Glifi Antichi ed Emoji Moderni

Dal parlato allo scritto trasportandosi dietro simboli, identità e tradizioni

La trasformazione di una lingua parlata in una scritta ha sempre esercitato su di me un fascino irresistibile, quasi magico. Esplorando culture diverse, dall’Armenia alla Croazia, mi sono imbattuto in antichi alfabeti e simboli misteriosi che hanno acceso la mia curiosità e sollevato domande profonde sull’evoluzione della comunicazione umana. In questo racconto attraverso il tempo, cerco di capire come popoli diversi hanno creato sistemi di scrittura per preservare la loro identità culturale e diffondere idee. Dalle incisioni esoteriche del glagolitico alle icone sacre delle Chiese ortodosse, fino agli emoji che oggi punteggiano le nostre conversazioni digitali.

Il Fascino delle Lingue Scritte attraverso i Secoli

Viaggiando, mi sono spesso imbattuto in tante forme di scrittura, e il tema di come una lingua parlata si trasformi in una scritta mi è sempre apparso quasi una magia. Tutt’oggi, con un minimo di consapevolezza in più, mi sembra ancora un affascinante mistero.
Per anni ho creduto che il meccanismo generativo derivasse da un lunghissimo processo fatto di continue variazioni e contaminazioni, e che per far sì che questo meccanismo attecchisse occorressero centinaia di anni.

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Conoscevo vagamente la storia dell’alfabeto latino, che ha un’indiretta origine da quello fenicio, uno dei primi sistemi di scrittura fonetica, adottato e adattato dai Greci per creare il loro alfabeto. Quest’ultimo poi influenzò le popolazioni italiche, in particolare gli Etruschi, che usarono una versione modificata dell’alfabeto greco. Ed essendo gli Etruschi una civiltà che occupava gran parte dell’Italia centrale prima dell’ascesa di Roma, divennero i principali mediatori della trasmissione dell’alfabeto ai Latini.

Bene, questo gioco però funzionava proprio come mi immaginavo e aveva radici profonde, partendo più di mille anni avanti Cristo e arrivando grossomodo al primo secolo d.C.
E proprio per la mia solita ignoranza, mi risultò sorprendente scoprire durante il mio viaggio in Armenia che la loro lingua scritta fosse nata circa nel 400 d.C. e che ebbe diffusione in meno di cento anni.

Per un altro verso, rimasi ancor più sorpreso durante una breve gita in Croazia nello scoprire che la popolazione di lingua slava ebbe una propria lingua scritta solo quasi alla fine dell’800 d.C.

Incontrai il glagolitico mentre mi aggiravo per una splendida chiesa sull’isola di Arbe, caratterizzata da architetture romaniche e ingentilita dall’inconfondibile stile veneziano. Lo strano alfabeto, riprodotto su alcune tombe con stranissimi simboli, sembrava comporre esoterici glifi. Forse le incisioni avevano un potere magico; erano fatte per proteggere persone o maledire i nemici. E ancora, se pronunciate nella giusta forma, si sarebbero accese di una luce abbagliante, aprendo porte che ti potevano condurre in chissà quali mondi o bruciarti nelle fiamme dell’inferno.

Che strane cose ti concede la fantasia quando la lasci galoppare. Comunque, non riuscivo a levarmi dalla testa i pezzi di questo strano puzzle che si formava nella mia mente: qualcosa sembrava non incastrarsi. Per quale motivo popoli a contatto con il Sacro Romano Impero da un lato o con l’Impero Bizantino dall’altro, quasi alla fine del primo millennio, non avevano adottato il greco o il latino adattandolo ai loro fonemi? Mi sembrava misterioso.

Sull’istante ho ripensato a quanto appreso visitando i monasteri armeni sulla nascita e l’evoluzione del loro linguaggio. Prima del 400 d.C., si usavano nell’amministrazione lingue straniere come il greco, il persiano e l’aramaico. Quando l’Armenia divenne il primo paese al mondo ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale di Stato, fu il monaco, teologo e linguista Mesrop Mashtot, con il benestare del Re, che costruì l’armeno scritto per la diffusione della religione e per rendere più facile l’adattamento alla lingua parlata, con l’obbiettivo non secondario di unificare il popolo sotto una lingua scritta comune, rafforzando la coesione sociale e preservandone l’identità culturale.

Come mai le popolazioni slave, che avevano una forte tradizione orale con miti, leggende, poesie epiche, canzoni e grandi conoscenze pratiche, non sentivano il bisogno di trasporre tutto questo in una lingua scritta? Mi sembrava quasi inconcepibile. Tenere una memoria collettiva da trasmettere verbalmente di generazione in generazione richiede eccezionali abilità narrative, forse molto apprezzate nella società, ma questa risposta non mi sembrava sufficiente.

Tutt’oggi non ho trovato una risposta certa. In un resoconto ho letto che erano popolazioni nomadi, poco strutturate dal punto di vista amministrativo, divise in piccole tribù.
Ho però compreso perché si creò il glagolitico. L’imperatore bizantino Michele III (cristianesimo ortodosso) volle dare ai popoli slavi una lingua scritta che li unificasse e spedì i Santi Cirillo e Metodio, che inventarono e diffusero questo sistema di scrittura per contrastare l’Impero Franco, che dominava gran parte dell’Europa (cristianesimo sotto l’autorità del Papa di Roma), dato che il clero franco usava il latino per l’evangelizzazione.

Creare una barriera linguistica scritta e parlata per espandere la propria influenza. In un tempo dove i mezzi di comunicazione erano veramente limitati, mi sembra incredibile pensare a una strategia, comunque, di così lungo periodo, che se vincente si sarebbe attuata ben al di là degli attori che la proponevano.

Per capire come la Chiesa ortodossa si rapportasse con il popolo, è utile descrivere l’area dell’iconostasi, dove si celebrano i riti, interdetta ai comuni mortali; solo i sacerdoti possono accedervi attraverso la sua porta santa. A destra della porta santa c’è sempre l’immagine di Gesù, a sinistra Maria. Accanto alla prima icona c’è l’icona a cui la chiesa è consacrata, e infine un santo caro alla comunità. Sul leggio posto di fronte all’iconostasi c’è un’altra figura specifica che rappresenta il periodo liturgico della Chiesa ortodossa, facilmente riconoscibile anche da chi non sa leggere.

Questo era il modo di comunicare tramite immagini, icone, disegni riconoscibili facilmente dai fedeli per lo più analfabeti. Ecco perché tutto ciò mi sembra incredibile.

Forse questa settimana ho toccato un argomento troppo complesso anche per me, che mi lascia sempre pieno di dubbi. Ma viaggiare serve ad arricchirsi, e capire il mondo conoscendo la storia forse è più facile.

Per concludere, è curioso osservare come le nostre attuali innovazioni, come il T9, gli emoji, siano evoluzioni moderne di questa stessa esigenza. Mentre in passato si creavano nuovi alfabeti per preservare l’identità culturale e facilitare la diffusione di idee con tutte le sfumature di cui vi ho raccontato, oggi utilizziamo tecnologie digitali per rendere la comunicazione più rapida ed espressiva.

Forse tra qualche secolo capiremo se gli emoji sono stati un’evoluzione positiva del nostro comunicare. Come potete ben capire, per me non lo è. Perdere la bellezza del descrivere per sintetizzare in un’icona mi sembra di tornare verso la porta sacra dell’iconostasi e le sue figure rappresentative. Ma dietro la porta, allora, c’era un prete, e oggi, dietro la nostra porta sacra, chi c’è?

Alla prossima.

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