Discriminazioni di genere

L’uguaglianza tra i generi è il quinto dei diciassette obiettivi dell’Agenda 2030, definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come strategia “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”.

Affermando che l’edilizia è un mondo dominato dagli uomini non riveliamo nulla che non sia universalmente noto. Non saprei dire se più o meno di altri settori, se gli atteggiamenti di sospetto e condiscendenza siano diffusi anche in altri ambiti, ma certamente in edilizia sono uomini la maggior parte dei tecnici, dei dirigenti delle aziende, degli interlocutori nelle pubbliche amministrazioni, dei committenti, e, soprattutto, delle maestranze. Non sono la totalità, ma sono la maggioranza. 

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In questo scenario, quando tu donna ti presenti ad una riunione, e spesso sei sola circondata da un numero variabile di uomini, ci si aspetta che tu abbia un ruolo secondario: sarai la segretaria di, la collaboratrice di, la moglie di. Se, per una fortunata congiunzione astrale, vieni identificata con il ruolo del tecnico, allora aumentano le probabilità che tu sia un tecnico diplomato, specialmente se sei arrivata in compagnia del collega che è, lui sì, geometra.

Forse ci siamo arresi, con il tempo, all’idea della donna progettista, ma solo se di interni. Una donna, si sa, capisce di colori e di tessuti. Del resto capisce di abbigliamento, non è vero? Una donna in cantiere è però tutta un’altra storia. Che ne capisce una donna di tubi, di fognature, di cementi? Di organizzazione delle maestranze? Di come vada eseguita una lavorazione?

Mentre con alcuni interlocutori si è creato col passare degli anni un rapporto di fiducia reciproca e di intesa, con altri le cose non sono andate altrettanto bene.

Da quando ho iniziato a lavorare ho registrato solo due episodi in cui il lavoratore presente in cantiere si rifiutò di prendere indicazioni da me. Due ditte diverse, due impresari diversi, due committenti diversi, stesso risultato: l’unico dato comune a entrambe le situazioni ero io e il mio essere donna in cantiere. Nel primo caso l’operaio non si vergognò a dirmelo in faccia, sostenendo che non avrebbe svolto il lavoro che gli avevo chiesto perchè il mio ruolo avrebbe dovuto essere rimanere a casa a fare la calzetta. Nel secondo caso, invece, semplicemente si rifiutò di seguire le mie indicazioni: restò ad ascoltare, tranquillamente, ma appena me ne andai fece di testa sua. Non ne fui felice, ma non ne feci un dramma. In entrambi i casi, fallito il tentativo di chiarimento, mi misi in contatto con il loro capo e lo informai che dal giorno successivo avrei atteso un operaio nuovo nel mio cantiere.

Sarò stata donna, e giovane, ma ricoprivo un ruolo e quel ruolo esigeva considerazione.

Poi c’è stato uno che mi ha chiamata “tesoro”: quando ho fatto notare che quello fosse un appellativo da usare in altri contesti con altri interlocutori, e che se proprio dovesse rendersi utile un epiteto avrebbe dovuto usare “architetto” si è offeso. Ha reagito male, cercato scuse, detto che stava scherzando, sostenuto che avessi capito male e stessi solo esagerando. In fondo era solo un modo di dire.

Mai sentito apostrofare in questo modo un collega uomo. Le parole sono importanti e non prive di significato.

Oggi, mentre lavoravo in pausa pranzo, sotto scadenza imminente, con il panino in una mano e il mouse nell’altra, ho ricevuto una telefonata da un’agenzia di marketing che offriva allo studio i propri servigi per permetterci di ottenere una maggiore visibilità. La mia interlocutrice aveva una voce affettata e pareva che avesse imparato le frasi a memoria o che stesse leggendo. Nel suo ritmo serrato non era previsto un tempo per la replica, perciò, sospesa tra lo stupore e la mancanza di interesse, sono rimasta in silenzio ad aspettare la sua mossa successiva. La voce è stata allora colta dal dubbio: “sto parlando con il titolare dello studio?”. Illuminazione parziale: “No, signora” ho risposto “mi dispiace ma il titolare non c’è in questo momento. Se vuole mandare una mail con i dettagli della Vostra proposta, la sottoporrò assolutamente alla sua attenzione”. Non ho avuto bisogno di aggiungere altro: conversazione finita istantaneamente.

A volte passare per la segretaria risulta di grande utilità.

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