L’aquilegia, è in Sardegna il fiore più raro del mondo

Per “Straordinari matusalemmi vegetali” sui pendii scoscesi di Gorropu alla ricerca di un “paleofiore”

Dopo posti esotici e selvaggi, con conclamate difficoltà logistiche di accesso, luoghi che si raggiungono solo con la volontà e, soprattutto, la curiosità di scoprire elementi vegetali fuori dall’ordinario, oggi vi parlerò di un’altra straordinaria emergenza naturale: l’Aquilegia di Gorropu.

Aquilegia di GorropuL’incontro con un paleofiore

Le righe che seguono sono parzialmente tratte dal mio diario di viaggio, dove ho annotato, l’esperienza nella Gola di Gorropu.

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Le nuvole corrono veloci, scure, scivolano su un cielo grigio. Dall’albergo scruto preoccupato la verticale parete di roccia che mi sta di fronte. La strada, intagliata nella roccia, sembra un sottile segno a matita, tanto è insignificante rispetto al contesto. L’hotel è proprio sullo spartiacque, il punto dove la statale 125 Genna Silana inverte la pendenza. Il Supramonte non sembra dell’umore giusto per accogliere due viandanti.

Parlotto con l’amico Vittorio, dubbiosi sulla nostra decisione: ieri sera avevamo scelto di lasciare qui le moto e scendere nella profonda Gola di Gorropu, dove il Rio Flumineddu, con pazienza millenaria, ha inciso il più profondo canyon d’Italia. Il trekking è impegnativo, ma decidiamo di rischiare: non avrebbe senso essere arrivati fin quassù per desistere alla prima difficoltà.

Gambe in spalla, iniziamo la discesa. In quattro chilometri il sentiero precipita di settecentocinquanta metri. Alcuni tratti sono così ripidi da sembrare scale. Ci muoviamo tra sassi smossi e una insidiosa breccia, frutto del lento dissolversi della montagna. Una parete di ghiaia sulla sinistra sembra pronta a scaricarci addosso metri cubi di roccia. Il percorso rompe continuamente il passo: ogni appoggio va calcolato per evitare di scivolare.

Col passare dei minuti prendo fiducia e lascio vagare lo sguardo sul paesaggio: la valle si apre sotto di me per centinaia di metri, la vista spazia per decine di chilometri. Lasciamo l’arida cima e scendiamo verso il limitare del bosco. Qui, imponenti querce centenarie, muscolose e regolari, sembrano tenere la montagna da sole.

Camminando, scorgo almeno tre capanne di pastori, apparentemente semplici cataste di legna. Da vicino, rivelano la loro funzione: una struttura con rami disposti fitti a formare una tenda, che non lascia filtrare luce. Dentro, un angusto spazio rotondo funge da rifugio. Quattro sassi piatti sono sedili, e al centro, tracce di un fuoco spento.

Un delicato fiore nella gola

La stagione è ormai finita, ma ieri, al centro accoglienza per trekker e free climber, una guida mi ha raccontato del luogo e delle specie endemiche che vivono solo qui: una trota, un tritone, ma soprattutto, un delicato fiore.

“Quando sarete a metà del canyon,” ci ha detto, “alzate gli occhi. Vedrete uno stillicidio di acqua che crea una lunga stalattite. Lì cresce l’Aquilegia di Gorropu, un fiore che esiste solo in cinquanta metri quadrati di questo habitat. È un paleofiore, il progenitore di altre specie”.

La guida ci spiega anche come affrontare la gola: i segni verdi aiutano nei passaggi più difficili, ma dopo il primo tratto si incontra il giallo, dove gli appigli devono essere trovati autonomamente. Infine, il punto rosso, il limite oltre cui solo i più esperti possono proseguire.

Il paleofiore

Dopo due ore di discesa, arriviamo all’imboccatura del canyon. Il percorso è un budello di rocce lisce, largo poco più di dieci metri, e le pareti alte cinquecento metri rendono il cielo lontanissimo. Salgo tra enormi massi levigati, scivolo continuamente.

A metà percorso, una goccia mi colpisce il viso. Alzo gli occhi e lo vedo: il mio paleofiore. Piccole foglie tremule, petali delicati che sembrano mutare colore con la luce. È un fiore semplice, eppure porta con sé una storia straordinaria: una specie relitta, sopravvissuta a epoche che hanno cancellato altre piante simili. È lì, aggrappato alla roccia, in un equilibrio perfetto tra forza e fragilità.

Penso con un brivido che una sola estate secca potrebbe segnare la fine di questo straordinario abitante del canyon. Rimango immobile, cercando di imprimere nella mente l’immagine del fiore e il senso di fragilità che evoca.

Ritorno alla realtà

Riprendo il cammino verso la parte “gialla,” un tratto senza riferimenti, che mette alla prova il mio equilibrio e la mia determinazione. Con sollievo, raggiungo il punto rosso: l’ascensione è finita.

Solo ora mi rendo conto di essere arrivato fin qui quasi senza pensare, spinto solo dalla storia di questo fiore straordinario. Cercherò di custodirne il ricordo tra le cose che meritano di essere ricordate.

Mentre torniamo, inizia a piovere. Per sicurezza, scegliamo un percorso più facile che scende a mezza costa. Dopo altre due ore di cammino, raggiungiamo una fermata del bus sulla statale, a una quindicina di chilometri dalla base. Stanchi, indolenziti, raccogliamo i pezzi di un corpo che sembra rifiutarsi di collaborare.

Spero che questa storia vi invogli a guardare la natura con occhi nuovi. L’Aquilegia di Gorropu non è solo un fiore raro: è un simbolo di resilienza, adattamento e fragilità. Proteggere questa meraviglia significa proteggere una parte di noi stessi, della nostra storia e del nostro futuro.

La prossima volta vi parlerò degli olivastri di Luras, un’altra eccezionale emergenza naturale. In precedenza abbiamo parlato dell’espeletia e dell’alerce.

(3 – continua)

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