In Piazza del Campo l’effetto delle luci cangianti rasenta il ridicolo
Correva l’anno del Signore 1346, quando l’improvviso sgorgare dell’acqua provocò nella cheta folla radunata in Piazza, un senso di inatteso stupore e un sentimento di spontanea gaiezza. Dopo quel memorabile evento, con quale nome poteva essere chiamata la traboccante sorgiva se non Fonte Gaia? Fu grazie alle poderose opere idrauliche messe a punto per l’occasione – costituite da una fitta rete di canali sotterranei o bottini – che l’acqua potabile riuscì a confluire dalle campagne circostanti dentro il cuore pulsante della città.
Nel 1409 il Comune di Siena commissionò il rifacimento esterno della fontana al grande scultore Jacopo della Quercia, che adoperò come aiutanti due giovani allievi, Francesco di Valdambrino e Ansano di Matteo. I lavori terminarono dieci anni dopo e data l’inusitata bellezza dell’opera, il precursore senese di Michelangelo fu ribattezzato “della fonte”, come ricorda Giorgio Vasari nelle sue Vite. Il monumento fu concepito come un grande bacino marmoreo di foggia rettangolare, circondato da una spessa balaustra istoriata, animata da raffinati altorilievi inseriti entro nicchie architettoniche e da due sculture femminili a tutto tondo, riecheggianti la presunta fondazione romana del centro storico.
A metà Ottocento, a causa dell’estrema duttilità del marmo della Montagnola, oramai irrimediabilmente deteriorato, si optò per la sostituzione integrale dei rilievi con le copie dello scultore Tito Sarrocchi, contraddistinte da un’imperturbabile freddezza. Ciononostante, l’opera di rifacimento condotta dal purista senese risultò piuttosto filologica e quindi attenta alla scansione compositiva del ciclo figurativo, commistione tra il biblico, il mitologico e il moraleggiante. Gli originali furono dapprima ricoverati nel Palazzo Pubblico e successivamente trasferiti negli ambienti dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, dove possono essere ammirati tutt’ora.
Nel febbraio scorso si è concluso l’importante intervento di restauro, condotto con professionalità da maestranze e imprese locali del settore, che ha riservato le giuste cure a una testimonianza dall’indiscusso valore civico. Non sempre lo “sbiancamento alcalino” permette un migliore godimento e studio dell’opera scultorea, naturalmente patinata dalle impalpabili mani dell’Artista-Tempo, che lontano da ogni rigurgito neo-gotico o revival favolesco, può rendere l’aspetto del contesto più accattivante e intensamente autentico. Ma in questo specifico caso la pulitura si configurava come un’operazione alquanto necessaria per migliorare la leggibilità del complesso, brunito dallo smog e dagli agenti atmosferici e per assicurare un corretto mantenimento del decoro urbano.
Tuttavia, la scelta di dotare la fontana di una discutibile illuminazione basamentale – che di notte cambia colore come l’impianto fosforescente di una piscina a Las Vegas – sfigura l’impatto del monumento e modifica la percezione che abbiamo dello stesso, baricentro ideale che domina la conchiglia in laterizio della piazza, abbracciata dalla serrata catena dei palazzi storici e dal prospetto signorile di Palazzo Pubblico, con la svettante torre trecentesca, capolavori sommi del gotico maturo senese.
Ennesimo remake della solita soap-opera invecchiata male, il desiderio insopprimibile di una supposta modernità “american style” sfocia, ancora una volta, nella mancanza di gusto della nostra epoca. A questo punto dovremmo domandarci se sia preferibile una fontana visibilmente coperta da sporcizia, ma dialogante in modo funzionale col passato e il presente quotidiano, oppure il calderone ribollente di Fata Morgana, apparizione miracolistica degna di Trevignano, pozzo per fatture stregonesche e incantesimi palieschi, speditamente instagrammabile per quanto ridicolmente screditabile, sfavillante idolo consegnato alla vista offuscata di coloro che transitano in notturna per le serpeggianti vie della città. Sarebbe stato possibile trovare una soluzione alternativa? Certo che sì, con due semplici faretti a luce calda.
Insomma, seppur riletta in chiave fantasy, Fonte Gaia rimane uno tra i monumenti pubblici più importanti del primo Rinascimento italiano, sebbene ridotta a scenografica quinta teatrale e declassata a mero arredo urbano dall’attuale amministrazione comunale, nel palinsesto culturale di una delle piazze più belle d’Europa.
Francesco Salerno
Desidero ringraziare il caro amico Michael Matar per le fotografie di corredo al testo.