Caffè d’Arte, una rubrica che dice la propria 

Troppo spesso percorriamo le vie di una città inconsapevoli del grande patrimonio storico-artistico che ci circonda. Indaffarati per il lavoro, incollati al telefono cellulare, presi da mille pensieri, dimentichiamo la straordinaria ricchezza in cui viviamo e diamo oramai tutto per scontato.

Come se i monumenti, le chiese, le fontane, le belle vedute appartenessero soltanto al nostro presente, ad una dimensione virtuale sradicata da una dialettica storica.

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Siena è una città dal passato millenario, vero e proprio centro nevralgico dell’economia peninsulare prima della terribile peste del 1348, vivace periferia culturale sotto il regime mediceo, tappa immancabile per i grand-tourists tra Sette e Ottocento.

Tutto questo sembra sfuggire all’uomo moderno, ma se pensassimo che quelle stesse strade furono attraversate, un tempo, da intraprendenti banchieri, scaltri politici, potenti prelati, vagabondi, grandi artisti versati nella pittura, scultura e oreficeria, poveri vergognosi, ricchi mercanti, gente comune ma non necessariamente ordinaria, avremmo maggiore contezza di ciò che ci ha preceduto, sviluppando una più attenta sensibilità nei confronti del complesso palinsesto culturale che accoglie, ancora oggi, lo svolgersi delle nostre giornate. Una grande scenografia che non merita di rimanere tale. Altre volte scordiamo, evitiamo o rifiutiamo di netto lo statuto di eredi del patrimonio culturale che le generazioni passate ci hanno trasmesso, un patrimonio di tutti che riguarda tutti, senza alcuna distinzione civile, politica, religiosa.

È la nostra storia, che dobbiamo preservare, studiare, rendere viva, premessa per il presente e faro per il futuro. Ed ecco da quali presupposti deriva il compito dello storico, un impegno sociale ancor prima che accademico.

Nella rubrica dedicata alla storia dell’arte che stiamo per introdurre, dal titolo accattivante di “Caffè d’Arte”, da leggersi in un qualsiasi momento di pausa quotidiano, offriremo alcuni spunti critici su alcune tematiche che non riguardino necessariamente la situazione locale, ma che, con una lente più grande, vadano ad abbracciare anche fatti e figure del panorama italiano, privilegiando l’attualità attraverso una prospettiva sincronica con quanto l’ha precorsa. Inconsapevoli della perdita di coscienza critica che connota la nostra generazione, in cui qualsiasi cosa ci venga posta davanti la si accetta di buon grado, senza interrogarci sulla genesi o stupirci per le eventuali ricadute di certe scelte, indifferenti ai pericoli connaturati all’implacabile sete di “meraviglia incondizionata” della nostra epoca, la “civiltà degli opinionisti opinabili”, che hanno delegittimato e prostituito la serietà scientifica, inaridendo la libertà espressiva, rende inderogabile (come mai prima di adesso) recuperare la nobiltà e la schiettezza del pensiero individuale.

In tal senso, lo studio dell’arte può rappresentare un’opportunità di salvezza, un riscatto dalle imperversanti dinamiche contemporanee, perché l’artista – falso o onesto che sia – dice sempre la propria e da questo presupposto, di conseguenza, ne deriva un valido insegnamento. Per concludere, dopo aver esposto le ragioni più o meno discutibili di questa rubrica, vale sempre la pena ricordare che la storia dell’arte è storia della creatività umana e ancora oggi continua a fare il suo corso.

Autore di questa rubrica sarà Francesco Salerno (nella foto). Diplomatosi al Liceo Classico Angelo Poliziano di Montepulciano nel 2019, Francesco Salerno ha conseguito la laurea in Scienze storiche e dei Beni culturali presso l’Università degli Studi di Siena con una tesi sul pittore Niccolò Betti, raggiungendo il massimo dei voti e la lode.

Appassionato alle vicende storico-artistiche del manierismo fiorentino e senese, attualmente sta frequentando l’ultimo anno della Magistrale di Storia dell’Arte nello stesso ateneo, svolgendo attività di ricerca, divulgazione ed expertise, nonché collaborando con riviste scientifiche.

Tra le pubblicazioni si segnalano, “Gli artisti della Controriforma” su Reveles (2023), “Contributi inediti su Niccolò Betti” negli Annali di Studi Umanistici (2024).

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