Da principio decorativo a bussola del futuro: perché l’articolo 9 aggiornato può (e deve) cambiare il nostro modo di fare politica, economia e cittadinanza
C’è un articolo della nostra Costituzione che, fino a poco tempo fa, si citava con il tono cerimoniale riservato alle buone intenzioni: l’articolo 9. Cultura, paesaggio, patrimonio storico e artistico. Una triade di valori da manuale scolastico, più evocati che applicati, usati nei discorsi istituzionali ma raramente messi al centro di scelte pubbliche concrete. Poi, nel 2022, qualcosa è cambiato. Quell’articolo è stato modificato. Ed è diventato una bomba a orologeria.
Perché oggi, accanto alla cultura e al paesaggio, l’articolo 9 afferma che “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. E non si ferma lì: introduce anche la tutela degli animali, affidandone i modi e le forme alla legge dello Stato. Non si tratta di un’aggiunta cosmetica. È un cambio di paradigma. O almeno potrebbe esserlo.
La Costituzione italiana, nata dopo la guerra e la dittatura, si è sempre concentrata sulla dignità umana, sul lavoro, sulla libertà. Ma oggi riconosce che la qualità della vita non si gioca solo nei rapporti tra persone, ma anche in quelli con la terra, l’aria, l’acqua, le altre specie viventi. Riconosce che non viviamo soli: viviamo in un ecosistema. E che le decisioni di oggi pesano sul destino di chi verrà dopo di noi.
Se prendessimo sul serio questo articolo, sarebbe tutto diverso.
Non potremmo costruire un’autostrada che sventra una collina per risparmiare otto minuti di tragitto. Non potremmo licenziare un operaio perché si oppone a uno smaltimento illegale di rifiuti. Non potremmo consumare ogni anno ettari di suolo agricolo senza compensazioni reali. Non potremmo più ignorare le voci dei giovani che scendono in piazza chiedendo “giustizia climatica”, perché la Costituzione è ormai dalla loro parte.
Se prendessimo sul serio l’articolo 9, ci accorgeremmo che cultura e ambiente non sono due comparti separati. La cultura è ambiente: è il modo in cui abitiamo il mondo, in cui costruiamo senso, in cui immaginiamo il domani. E l’ambiente è cultura: è la memoria del vivente, la grammatica del paesaggio, il sapere incarnato delle comunità locali.
E se davvero volessimo “tutelare la biodiversità”, non ci limiteremmo a piantare alberi nei parchi urbani. Ci chiederemmo, ad esempio, che fine fanno i piccoli comuni svuotati, le campagne abbandonate, i dialetti che muoiono, le economie circolari cancellate dalla grande distribuzione. Perché anche quella è biodiversità: umana, sociale, culturale.
Certo, un articolo non cambia il mondo da solo. Ma può cambiare il modo in cui guardiamo il mondo. E può darci strumenti per difenderlo, per immaginare un altro modello di sviluppo, per costruire una nuova alleanza tra generazioni.
Perché se c’è un principio rivoluzionario nell’articolo 9 così com’è oggi, è proprio questo: che esiste un diritto al futuro. E che la Repubblica ha il dovere di proteggerlo.