L’ex assessore Benini a fianco dei tecnici biancoverdi per accompagnarli in una rinascita senza rollercoaster
Siamo assillanti. Lo riconosciamo. Paolo Benini è un po’ che non nutre la sua rubrica #oltreognivittoria e per questo siamo andati a stuzzicarlo, mentre le sue strade professionali lo stanno riavvicinando a Siena.
Dottor Paolo, mi sembra proprio che ci si stia impigrendo. Però abbiamo letto di una tua collaborazione di recente avviata alla Mens Sana Basketball. Cos’è che stai facendo?
“Per la verità, direttore, non mi sto impigrendo. Il fatto è che non sto fermo un attimo ed ho avuto colpevolmente poco tempo da dedicare a Siena Post. In merito alla domanda, beh, penso forse di sapere qualcosa e lo metto volentieri a disposizione della Mens Sana in questo momento di rinascita, che comunque avrà bisogno di tempo. In questo futuro prossimo ci vogliono umori saldi. I rollercoaster emotivi non aiutano nessuno. Tutti parlano di mente, i più non sanno e molti abusano. Poi, adesso mi pare che gli apprendisti stregoni abbondino. Io non so niente, ed è tutto quello che so, a differenza di tanti”.
“La mia collaborazione con Mens Sana Basketball – riprende Paolo Benini – nasce dalla volontà di portare un lavoro strutturato sulla mentalità sportiva, sulla resilienza e sulla motivazione degli atleti e dello staff tecnico. Lo sport moderno non è solo una questione di capacità fisiche, ma richiede un approccio integrato che includa anche la preparazione mentale. In particolare, il lavoro è focalizzato sull’ottimizzazione delle prestazioni attraverso la consapevolezza di sé e la gestione della pressione competitiva. Uno degli obiettivi principali è migliorare la capacità di concentrazione, la gestione dello stress e la costruzione della fiducia, aiutando gli atleti a sviluppare una mentalità vincente basata sulla consapevolezza e sull’autoefficacia”.
Ah, un lavoro sui tecnici del settore giovanile, dunque, che poi in genere sono ex atleti che si stanno adesso approcciando ad un nuovo modo di intendere il “fare sport”. L’altro giorno abbiamo scritto una frase che ci piacerebbe riproporti in commento: “Per tornare memorabili serve che ci sia memoria del memorabile”. Suggestioni?
“Sì, ci vuole memoria del memorabile. Il punto è che spesso ne facciamo un uso che direi malinconico o rabbioso. Il memorabile ci dice che è possibile perché è successo e dove è successo c’è un terreno che, se coltivato, può generare di nuovo. Tuttavia, il confronto è sempre con adesso: cosa faccio adesso, cosa succede adesso, ecc. Conta adesso, e conta la freddezza, la lucidità, il realismo, se si vuole tornare o comunque viaggiare in quella direzione. Ricordare un secondo, per il resto lavorare oggi”.
“Questa frase comunque – aggiunge il dottor Paolo – si lega profondamente a un concetto chiave della psicologia sportiva: la costruzione di un’identità solida attraverso la memoria delle esperienze significative. Ogni atleta e ogni squadra costruisce la propria grandezza non solo con i successi, ma con il modo in cui questi vengono ricordati e reinterpretati. La memoria del memorabile non è solo una questione di risultati, ma di processi: è il percorso, la capacità di trasformare ogni esperienza in apprendimento, che rende una squadra o un atleta davvero memorabile. Questo si ricollega al concetto di Immaginazione che tratto nel mio libro Oltre Ogni Vittoria, dove spiego come la visualizzazione e la narrazione interna possano influenzare la prestazione sportiva e la percezione del proprio valore”.
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Quando si lavora sulla testa, supponiamo che i risultati del lavoro non siano visibili quanto costruire una casa che vien su dal niente. In quali tempi ci si deve aspettare risultati e come si fa a capire con valutazioni intermedie che essi arrivano… Si guarda solo ai risultati dell’agonismo?
“Bisogna imparare a separare la metodologia dal risultato. La motivazione funziona in un modo e magari perdiamo lo stesso anche se è alta, e così per altri argomenti. Voglio dire che vincere o perdere dipende da tanti fattori, magari anche imponderabili o invisibili. Il punto è lavorare bene, ponderare bene e sapere. In fondo, la cultura deve essere quella per cui tendo a migliorare tutti i punti dell’1% continuamente, e alla fine aumenti la tua probabilità di risultato assoluto. Io mi occupo di una parte con metodologia precisa e scientificamente sostenibile”.
“Inoltre – continua -, esistono strumenti per valutare e bisogna imparare a ricondurre le valutazioni a dati. Non è che i dati siano certezza, ma sempre meglio di una valutazione soggettiva che, peraltro, non si sa mai bene da quali bias sia influenzata. I dati sono un elemento che però non sostituisce chi ha il ruolo della sintesi: diciamo che se fai una scelta o un’altra, i dati ti indirizzano nel fare ragionamenti più attinenti. L’errore più comune è aspettarsi risultati immediati quando si lavora sulla mente. Il cambiamento mentale è spesso progressivo e difficilmente misurabile con gli stessi parametri di una prestazione fisica. Tuttavia, esistono metodi di valutazione intermedia ed oggettiva: il miglioramento della gestione della pressione, la stabilità emotiva, la capacità di mantenere la concentrazione e il recupero rapido dagli errori sono tutti indicatori fondamentali di progresso. Nel mio libro Performance, parlo della necessità di allenare la resilienza e l’autoefficacia come strumenti per trasformare le difficoltà in opportunità di crescita. I risultati agonistici sono solo una parte del quadro complessivo: quello che conta è il processo di costruzione della solidità mentale”.
I tecnici di oggi supponiamo siano in prevalenza under 30, quindi alla pari dei loro coetanei schiacciati da una realtà che dà loro una piccola frazione di opportunità rispetto quelle delle generazioni precedenti. Qual è il procedimento perché diventino a loro volta maestri coi loro giocatori del fatto che possono e devono?
“I tecnici under 30 di oggi affrontano una realtà complessa, dove la percezione della mancanza di opportunità può portare a un senso di impotenza. Tuttavia, la chiave per diventare maestri per i loro giocatori sta proprio nella costruzione della loro preparazione tecnica ma anche, e forse soprattutto, sul come si gestisce un singolo e un gruppo, oltre che nella capacità di trasmettere un mindset positivo. Nel mio libro Primum Non Nocere affronto il concetto di autonomia e responsabilità personale come elementi essenziali per la crescita di un individuo, sia esso atleta o tecnico. La leadership si sviluppa attraverso l’esempio: se un tecnico riesce a vedere se stesso come un agente di cambiamento, potrà trasmettere lo stesso atteggiamento ai propri atleti”.
Tempo fa ci parlasti in un’intervista che la Mens Sana del basket potrebbe essere uno dei pochi soggetti senesi che ha in sé le forze per recuperare grandezza. Dato che ora ce ne parli da dentro, articola nuovamente il tuo pensiero per favore…
“La Mens Sana ha una storia di grandezza che non è solo sportiva, ma anche identitaria. Il suo potenziale per recuperare quella grandezza risiede nella capacità di costruire una cultura sportiva basata su valori solidi e su una mentalità vincente. Il mio approccio si basa sulla creazione di un ambiente che favorisca la crescita mentale degli atleti e dello staff, lavorando sulla resilienza e sulla motivazione come strumenti di riscatto e rinascita. La grandezza non è solo un risultato, ma un processo che richiede dedizione, visione e la volontà di rimettersi costantemente in gioco”.
(La foto copertina di Paolo Benini coi tecnici di Mens Sana è della comunicazione di Mens Sana Basketball)