Quando la Consulta mette le mani su bilanci pubblici, economia, solidarietà nella tutela della salute
La questione, sollevata dalla Consulta sull’istituto del payback sui dispositivi medici, non è una questione destinata a rimanere solo in punta di principio giuridico-formale, ma ballano sotto questioni di sostanza. Non può essere diversamente se a caldo il presidente Eugenio Giani e l’assessore al diritto alla salute Simone Bezzini dichiarano: “più forti le ragioni della Toscana. Dovremo valutare attentamente le sentenze, ma da un prima lettura la Corte Costituzionale respinge le eccezioni di incostituzionalità mosse contro le disposizioni sul payback”. Per la Toscana, proseguono Giani e Bezzini, “questo si traduce in un consolidamento delle poste che la Regione ha iscritto nel proprio bilancio degli anni passati riferite alle annualità 2015-2018”.
“Per gli anni successivi, dal 2019 al 2024 – concludono – spetta al Governo dare operatività al payback sui dispositivi medici, tenendo conto anche di quanto emerge dalle pronunce odierne”. Dunque è in ballo il bilancio della regione sulla sanità. Tanta roba…
Così come il pronunciamento della Consulta sul payback sanitario sta tenendo col fiato sospeso le imprese del comparto italiano dislocate in vari distretti biomedicali. Un’apprensione che presto si trasferirà ai sindacati dei lavoratori impegnati in diverse crisi aziendali. Considerati che la parola che sta aleggiando è fallimenti!
Vediamo allora che cosa afferma la Corte Costituzionale nelle due sentenze depositate.
Il “payback” sui dispositivi medici “presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art.41 della Costituzione, quanto al periodo 2015-2018”.
Non è irragionevole il fatto che il “payback” “ponga a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà”.
Per la Corte Costituzionale, inoltre, “il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della sentenza n.139”.
Inoltre, la Corte ha osservato che “la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Costituzione per l’imposizione di prestazioni patrimoniali”.
Infine, la sentenza 140 ha precisato “che la disposizione censurata non ha natura retroattiva, in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici”.
Il tema sarà dunque tutt’altro che giuridico si sposterà sui tavoli della politica e si intreccerà con il dibattito sul futuro della sanità pubblica in Italia.