Dove Vittorio Alfieri si ispirò per le sue celebri tragedie

Una bella lapide posta quasi a metà di via Pantaneto, sulla sinistra, in direzione del ponte di Romana, ci ricorda che in quel palazzo soggiornò Vittorio Alfieri (Asti, 1749 – Firenze, 1803), ospite del suo migliore amico, il senese Francesco Gori Gandellini, e proprio qui il grande astigiano, come recita la stessa lapide, concepì l’ispirazione per “La congiura de’ Pazzi”, “La Tirannide”, “La Virginia”, “L’Oreste”, “L’Agamennone”. E l’Alfieri, si legge, “dettando a libertà ridestava la Italia futura che redenta lo acclama grandissimo”.

Francesco Gori Gandellini nacque a Siena l’8 maggio 1738 da Giovanni Gori e Maria Vittoria Gandellini. Continuò l’attività del padre, che aveva un avviato commercio della seta. Era uomo di grande cultura e ottime frequentazioni, e morì, a soli 46 anni, a Siena, nel 1784. E’ sepolto nell’oratorio di San Giovanni della contrada del Leocorno, dove la lapide sepolcrale fu dettata dallo stesso Alfieri, che lo aveva conosciuto nel suo secondo viaggio a Siena, nel 1777. Scrive Carlo Milanesi che in quella occasione all’Alfieri “in Siena vennegli fatto di trovare un crocchietto saporito di sei o sette persone dotate di un senno, di un giudizio, gusto e cultura, da non credersi in così picciol paese”. Nell’estate di quel 1777 proprio il Gori Gandellini suggerì a Vittorio Alfieri di trarre dal Machiavelli il tema della tragedia “La congiura de’ Pazzi”.

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La fonte principale per la biografia del Gori Gandellini è l’autobiografia dell’Alfieri, che in una lettera ad altri amici senesi lo definì “amico vero, buono, ingegnoso, disinteressato e caldissimo”, e che in lode all’amico scomparso gli dedicò il dialogo “La virtù sconosciuta” (1786), con pagine che descrivono il clima culturale del tempo.

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