Con Ivano Zeppi viviamo uno strano rapporto. Il nostro essere burberi è sempre superato dall’amicizia, la convinzione di poter essere utili a un rilancio della nostra città con una testata pluralista è condivisa. Lui probabilmente è più di sinistra di quanto lo sia io, ma di recente ci siamo fatti un amico – di destra – che ci equilibra. Vero dottor Paolo? E comunque noi il diritto di replica, integrazione o rettifica lo diamo sempre e comunque a chi è disposto a scrivere di verità con educazione.
Tra le nostre stranezze – sempre Ivano e Duccio – c’è quella che quando qualcuno di noi due fa qualcosa per altri, poi ci viene di parlarci o scriverci sopra. Quello che oggi mi ha offerto Ivano è duro da trascurare e quindi non intendo né farlo, né relegarlo sui soli social. Tra l’altro è un aspetto completamente originale su un argomento su cui in questi giorni si sono spesi fiumi d’inchiostro. Ivano queste cose le conosce bene perché in quegli anni di cui ho parlato lavorava a Roma prima per la Fgci e poi a Botteghe Oscure.
Andiamo per ordine. Un amico reggiano – Andrea Mastrangelo – ha avviato un’esperienza “solo cultura” interessante che si chiama “Io sono Spartaco“, testata giornalistica a tutti gli effetti. Periodicamente mi chiama in causa per farmi scrivere di Sanremo, piuttosto che del Grande Fratello, del nuovo Papa piuttosto che della commedia sexi all’italiana.
Ecco, lo spunto per Ivano è arrivato dalla commedia sexi all’italiana e più propriamente dalla controversa figura di Alvaro Vitali, uno che si sentì sempre comunista ma che il Partito respingeva… Quello che segue è ciò che racconta Ivano e per cui lo ringrazio (dr).
Dopo aver letto l’articolo di Duccio Rugani su Iosonospartaco, “Difficile salvare il cinema sexy”, viene naturale tornare su una figura troppo spesso archiviata con superficialità: Alvaro Vitali.
E viene naturale farlo non con il tono indulgente della nostalgia, ma con il rispetto dovuto a chi, pur militando sinceramente a sinistra, fu escluso dal suo abbraccio culturale.
Alvaro Vitali era un comunista. Lo era davvero. Militante del PCI, partecipava alla Festa dell’Unità, attaccava manifesti, faceva campagna elettorale.
Suo fratello lavorava a Botteghe Oscure. Non era una figurina folcloristica: era parte di quella comunità.
Eppure, da quella sinistra – quella culturale, quella che allora faceva opinione – fu trattato come un corpo estraneo. La sua maschera, quella del popolare, del volgare, del sessualmente esibito ma mai davvero minaccioso, non trovava cittadinanza nei cineforum o nelle pagine dei supplementi culturali.
Quelle pellicole che parlavano al pubblico con la scorrettezza tenera e anarchica del basso venivano derubricate a spazzatura. La commedia sexy all’italiana era considerata un relitto di cattivo gusto, roba da ridere con vergogna, e da dimenticare presto.
Ma chi l’ha deciso? Perché un popolo intero rideva, si riconosceva, partecipava? Perché quei film – sbilenchi, rapidi, spesso tirati via – incassavano quanto e più dei prodotti “seri”?
La risposta, oggi, è dolorosamente chiara: la sinistra italiana, soprattutto quella culturale, ha avuto per decenni un problema con il popolare. Ha voluto rappresentare il popolo, ma non lo ha voluto ascoltare davvero.
Ha parlato a lui, raramente con lui. E quando il popolo rideva con Pierino, la sinistra lo rimproverava. Vitali non ne fece mai un dramma ideologico. Ma in più occasioni raccontò con amarezza che non fu mai invitato ufficialmente a un evento del PCI, che fu ignorato, che la destra – quella stessa destra che oggi strumentalizza la cultura popolare – lo accoglieva con più calore.
Forse è per questo che oggi alcuni tentano una tardiva riabilitazione. Ma attenzione: non servono necrologi agiografici, serve invece una riflessione profonda su come la cultura della sinistra abbia spesso tagliato i ponti con l’immaginario popolare, lasciando campo libero ad altri.
“Difficile salvare il cinema sexy”, titola Rugani. Ma forse è ancora più difficile salvare l’idea di una sinistra che sa ridere, accogliere, comprendere.
Una sinistra che, anziché vergognarsi di Alvaro Vitali, ne riconosca il valore: attoriale, culturale, umano. E che, nel farlo, riconcili un pezzo di Paese con la sua memoria collettiva.
(Nell’immagine Alvaro Vitali, ospite al programma La Confessione di Peter Gomez)