale il TG2, all’epoca di rigorosa marca craxiana, spedì una troupe a sfrucugliare i volontari di una festa de l’Unità emiliana e alla domanda del giornalista su come reagivano alla sconfitta, l’ennesima, quelli replicavano un tantino imbarazzati finché il microfono non arriva sotto al naso di un vecchio compagno, uno di quelli addetti a cuocere la carne col cappellino rosso in testa e quello come risponde? Dice testuale, “Mo’ abbiamo perso? Mo’ devono esserci stati dei disguidi!”. Un genio! Cioè il partito nostro perdeva voti da dieci anni, più o meno, ma a lui non passava neanche per la testa che potesse esserci un problema politico, di linea e indirizzo. Ecco, quella perdita di senso critico è stato anche il problema che ha ritardato in queste realtà una presa d’atto dei problemi e delle riforme della politica e del modo d’essere e di operare della Sinistra che, invece, avremmo dovuto aggredire per tempo e, non averlo fatto, si è tradotto in alcuni errori e sconfitte dalle quali è più complesso rialzarsi”.

Vannino Chiti, già suo compagno di partito, che ha iniziato da qualche mese a scrivere per SienaPost ci ripete ogni volta che la Sinistra deve ripartire dai valori della Pace, della fratellanza, dei principi fondamentali. Conviene sul punto?

“Sì, quella che denuncia Vannino è una rimozione colpevole che ci interroga sul terreno accennato sopra, quello della nostra identità. Non possiamo commuoverci per la tragedia delle donne afghane e poi tacere sul campo di Lesbo, isola greca dove l’Unione Europea ha aperto da anni il più grande hub di concentramento di profughi in attesa di avanzare la richiesta di asilo. Non possiamo piangere Giulio Regeni o indignarci per il processo a Patrick Zaki e poi commerciare in fregate militari e sistemi d’arma col regime egiziano. Non possiamo commuoverci per i corpi sepolti in fondo al Mediterraneo e poi rinnovare gli accordi con quella Guarda Costiera libica che non applica metodi e codici della marina britannica, ma riporta persone già segnate da violenze e torture in quei campi di detenzione dove subiranno altre violenze e torture. Questi sono esempi di cosa implichi oggi ricostruire una tensione etica e morale, oltre che politica, tra i principi che si enunciano e la loro traduzione concreta. I libri, le riflessioni, di Vannino ci aiutano a recuperare una bussola su tutto ciò e di questo dobbiamo essergli grati”.

Una breve anticipazione per concludere. Lei ha un profilo su Fb cui affida testimonianze e riflessioni importanti, oltre a ciò twitta e affida anche a testate prestigiose i suoi pensieri. Quali testimonianze in futuro pensa di affidare alla nostra piccola testata che ha fatto proprio il leit-motiv di portare il territorio a discutere senza la paura di chi ascolta e legge che riteniamo un male grave e contemporaneo?

“Uso Facebook perché lì si è creata una sorta di piccola community che discute, esprime anche opinioni diverse, ma quasi sempre in un clima di rispetto reciproco e questo per me conta moltissimo. Non amo twitter perché sono insofferente all’obbligo della brevità. Quanto ai temi, lascio che sia la cronaca, e nei limiti del ragionevole, la storia, a dettarceli. L’invito che rivolgo a me stesso, e a chi posso, è di non dipendere dall’agenzia di giornata, ma provare sempre a osservare le cose con uno sguardo che sappia scollinare almeno il weekend”.

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