Bomarzo, sempre di mostri si tratta

Il parco che volle “Il Vicino” che alla morte del suo creatore venne lasciato deperire per quattro secoli

Dopo la Villa dei Mostri a Bagheria il nostro viaggio continua con una “arguta conversazione” con il Parco dei Mostri di Bomarzo in provincia di Viterbo, conosciuto anche come Sacro Bosco. Un luogo che sembra pensato per perdersi.

Una sorta di itinerario iniziatico, un viaggio i cui passaggi sono scanditi dalla curiosità di chi vi si reca in cerca di qualcosa. Una metafora della discesa nell’oltretomba in varie tappe che altro non sono che le prove che l’anima deve completare per elevarsi. Un viaggio comunque personalissimo, ispirato dall’attivazione dell’immaginazione che scaturisce dall’entrare in contatto con le stravaganti sculture disseminate nel verde di questo luogo.

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Si tratta di un complesso monumentale dalle infinite interpretazioni e che mette insieme una moltitudine di tradizioni: pagana, magico-esoterica, alchimistica, ermetica. Già il materiale di cui sono realizzati i manufatti è alquanto particolare: massi erratici di origine piroclastica, scagliati centinaia di migliaia di anni prima dall’eruzione di un vulcano.

Fu il signore di Bomarzo, Pierfrancesco Orsini, detto Vicino, a volere la realizzazione di questo giardino delle meraviglie nel 1552. Si dice dedicandolo alla scomparsa moglie Giulia Farnese. Dopo di lui nessuno se ne prese cura rimanendo abbandonato per circa 400 anni, finendo inghiottito dai muschi e dall’oblio. Fu, poi, la famiglia Bettini, che aveva acquistato questo luogo negli anni ’50, a ridargli una nuova vita dedicandosi al suo restauro fino agli anni ’70.

Ma, senza tergiversare oltre, varchiamo le porte di questo luogo misterioso chiedendogli l’onore di una… chiacchierata. Ad accoglierci ci sono due enigmatiche sfingi che subito ci ricordano il senso del cammino che intraprenderemo una volta entrate. Sotto quella di destra c’è scritto: “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte, e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”, intendendo per arte, l’arte alchemica.

Ci voltiamo verso la sfinge posta a sinistra e, dopo averla ringraziata per averci dedicato il tempo del suo risveglio dal silenzio, timidamente chiediamo…

Puoi raccontarci come è nato questo luogo così particolare?

La scultura all’inizio non ci risponde e tuttavia sembra quasi inchinarsi per farci un cenno indicando di inoltrarci nel verde di queste terre che la ospitano insieme agli altri manufatti. Come a dire che qui tutto passa dall’esperienza che scaturisce dall’incontro di noi mortali con l’energia di queste creature di pietra. Lentamente ci addentriamo nel Bosco Sacro. Ed è solo quando i nostri passi si incamminano che la sfinge prende a parlare con toni sommessi e profondi…

BOMARZO, ITALY – 2 JULY 2017 – The sphinx in the Monster Park

“Nessun luogo, nessun paesaggio antropico nasce per caso. C’è sempre una vicenda umana, una storia nella Storia, che ne determina l’esistenza e il significato, eternando la memoria di chi è ormai polvere ma continua a vivere in ciò che lascia. D’altronde, non è la memoria l’unica, reale, possibilità di sopravvivenza riservata a voi umani? È stato così anche per me, Sacro Bosco di Bomarzo, che accolgo ogni anno migliaia di visitatori. In me rivive l’essenza di chi volle la mia esistenza, il nobile Vicino Orsini, e di chi, materialmente, mi progettò, l’architetto Pirro Ligorio, subentrato a Michelangelo, nella realizzazione della Fabbrica di San Pietro. Il paesaggio circostante, di origine vulcanica, è scandito da profonde forre in cui scorrono impetuosi ruscelli. La vegetazione lussureggiante inframezzata da grandi massi, utilizzati già dalle antiche civiltà per la loro duttilità, conferisce a questi luoghi un’atmosfera misteriosamente pagana. Questa è la mia storia e, insieme, quella delle umane vicende che portarono alla mia esistenza”.

Che significa la scritta “Sol per sfogare il cor”, incisa su uno dei pilastri in peperino che si incontra percorrendo questi misteriosi sentieri?

“Potrei dirvi che la ragione del mio essere sembrerebbe racchiusa proprio in questa frase lapidaria. Il cuore senza pace era quello del principe Vicino che mi aveva dedicato, “Prelibato Boschetto”, come lui stesso amava definirmi, alla memoria dell’amore della sua vita, Giulia. Di Vicino ricordo lo sguardo di un nero vivido, ombreggiato da lunghe ciglia, segno di un’intelligenza comune e inquieta, come la sua anima. Nel tempo in cui percorreva i miei sentieri frondosi, soffermandosi, pensoso, di tanto in tanto, presso le sculture gigantesche e bizzarre, ideate dalla sua fervida fantasia, era giunto in quel periodo della vita in cui si anela alla semplice ed immemore quiete dello spirito”.

Parlaci di Vicino, per favore…

Lo chiediamo continuando a camminare. Ora a parlare non è più la sfinge, ma Proteo, detto anche Glauco, mostro antropomorfo che sembra emergere dal terreno…

“Vicino aveva avuto una vita avventurosa, che lo aveva visto cavaliere in Francia e Fiandra. Bomarzo fu il punto d’arrivo dopo aver ricevuto glorie ed onori, una sorta di ritiro volontario dalla scena politica coeva. Il prestigio della sua stirpe fu incrementato dal matrimonio, nel 1545, con Giulia Farnese, nipote del pontefice Paolo III. La coppia visse nel palazzo di famiglia, soprastante me. In una società dove le unioni erano semplici incombenze politiche, Vicino ebbe la fortuna di trovare in Giulia un’anima affine e nacque un sentimento così vero che neanche la morte prematura della donna poté dissolvere. Potrei dire, io Bosco Sacro, di essere nato per amore, ma sarebbe riduttivo. Accanto al ricordo e alla ricerca, attraverso una selva a tratti dantesca, dell’indefinito che da sempre immaginiamo esistere dopo la Morte, sembra di immergersi in un’atmosfera quasi onirica, densa di complessi e criptici richiami culturali”.

I nostri passi si fanno sempre più sicuri dopo la titubanza iniziale ed anche la nostra voce si fa più chiara nel porre la prossima domanda…

Chi realizzò materialmente questo posto magico?

Ora la parola passa a Ercole e Caco, enorme scultura di due giganti in lotta. Fragorosi, l’uno termina la frase iniziata dall’altro.

“Vicino affidò all’insigne Pirro Ligorio, ideatore della suggestiva Villa d’Este a Tivoli, la committenza del “locus amoenus”, che sarei diventato io, e che da molto tempo vagheggiava nelle sue fantasie. Era il 1552. Il sito non fu scelto a caso: grossi massi erratici, di origine vulcanica, emergenti dal terreno, ben si prestavano al progetto. Le sculture sono così armonicamente inserite nel mio contesto naturale da suscitare, nello spettatore, la sensazione di essere immerso in un’atmosfera fiabesca ed irreale, dove Tempo e Spazio diventano concetti relativi, popolati da animali fantastici e figure mitologiche bizzarre. Mi si potrebbe definire un compendio in pietra di cultura rinascimentale: le mie sculture sono un labirinto di citazioni letterarie colte e di simboli di matrice alchemica ed esoterica. Draghi, mostri, sirene, orchi, giganti che lottano sembrano animarsi e destarsi da un sonno muschioso di secoli, dando voce all’irrazionale che è in ognuno di noi. In questo originale viaggio nel “grotesque” e in un contrastante manierismo, non siete mai soli: dalle pietre consunte dal tempo, in un dialogo continuo ed incalzante, sussurra la voce di Vicino, così insinuante da confondersi con il bisbiglio del vento tra le foglie: “Tu ch’entri”, “Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie”.

Ed è davvero così! Attimo dopo attimo il nostro irrazionale sembra acquisire forza in questo luogo e far sentire la sua voce. Continuiamo a camminare e ci troviamo di fronte ad un fiume che sembra formare una piccola cascata in cui spiccano le fauci spalancate e minacciose di un’Orca. Completano il gruppo una grande tartaruga sormontata da una Nike e la pacifica fontana di Pegaso. Ed è proprio la tartaruga gigante a rispondere alla nostra prossima domanda…

Ci sono state persone, fra le tante che hanno varcato le tue porte, che ti sono rimaste impresse?

“Sono davvero un “unicum” nel mio genere: già all’epoca della mia creazione affascinai studiosi e amici della famiglia Orsini; percorse i miei sentieri ombreggiati anche Bernardo Tasso, padre del più celebre Torquato. Bernardo ricorderà Vicino nel suo poema “Amadigi” come glorioso guerriero. Negli anni ‘50 del secolo scorso, giunse, per ammirare la mia singolarità, un personaggio con i sottili baffi all’insù e lo sguardo inquietante, un tal Dalì: era più bizzarro di me!”

Intanto, proseguendo il nostro cammino, ci imbattiamo negli obelischi sormontati da teste di dee e dei. Di fronte il teatro, e vicino il ninfeo che ospita le tre Grazie.  E’ poi la volta della Casa Pendente, eccentrico edificio inclinato, dove, una volta entrate veniamo avvolte da una sensazione di vertigine.  Con l’equilibrio messo a dura prova chiediamo…

Ma quale è il significato nascosto di tutto questo?

Dopo una fragorosa risata, divertita dalla nostra instabilità, è proprio la Casa Pendente a risponderci:

“Molte menti si sono arrovellate nell’interpretazione dei simboli ermetici celati in queste opere che mi rendono così speciale. C’è chi parla di me come di un percorso iniziatico alchemico esoterico e, in effetti, durante il ritiro a Bomarzo, Vicino si immerse con solerzia negli studi. In realtà il perseguimento della carriera militare non fu altro che obbedienza al volere paterno, ma dentro di lui fremeva, mai sopita, l’anima sensibile del poeta. I suoi anni giovanili furono dedicati, con passione, agli studi umanistici. Viaggiò per l’Italia, frequentando salotti letterari e intrecciando amicizie importanti, come, ad esempio, con il cardinale Alessandro Borghese, con Pietro Aretino. Probabilmente incontrò lo stesso Michelangelo. A Venezia conobbe nel suo salotto letterario la poetessa Franceschina Baffo con la quale instaurò un sodalizio non solo intellettuale ma anche sentimentale. Era più di Apollo e Venere che di Marte”.

“Mi è giunta voce – riprende – di un quadro, nella Galleria dell’Accademia di Venezia, un “Ritratto di gentiluomo nel suo studio” del pittore Lorenzo Lotto. Alcuni, hanno voluto riconoscere Vicino, il mio signore, in quel giovane volto emaciato e malinconico: non so se sia lui, non lo ho mai visto, ma il sentimento del momento esistenziale in cui si abbandona la spensieratezza della giovane età e si entra, con passo esitante e tremebondo, sulla soglia dell’età adulta, gli appartiene, così come appartiene, in un comune sentire, a voi umani di ogni tempo e luogo. Nonostante le epiche imprese, la guerra, come detto, non era la sua vocazione. Rimase, sicuramente, colpito dal cruento episodio della distruzione del paese di Montefortino, ordinato da papa Paolo IV, nel 1557. Avvilito, Vicino abbandonò la sua carica e la vita militare, cercando requie e oblio nel suo palazzo di famiglia, a Bomarzo. Oltre che agli amati studi, il suo pensiero fu rivolto alla costruzione dei giardini, vagheggiando un luogo dove ogni pensiero contingente svanisse, condensandosi in un originale universo parallelo, dove a regnare fossero solo amore, allegria e meraviglia. Un luogo progettato e curato in ogni dettaglio, dove anche l’apparente trionfo della Natura, da cui emergono le gigantesche e meravigliose figure, è un effetto voluto”.

All’improvviso ci troviamo di fronte alla scultura simbolo di tutto il parco: lo spaventoso Orco. Oltrepassiamo la sua bocca aperta leggendo percorse da un fremito la sua scritta “ogni pensiero vola”. Denti aguzzi ed occhi famelici ci spalancano ad una cavità interna curiosamente tutt’altro che spaventosa, dove ad accoglierci c’è un tavolino in pietra. Ed è proprio appoggiandoci a questo tavolino che chiediamo all’Orco…

Quali sono secondo te le parole chiave che potrebbero definirti insieme alle altre sculture?

“Al di là dei riferimenti letterari, filosofici ed esoterici indubbiamente presenti, il messaggio chiave di Vicino, per voi ospiti, colti e non, è che nella vita bisogna lottare e non arrendersi. Il giardino, con i suoi mostri, è una metafora del cammino della vita, lungo il quale ognuno di noi si troverà ad affrontare difficoltà, più o meno ardue, “mostri ” che ci faranno provare una paura e uno sgomento tali da farci sentire perduti. Ma voi, pur nella vostra fragilità, possedete una grande risorsa che si chiama resilienza, che potrebbe essere sinonimo di forza della vita, cioè la capacità di cambiare, per adattarsi e superare le prove che ci vengono messe davanti. Come l’acqua delle fontane, disseminate nei giardini, e su cui è incisa la frase “Sii te stesso”, che può cambiare stato pur conservando la sua essenza.”

Continuiamo a camminare incontrando altre mostruose creature come il drago che lotta con delle belve e l’elefante, figure mitologiche, fino ad arrivare a Persefone direttamente dagli inferi per poi finire in un piccolo tempio e in una Rotonda, terrazza circolare in pietra.

E camminando ci chiediamo: cosa ha detto a noi personalmente Bomarzo? Un messaggio che si può riassumere in pochissime parole: nulla è ciò che appare.

Pur essendo noi nient’altro che un refolo di vento passeggero in una giornata di primavera, il gigantesco Orco ci ricorda che ogni pensiero vola, varcando la soglia del Tempo e dello Spazio. La nostra effimera esistenza è in realtà un percorso disseminato di mostri da affrontare, di situazioni che minano le nostre sicurezze tanto da farci sentire le vertigini come la Casa Pendente. Ma ancora il Bosco Sacro ci ricorda che nulla è ciò che appare. Ed anche le fauci terrificanti di un Orco, se troviamo in noi la forza di affrontarle e di varcarle, possono trasformarsi nella soglia che ci introduce in un altro mondo, sereno, fatto di un tavolo e panche di pietra dove banchettare e riposarsi.

Che sia questa la vera realtà o solo il frutto della nostra immaginazione poco importa. In fondo lo scopo ultimo del nostro viaggio in questa vita è forse solo quello di fare esperienze, guardare il mondo da infinite angolazioni diverse, far volare il pensiero nonostante i mostri che incorniciano il nostro cammino; insomma, in una parola, viaggiare.

Olga Giordano e Chiara Bennati

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