Un anno fa: Paolo Benini ricorda cosa lo portò a scrivere il libro “Oltre Ogni Vittoria – Sfide Sportive-Sfide Quotidiane”
È passato circa un anno dalla pubblicazione di Oltre Ogni Vittoria. Un libro che ha avuto un discreto successo, sì, ma soprattutto ha rappresentato — come ogni scrittura che nasce dalla necessità e non dalla funzione — un momento di sviluppo personale.
Lo dico senza retorica: scrivere è stato per me, ancora una volta, un modo per chiarire, ordinare, consolidare la mia visione. Non tanto per raccontarla agli altri, ma per renderla più netta dentro di me.
Il libro ha fissato un punto: un modo di intendere la mente, il suo funzionamento, e soprattutto la direzione verso cui dovrebbe essere usata, da chi sceglie di non restare orizzontale.
Lo sport è stato il punto di partenza, perché nello sport la mente si mostra, si misura, si mette alla prova. Ma il fine, per me, è sempre stato la verticalità: un pensiero che sale, che attraversa, che affonda e poi emerge. Un pensiero che non si limita a spiegare, ma spezza e ricompone.
Questa visione non si è costruita per caso, né per moda. Si è costruita nel tempo, certo attraverso un percorso clinico, psichiatrico, psicologico — come racconto nell’articolo che segue — ma anche e soprattutto attraverso una ricerca intellettuale non vincolata dai confini disciplinari.

Mi sono alimentato e continuo a farlo, di autori che non si parlano tra loro, che appartengono a genealogie distanti, talvolta persino in contrasto. Ma proprio in quella dissonanza ho trovato profondità.
Penso ad Alain Deneault, alla sua lucidissima analisi della mediocrità strutturale che regge le democrazie moderne; a Alain de Benoist, che ha descritto con precisione chirurgica lo sradicamento e la dissoluzione culturale dell’individuo contemporaneo; e soprattutto a Nietzsche, che resta per me l’autore più onesto e più pericoloso — perché ti costringe a guardarti senza veli. Ma ce ne sono altri, certo.
Autori che non passano dai programmi universitari, ma che hanno capito l’uomo più della psicologia accademica. Perché sapere e pensare non necessariamente coincidono. E soprattutto: non si pensa solo dove ci è stato detto che si può pensare.
Questo è il terreno su cui mi muovo. Una formazione profonda, anche un po’ caotica, ma mai chiusa. Una verticalità mentale, ma non elitaria. Una disciplina, ma senza recinto, un’autodisciplina. È da lì che nasce tutto il resto.
E dunque: Deneault, de Benoist, Nietzsche. Tre modi diversi di guardare lo stesso crollo. Deneault e de Benoist provengono da orizzonti politici opposti — il primo dalla critica radicale del potere tecnocratico, il secondo dalla tradizione identitaria e comunitaria — ma convergono su un punto: la società contemporanea ha perso la verticalità, si è organizzata per neutralizzare ogni forma di grandezza.

Deneault descrive una mediocrazia funzionale, dove l’eccesso di competenza disinnesca il pensiero critico e l’efficienza sostituisce il senso; un mondo dove il solo vero errore è disturbare. De Benoist, più radicale, vede lo sradicamento come strategia sistemica: dissolvere ogni appartenenza, ogni radice, ogni identità, per trasformare l’individuo in un utente isolato, adattabile, gestibile. Nietzsche, però, va oltre: non si limita a descrivere — deride. Deride ogni tentativo di salvezza collettiva, ogni ritorno romantico, ogni vagheggiamento egualitario. La sua unica risposta è l’individuo che ha il coraggio di distruggere sé stesso e riforgiarsi.
La trasvalutazione non è un esercizio teorico, è un atto chirurgico, violento, creativo. È lì che mi riconosco. Non credo nelle soluzioni collettive, nei popoli da redimere, nei manifesti del cambiamento tutte trappole. Credo nelle singolarità che decidono di riscriversi, da capo, nel silenzio, nella disciplina, nella solitudine. E so che da queste singolarità può nascere, a volte qualcosa di nuovo.
Ma non vale il contrario: il gruppo non genera l’eccezione. Il gregge non partorisce l’uomo che trascende. Del gregge si dimentica sempre… il cane unico che lo controlla.
L’uguaglianza non produce vertigine, produce stasi. E allora si capisce anche a cosa serve davvero la mediocrità: serve a non far paura. Serve a garantire ai manovratori che nessuno romperà le righe, che tutti resteranno esattamente dove devono stare, a fare esattamente ciò che è previsto.
Il mediocre non inventa, non muta, non inquieta. Il mediocre esegue. Per questo è così utile. Per questo viene protetto. Per questo viene premiato. E io, in tutto questo, non ci sono mai stato. Attraverso la psichiatria, la psicologia clinica e la patologia ho imparato a conoscere la frattura, le rotture, le catastrofi interiori, la sofferenza, il dolore. Attraverso la prestazione umana ho poi imparato a riconoscere il possibile, la trasformazione, la spinta. E così, riforgiandomi ogni volta, sono arrivato a lavorare sull’essenza: sulla mente nella sua espressione più alta, più selettiva, più invisibile.
E lì ho trovato nello sport non solo un campo di applicazione, ma un luogo simbolico: dove la trasformazione individuale diventa gesto, ritmo, decisione, forma. Per me “Oltre ogni vittoria” non è una metafora motivazionale: è una dichiarazione di metodo. È la mia filosofia scritta con i corpi di chi ha il coraggio di andare oltre.
Paolo Benini
“Oltre Ogni Vittoria – Sfide Sportive-Sfide Quotidiane” è una pubblicazione indipendente del 21/4/2024, 189 pagine. Attualmente è commercializzato su Amazon.