L’imbarazzo di chi ha sempre aiutato Cuba

San Antonio de los Baños fino domenica 11 luglio era un tranquillo sobborgo dell’Avana, noto al mondo solo per la sede della Escuela de Cine fondata e presieduta da Gabriel Garcia Marquez.

Quel giorno, a San Antonio, sono scesi improvvisamente in piazza centinaia di cubani per protestare contro una situazione ormai insostenibile legata alla difficoltà per accaparrarsi generi di prima necessità. Cibo e medicinali sono oggetto di una battaglia quotidiana per non parlare dei celebri “apagones“ ovvero le sospensioni della fornitura di energia elettrica che non consentono né l’utilizzo dei frigo né, nelle estati caldissime cubane, l’uso dei semplici ventilatori.

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Quello che è successo a San Antonio in poche ore si è diffuso in molte città cubane, la gente improvvisamente e quasi in maniera liberatoria si è trovata a gridare per strada quello che sommessamente, fino ad allora, diceva solo all’interno della famiglia e con gli amici più fidati.

Lo slogan più usato che, per la sua efficacia, sembra scelto da un abile addetto al marketing, era “patria y vida“ in contrapposizione a quello ufficiale “patria o muerte“.

Il Governo e i media cubani si sono affrettati a dire che tutto questo è parte di una operazione contro Cuba, organizzata dagli Stati Uniti che avrebbero pagato gli agitatori all’interno dello storico attacco che l’isola subisce dal governo nordamericano.

Per non semplificare dobbiamo però fare un passo indietro e cercare di leggere quello che è successo a Cuba negli ultimi anni. Dal 1959, anno del “trionfo della rivoluzione“ per mezzo secolo anni il suo leader è stato Fidel Castro che ha governato la piccola isola caraibica con determinazione e adattando spesso la politica rivoluzionaria cubana alla situazione internazionale.

Vale la pena ricordare che la rivoluzione cubana nasce come rivoluzione patriottica e Martiana – da Jose Martì, il padre della patria – per liberare Cuba da una dittatura gestita dagli Stati Uniti che consideravano la grande isola caraibica una propria colonia a poche miglia da Miami.

Solo successivamente, alla luce della situazione internazionale ed in piena guerra fredda, Cuba entrò nel blocco sovietico per sopravvivere agli attacchi, anche militari e terroristici, da parte degli USA.

Si narra che nel primo periodo della rivoluzione, l’unico con idee chiaramente comuniste nel governo cubano fosse Che Guevara. Fidel Castro nel 2008 ha lasciato la mano al fratello Raul che nel 2018 ha passato l’incarico di Presidente della Repubblica, segnando sostanzialmente la fine di una prima fase rivoluzionaria.

Raul pur mantenendo saldi i principi dell’economia in stile sovietico ha inserito numerosi cambiamenti. Sotto la presidenza di Raul viene riconosciuta la proprietà privata, vengono incrementate e codificate le attività di piccola impresa e curato incessantemente il miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti di Obama. L’arrivo di Diaz Canel,  il presidente succeduto a Raul ha visto comunque la permanenza di quest’ultimo a segretario del partito comunista cubano, carica sicuramente non meno importante di quella istituzionale.

Diaz Canel si è trovato davanti, oltre all’eredità scomoda di un modello economico sostanzialmente poco funzionante e assolutamente in crisi, prima le pessime relazioni con gli Stati Uniti di Trump poi l’infezione pandemica con la conseguente ulteriore crisi economica dovuta al blocco del turismo, ormai prima risorsa dell’isola, ed anche alla diminuzione delle rimesse dall’estero.

Diaz Canel in ogni caso ha portato a compimento, nel 2019, l’approvazione della nuova Costituzione. L’assemblea Nazionale ha approvato la Carta che formalmente ha legittimato alcune riforme economiche di Raul Castro e posto le basi per il riconoscimento, almeno formale, di alcuni diritti sociali, politici ed economici. Sicuramente la linea, fino ad oggi, di Diaz Canel, in scia con quella di Raul Castro, è stata quella di riconoscere, con estrema gradualità, alcune libertà senza però cedere ad una vera e propria riforma democratica.

In questo quadro fortemente mutato, l’unica cosa ancora anacronisticamente presente è il “bloqueo” ovvero l’embargo che gli Stati Uniti ancora oggi, dopo sessant’anni, mantengono nonostante la fine di tutte quelle motivazioni di politica internazionale allora presenti ed anche in presenza di una pandemia che ha messo in ginocchio economie ben più evolute di quella cubana.

Il blocco economico statunitense, tramite alcune leggi che negli anni sono state di volta in volta inasprite (legge Torricelli, Helms-Burton) anche attraverso la discussa efficacia extraterritoriale, hanno sostanzialmente escluso Cuba dai circuiti economici internazionali, rendendo qualsiasi progetto economico più complesso. Inoltre, il bloqueo, oltre ad essere ingiustificato, crudele e fuori dal tempo risulta spesso il migliore alleato di ogni “conservatore” pronto ad essere usato come alibi per ogni cosa che a Cuba non funziona.

In questa complessa situazione un ruolo di primo piano lo stanno svolgendo le giovani generazioni. I ragazzi che in gran parte sono scesi per strada per protestare non solo chiedendo le cose basilari come il cibo e i medicinali. Queste nuove generazioni che possono finalmente scambiarsi opinioni utilizzando Internet, ormai diventato ampiamente disponibile e che non hanno vissuto l’orgoglioso periodo rivoluzionario, oggi giustamente reclamano oltre ai generi di prima necessità, “una opportunità” di crescita.

A differenza dei loro genitori vivono la consapevolezza che il modello cubano, così com’è, non potrà andare oltre, nel migliore dei casi, alla fornitura di generi primari e memori ancora del “periodo especial” (periodo di crisi estrema dovuto alla fine degli aiuti sovietici) degli anni ’90, sono fortemente scettici sul loro futuro.

In questa situazione il governo ha compreso la pericolosità della protesta cercando di soffocare sul nascere le manifestazioni usando in maniera ingiustificata la mano pesante invece di aprire un dialogo costruttivo con chi manifestava.

Sicuramente quelli che sono scesi per strada non sono mercenari (almeno la stragrande maggioranza) pagati da chissà chi ma persone normali che tutti i giorni passano gran parte del loro tempo a cercare di arrangiarsi. Le persone hanno protestato, non solo nei quartieri più poveri e meno colti, ma cortei numerosi si sono visti anche per le vie centrali della Capitale.

Cuba ha ancora davanti a se un’occasione storica, quella di dimostrare che la rivoluzione è stata davvero una conquista per il popolo e che oggi non è più il momento di riforme “maquillage”, ma di una sostanziale rilettura che, salvando le importanti conquiste della rivoluzione, possa adeguare la politica sociale ed economica agli anni che stiamo vivendo.

La risposta arrivata in questi giorni con una serie di arresti e condanne dei manifestanti non mi pare andare per la strada auspicata. Alcune voci si levano anche da parte di alcuni intellettuali cubani di fama internazionale. In una recente dichiarazione, il celebre scrittore cubano che, ancora oggi vive e scrive all’Avana, Leonardo Padura, ha affermato “la società cubana sta attraversando non solo una lunga crisi economica e sanitaria ma anche una crisi di fiducia ed una perdita di aspettative” ed ancora “voglio essere libero, è mio diritto esprimere la mia opinione sul Paese in cui vivo”.

Questa situazione, mette in forte imbarazzo chi, come me e come le innumerevoli associazioni legate al mondo della Sinistra, in questi anni anche attraverso gesti concreti, ha cercato di aiutare a salvare le importanti conquiste della rivoluzione cubana.

I Cubani, in questi lunghi anni di relazioni, più volte mi hanno sorpreso: un popolo meraviglioso, complesso ed imprevedibile che nella storia, anche recente, ha saputo superare prove difficili. Oggi posso solo essere speranzoso di una nuova positiva ed inaspettata sorpresa.

(Nella foto Claudio Machetti che collabora dal 1992 a diversi progetti di volontariato e cooperazione internazionale in particolare con Cuba di cui è stato anche, per qualche anno,  responsabile delle relazioni tra il paese caraibico e l’associazione Arci. Attualmente collabora con l’associazione di volontariato internazionale “Punto 8” di Siena)

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