La fine dell’umanità o uno sbocco nell’animalità?

Un dialogo sui Limiti dell’amore per gli animali domestici

Può essere compagno e ombra, / donarti fiducia e calore, / scaldarti e insegnarti, / condividere con te il sole e il silenzio.

Ma non può colmare il vuoto / che solo un altro cuore umano sa riempire.

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Un animale da compagnia va amato per ciò che è, / non per le crepe che non può sanare

(anonimo senese)

Tutto è iniziato con una semplice conversazione. Un racconto personale, che condividevo con una amica, sul mio rapporto con il gatto di mio figlio. Raccontavo il fatto che, ogni volta che arrivavo a casa, il gatto mi aspettasse alla porta, mi conducesse verso la sua ciotola, mi invitasse ad aprire la finestra, e persino a dormire vicino a lui.

In un certo senso, sembrava che il gatto mi cercasse, mi volesse accanto, mi “desiderasse”, per così dire. Ma questa narrazione, che all’inizio mi sembrava una semplice descrizione di un affetto sincero e non troppo complicato, ha suscitato nella mia amica una riflessione profonda e, devo dire, critica.

La mia amica ha sollevato interrogativi legittimi, a partire dall’idea di come oggi i cani e i gatti siano sempre più trattati come membri della famiglia. Mi ha fatto notare che, nel mio racconto, forse c’era un rischio di “umanizzazione” dell’animale, un fenomeno che, seppur comprensibile, merita una riflessione più approfondita. La sua critica ha avuto come obiettivo l’aspetto emotivo e psicologico di questa evoluzione, che tocca temi di affetto, solitudine, e le motivazioni profonde che ci spingono a vedere gli animali come “persone”.

Per rispondere a questa critica, le ho inviato, sbrigativamente, un articolo che avevo scritto tempo fa, nel quale riflettevo proprio sull’evoluzione dei legami tra esseri umani e animali. In quell’articolo, esploravo come il ruolo degli animali da compagnia, in particolare dei cani e dei gatti, fosse cambiato nel tempo, divenendo in molti casi un sostituto della compagnia umana.

La mia amica ha letto l’articolo con interesse, ma non ha potuto fare a meno di criticare alcuni aspetti, La sua critica principale riguardava appunto gli animali domestici “oggi”, la loro crescente umanizzazione, sostenendo che, sebbene il legame con gli animali sia comprensibile, spesso si sfocia nell’eccesso. Per esempio, parlando della pratica di dare crocchette in piattini d’argento o di far dormire il proprio cane o gatto nel letto, si sta probabilmente spingendo troppo oltre.

Secondo lei, questo fenomeno potrebbe nascondere una tendenza a sostituire l’affetto umano con un legame che, pur apparendo genuino, non è altrettanto evoluto o arricchente. Gli animali, pur essendo ottimi compagni, non sono in grado di colmare le complessità affettive e psicologiche che derivano dalle relazioni umane.

Alla fine, sospinto dall’amica mi sono posto una domanda: “se ci impegniamo tanto per umanizzare gli animali, non corriamo il rischio di animalizzare noi stessi?”

Postomi la domanda ho in qualche modo provato a “stressare” il tema. Se continuiamo a trattare gli animali come esseri umani, non rischiamo di ridurre noi stessi a qualcosa di meno umano, meno capace di affrontare la complessità delle nostre emozioni e delle nostre relazioni?

Ho deciso di fare alcune ricerche sul mercato degli animali da compagnia e sugli orientamenti dei professionisti della psicologia e della psichiatria e gli stessi animalisti riguardo a questo fenomeno.

I numeri sono impressionanti: il mercato globale degli animali da compagnia è in continua espansione, con una crescita che coinvolge non solo il cibo e gli accessori, ma anche la salute e il benessere degli animali. Il “pet care” è diventato un settore che muove miliardi di euro, con una crescente attenzione ai bisogni emotivi degli animali.

Tuttavia, il dato interessante è che, dietro questa espansione economica, si nasconde una domanda psicologica e sociale profonda: sempre più persone sembrano rivolgersi agli animali per trovare un affetto che non riescono a ricevere dalle persone.

Gli esperti sottolineano che il fenomeno può essere collegato a un bisogno umano di compagnia, ma anche alla crescente difficoltà nel creare legami autentici e duraturi con gli altri esseri umani.

Insomma mi si è aperto il tema della solitudine umana. Una malattia assolutamente moderna. L’industria degli animali da compagnia ha cavalcato questa onda, proponendo una forma di “compensazione affettiva” che può sembrare soddisfacente nel breve periodo, ma che potrebbe nascondere problematiche emotive più complesse.

Psicologi e psichiatri sono divisi su questo tema. Da un lato, alcuni sostengono che l’amore per gli animali possa essere terapeutico, aiutando a combattere la solitudine e l’ansia. L’interazione con gli animali, in effetti, può stimolare il rilascio di ossitocina, l’ormone dell’affetto, creando legami che aiutano a ridurre lo stress e a migliorare il benessere psicologico.

Tuttavia, altri esperti avvertono che un legame troppo stretto con gli animali, che sostituisce o riduce i contatti umani, potrebbe essere una forma di ritiro sociale e non una soluzione duratura ai problemi affettivi.

Dall’altro lato, gli animalisti più radicali sostengono che l’umanizzazione degli animali rischia di ignorare la loro natura e di ridurre il loro ruolo a mero strumento di “soddisfazione emotiva” per l’uomo, senza considerare che gli animali hanno bisogni specifici e una natura che deve essere rispettata. Questi attivisti fanno spesso riferimento a come il fenomeno della “pet mania” possa nascondere problemi più gravi, come l’isolamento sociale e il rifiuto di affrontare le difficoltà psicologiche che l’interazione con altri esseri umani impone.

La discussione che ho avuto con la mia amica mi ha fatto riflettere su come l’umanizzazione degli animali, pur essendo un segno di affetto, possa nascondere un rischio più ampio: quello di sfociare in una forma di “animalizzazione” dell’uomo, un processo che rischia di ridurre la nostra capacità di affrontare la complessità delle relazioni umane e la nostra stessa umanità.

Le risposte semplici e non conflittuali che gli animali ci offrono sono rassicuranti, ma non devono sostituire la capacità di relazionarci e confrontarci con gli esseri umani.
Questa riflessione ci invita a trovare un equilibrio. I legami affettivi con gli animali possono essere bellissimi, ma non devono farci dimenticare l’importanza delle relazioni umane, quelle vere, complesse e, sì, anche conflittuali. Solo così possiamo crescere come esseri umani.

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