Ricordi di infanzia di un “ragazzo non addomesticato” per la rubrica “andataeritorno”
A volte la semplicità mi sorprende ancora. Più i luoghi sono remoti, più la gente ti si avvicina, ti sorride. Comincio a sospettare che l’accoglienza sia inversamente proporzionale alla “civiltà”.
Tempo fa mi hanno chiesto quale fosse la sensazione più bella quando si è in una terra lontana, in posti remoti. Ho risposto: il calore di un sorriso, una mano agitata che saluta. Tutto si stempera in questi semplici gesti.
Allora rallento il passo, magari mi fermo a guardare la gente che lavora, rivedo strumenti antichi, gesti dimenticati, riaffiorano i ricordi di quando ero bambino.
Ritrovo lo Schiorre che arriccia cartucce sulle scale di casa, Virgilio che tiene le bianche chianine per l’anello del naso, Nilde al forno del pane, sudata, che mi regala un biscotto, la maestra Belli, tutta vestita di nero con la crocchia, perfetta, tenuta insieme da una piccola rete: il solo vederla incuteva rispetto.
Viaggiare è ritrovare sé stessi. Negli altri, forse. Io che sono nato in campagna, ritrovo le mie radici.
Ecco, a proposito di radici, a cinque anni, conobbi l’Asilo Monumento. Chi è di Siena ha negli occhi questo severo edificio accanto al Tribunale. La mamma doveva trasferirsi in città e mi portò lì: andavo “addomesticato”, reso civile, io che correvo nei fossi con Susy, Alessandro e Simona, e andavo a pescare ranocchie con i petali del papavero da avvolgere sopra a un piccolo amo. Ogni mattino, mi sdraiavo davanti al cancello, in una strenua resistenza: posso ancora sentire la ghiaia che mi pigiava sul fianco.
Non ho mai capito bene, e tuttora mi appare alieno come si possa mettere un asilo all’interno di un edificio Eclettico, che mescola gli stilemi ripresi da diversi movimenti architettonici storici. Il risultato: un mausoleo che incuteva terrore.
Negli anni, passandoci dinanzi, ricordo ancora la liberazione, il momento dell’uscita. Salivo su da mia mamma alla piccola scuola dove lavorava, era all’interno del Bastione di San Filippo, nella Fortezza Medicea. Le aule erano all’interno di semplici bungalow di legno verdastri, con il tetto fatto di lastre ondulate. Si chiamava Scuola all’Aperto ed era fatta per i bambini gracili.
Amo tutt’ora quel luogo. Io ero un bambino vivace di campagna e dopo aver corso un bel po’ sulla ghiaia andavo a prendere lezioni di disegno dal maestro Bartalini. Non ricordo più il volto, solo la segaligna figura e l’odore di trementina con cui diluiva i colori ad olio con cui mi faceva pasticciare sulle tele.
Solo oggi ho capito che non mi sono mai arreso, che non sono mai stato completamente addomesticato.