Le emozioni di domenica 1 agosto rimarranno indelebili nelle menti di tutti quelli che hanno urlato di gioia per le medaglie d’oro di Gianmarco “Gimbo” Tamberi nel salto in alto e Marcel Jacob nei cento metri.
Senza nulla togliere al velocista olimpico che ha compiuto un’impresa memorabile (basti pensare che mai nessun italiano aveva primeggiato nei 100), il capolavoro di Gimbo merita un’attenzione in più perché frutto di un percorso che deve essere portato come esempio non solo nello sport, ma nella vita.
Nel luglio del 2016 si infrange il suo sogno più grande. Durante il meeting “Herculis” di Monaco l’atleta azzurro, al momento dello stacco, cade rovinosamente nel tentativo di saltare 2.41 e dice addio alle Olimpiadi di Rio. L’esito degli esami è impietoso: lesione del legamento della caviglia sinistra. Un infortunio che gli costerà la partecipazione ai Giochi. Un vero e proprio macigno, caduto in testa poco dopo la gioia di aver stabilito il record italiano di 2,39.
Piangere però non serve a niente e la scritta sul gesso che lo ha accompagnato fino a Tokyo ne è la dimostrazione “Road to Tokyo 2020”. Che ci sia stato da attendere un anno in più per il rinvio dei Giochi a causa della pandemia poco importa perché Gimbo ce la fatta. Ha coronato il suo sogno. È caduto e si è rialzato più forte di prima.
Ed a Siena abbiamo capito subito di che pasta era fatto il ragazzo di Civitanova Marche. Perché Gimbo ha una grande passione, quella per la pallacanestro. È così che nell’estate 2017 viene invitato a vestire la maglia della Mens Sana per la preparazione. Una proposta che accetta senza pensarci troppo e che lo porterà a giocare anche un’amichevole con i colori bianco verdi a Pistoia, nella quale purtroppo si infortuna il suo compagno di squadra Alessandro Cappelletti. Gimbo è il primo a consolare il compagno di squadra. Lui che può capire meglio di tanti altri le lacrime di Cappe. Non lo molla per un attimo. Gli sta vicino e gli dà forza. Lì avevamo già capito, oltre alla stoffa del campione, la grandezza dell’uomo. Ieri ne abbiamo avuto la conferma.
Uno che a Siena lo ha “scortato” per 10 giorni è Riccardo Caliani, attuale Direttore della Sezione Basket della Mens Sana 1871, e nel 2017 Team Manager della prima squadra. “Quando mi dissero che Gimbo sarebbe venuto ad allenarsi con noi feci subito una domanda: Ma l’assicurazione sugli infortuni l’abbiamo fatta? Conoscevo la sua passione per il basket e sapevo che avrebbe dato il massimo per divertirsi con chi a basket giocava meglio di lui. Ma conoscevo anche la storia del suo infortunio e il fatto che un atleta di quel livello decidesse di venire ad allenarsi con noi mi piaceva tantissimo, ma mi spaventava altrettanto. Anche perchè Gimbo è alto, atletico, ma non è esattamente un peso massimo a confronto del giocatore di basket medio…Quando arrivò al palasport vidi scendere dalla macchina lui e la sua ragazza, Chiara. Mi aspettavo uno “special one” ed invece Gimbo lontano dalla pista di atletica è un “normal one”, anche se il suo “personaggio” ha una potenza mediatica incredibile. Educato, sorridente, mi disse che per lui fare una settimana con una squadra di professionisti era un sogno che si avverava. Si inserì subito con gli altri ragazzi e ci divertimmo a vederlo giocare (anche bene), con la nostra maglia sia in allenamento che in partita. Purtroppo il finale della sua storia in biancoverde non fu felice: a Pistoia il ginocchio di Cappelletti fece crack per la terza volta in tre anni…e la felicità di Gimbo svanì di fronte alle lacrime di un ragazzo sfortunato, come lo era stato lui un anno prima. Ricordo bene la sua faccia. Sconcertata. Ricordo come si avvicinò a Cappelletti. Con la voglia di consolarlo, ma con la tristezza di chi in quel momento aveva rivissuto il suo dramma sportivo. Ci salutammo a Pistoia, ma lui non poteva lasciare che l’infortunio di Cappe fosse così rapidamente dimenticato. Scrisse un bellissimo post sui social, ma soprattutto, il giorno dopo l’intervento a Villa Stewart, Gimbo fece visita a Cappelletti in clinica. Un gesto che onestamente mi colpì molto. Perchè si può essere campioni in tanti modi e lui aveva dimostrato di esserlo nel modo più “umano” possibile. Grazie Gimbo!
Ieri a Tokio, una gara ai limiti della perfezione che si sarebbe decisa soltanto con lo spareggio con l’avversario di sempre, il qatariota Mutaz Barshim. Poi è bastato uno sguardo e i due atleti hanno deciso di passare alla storia insieme, perché nessuno dei due si meritava di perdere l’oro, ma entrambi meritavano di mettersi al collo la medaglia, come poi hanno fatto effettivamente l’un l’altro.
Ecco Gianmarco Tamberi deve essere portato come esempio per tutti. È l’esempio di come la tenacia, il sacrificio e l’abnegazione permettano di raggiungere gli obiettivi. Il talento da solo non basta, perché tutto parte dalla testa. Non è sufficiente credere nei sogni se non si ha la caparbietà di realizzarli. E tu, Gimbo, ce l’hai fatta e davanti alle tue lacrime di gioia ed all’abbraccio al tuo compagno Jacob c’è solo da alzarsi in piedi in una standing ovation infinita.