Righe di panegirico scritte di getto a conclusione di una corsa che offre tanti spunti sugli “Oltreognivittoria”
Dunque, Direttore, innanzitutto ti ringrazio per l’ospitalità che sempre mi concedi sulle tue pagine. Non è facile trovare spazio per un personaggio un po’ scomodo come me. Lo dimostra il fatto che, finito il mio assessorato sono stato inviato in esilio… A vincere altrove. Sai, ho troppe idee e si potrebbero scuotere gli equilibri.
Tranquillo non ne soffro, non ne faccio un dramma, e nemmeno una vignetta anzi, lo considero un segno della mia intelligenza scomoda, alla quale tengo molto, soprattutto in mezzo all’insignificante. Ma ora cerchiamo di essere professionisti e di fare qualcosa di divertente, perché dopo quei consessi di “ore di noia” che ormai fanno parte della consuetudine di questa città, non è facile riaccendere l’entusiasmo.
Il conformismo dilagante e triste che ormai permea ogni cosa qua non aiuta di certo. Io non sono a Siena, ma immagino che, dopo il Palio, ci sia stato il solito nugolo di analisti pronti ad andare in letargo tra una decina di giorni dopo aver fatto le loro consuete arzigogolate considerazioni. Questa volta, probabilmente, sul Palio e sulla vittoria della Lupa, o meglio, sulla sconfitta di Tittia. Perché, si sa, in questa città piacciono i vincenti cadenti mentre a me piacciono come si sa i vincenti e aiuto le persone a diventarlo.
Dunque, mossiere nuovo, errori vecchi e stesso tran tran di Luglio. Mossiere aitante e veemente, che ha parlato a un gruppo di sordi. La prima mossa, direi, è stata migliore della seconda; poi la pasta scuoce e bisogna andare a casa, quindi si parte.
Parte prima la Lupa, arriva prima la Lupa, e non succede niente. Una corsa noiosa come poche, di quelle che fanno comodo all’Amministrazione… Sì quella che si appella a regole che non ci sono. Vince Pesse, complimenti a lui, con un cavallo esordiente, perdono gli altri.
Di Pesse che dire? Vincere può capitare a tutti, più difficile ripetersi, glielo auguro. Tra questi perdenti , il meno anonimo per narrativa è Tittia, con un cosiddetto cavallo suo e una contrada numerosa, ma non so quanto forte.
Gli esperti, quelli veri, dicono che, quando ci sono due nemiche in piazza, l’obiettivo primario è non far vincere l’altra. Non è andata così, e c’è stato forse un grosso errore di sopravvalutazione da parte di Tittia e, di conseguenza, dell’Istrice.
Mi riferisco a quanto hai scritto sul subire per quattro giorni da parte della Lupa. Contano i momenti che contano, non quelli in cui subisci quando non conta; conta ciò che fai quando è importante.
E in quel momento che conta, la Lupa è stata più brava dell’Istrice, perché non ha fatto niente. È rimasta lì, ferma, e quando Tittia ha trovato un pertugio allo steccato, la Lupa è partita e ha vinto.
La Lupa ha avuto fortuna perché alla fine l’Istrice gli era sfuggito. Quest’ultima ha perso se stessa e l’avversaria.
Dico con qualche esperienza che vince chi fa le cose semplici, e purtroppo a volte i troppo bravi si complicano la vita da soli. Vede, Direttore, il punto è che, quando si fa qualcosa, bisogna avere ben chiaro come farlo e quali opzioni si possono presentare.
Non credo sia successo stavolta. Mi pare che Tittia fosse troppo convinto dei propri mezzi, tanto che, alla fine, nel preoccuparsi troppo di fuggire e sottrarsi allo scontro con la Lupa, ha finito per disinteressarsi troppo di essa. Insomma, se avesse adottato un atteggiamento più aggressivo, forse le cose sarebbero andate diversamente e forse Tittia avrebbe perso, ma vincendo.
Così, invece, non ha nemmeno perso, semplicemente non ha. Non è esistito. Siccome dai numeri sembrerebbe il più bravo, di certo, come i bravi, imparerà qualcosa di nuovo e diventerà più forte.
Di solito si sfugge o per manifesta superiorità o per mancanza di coraggio. Qui penso che si trattasse della prima opzione, ma sbagliata, perché a ben vedere quel cavallo, che forse aveva il viso d’angelo, era troppo preso da se stesso, come forse anche il suo fantino, e magari la contrada e non era poi così veloce. Anzi, mi è parso che andasse proprio piano.
Ultime note, Direttore. Leggo costantemente che “Siena trionfa immortale”. Non riesco a capire il senso; forse è una ripetizione compulsiva di una formula asfittica? Una specie di ecolalia?
Sa, quella ripetizione di parole senza senso tipica di alcune malattie. E poi, Direttore, leggo di molti gaudenti per la sconfitta dell’odiato Tedesco, il Tittia, per il quale i tempi sarebbero cambiati, i fatti di stasera avrebbero dimostrato che non detterà più legge, e altre amene stupidaggini croniche.
Ma tu non credi che questa città farebbe meglio a imparare dai vincenti invece di odiarli? Perché se così facesse, forse potrebbe davvero ambire all’immortalità, mentre adesso direi che sia piuttosto morta.
Paolo Benini