Olga e Chiara tornano a dar vita alle pietre, ma non si muovono da sotto Palazzo Sansevero a Napoli
E’ passato del tempo. Olga ed io siamo state prese da altre cose. Ma un tarlo è rimasto nelle nostre anime: conoscere ancora i segreti di Palazzo Sansevero. L’ultima volta lo avevamo salutato promettendogli però che saremmo tornate per approfondire la storia di Raimondo di Sangro che ci aveva appena accennato. E siamo state di parola.
Questa volta, però, a parlarci è stata la Cappella di Sansevero. Siamo entrate in punta dei piedi, titubanti come sempre. In attesa di essere ammesse e di meritare l’ascolto della voce di queste splendide mura. Ci sentiamo osservate, un po’ come se dovessimo superare un esame.
I nostri occhi sono rapiti dalla meravigliosa arte barocca che ci circonda. Ed è proprio facendo danzare il nostro sguardo fra le opere di questo scrigno in cui siamo immerse che alla fine incontriamo due grandi occhi neri. È da loro che ci sentiamo scrutate. Si tratta proprio di Raimondo, VII principe di Sansevero, la cui effigie, corrosa dal Tempo, sembra vegliare, come un nume tutelare, insieme a quelle di alcuni suoi illustri antenati, su quello che rappresenta un compendio ideologico e simbolico della sua eccezionale esistenza.
È curioso come, in questo universo di levigata perfezione, l’unica opera a subire l’onta del tempo e del disfacimento materiale, sia l’olio su rame che ritrae Raimondo. “Lo so cosa vi state chiedendo”. Una voce all’improvviso rompe il silenzio in cui eravamo immerse. “Lo so che siete qui per sapere chi era veramente Raimondo”.
La Cappella ha deciso di parlarci! Non solo: ha capito da sola cosa stesse passando in quel preciso momento nella nostra testa, ma ha percepito la nostra curiosità, la nostra fame di conoscere. “Si – rispondiamo all’unisono. – è proprio della storia di Raimondo che vogliamo sapere! Per favore, parlacene!”
“Chi era Raimondo? – inizia subito -. Un uomo che, per la superstizione popolare del tempo fu “mago”, “chiromante”, ma che in realtà fu quel che voi uomini di mondo definite “geni”, di cui, di tanto in tanto, la Natura si pregia di fare dono a questa umanità abbrutita, per ricordare che “non di solo pane vive l’uomo” e che la scintilla divina, come imperituro fuoco di Prometeo, vi pone al vertice del Creato. Fu una mente singolare che percorse ed indagò con passione tutti i campi dello scibile.
Ma prima di narrarvi come, in seguito al creativo intervento del principe Raimondo, divenni l’esplosione artistica che mi rende, ancora oggi, uno dei poli museali più visitati e conosciuti in Italia e nel mondo, voglio, in una rapida rimembranza, tornare indietro nel Tempo”.
Raccontaci…
“Ho già ricordato come le mie origini affondino in un’antica vicenda di amore e morte. Della originaria cappella votiva, la “Pietatella“, voluta da Adriana Carafa, rimangono il quadro d’altare raffigurante la Pietà e le parole “Mater Pietatis ” inscritta in un sole luminoso, sulla volta. Fu Alessandro di Sangro, figlio di Giovan Francesco e Arcivescovo di Benevento, a ricostruirmi dalle fondamenta, e, come recita un’iscrizione all’ingresso, a fare di me sacello eterno dei principi di Sansevero. Alessandro, si premurò di abbellirmi con marmi ricercati ed eleganti sculture, tanto da rendermi, già in epoca seicentesca, famosa per il mio prezioso patrimonio artistico. A quel tempo era già esistente un ponte coperto che mi collegava al vicino palazzo, residenza della famiglia di Sangro, che crollerà nel 1889, a causa di infiltrazioni idriche. Ancora oggi è visibile, accanto alla mia facciata, il punto d’inserto del ponte scomparso. Ma fu con il più celebre Raimondo che raggiunsi la mia apoteosi. Forse, non è un caso che io sorga appena dietro piazza San Domenico maggiore, considerata una delle zone più esoteriche di Napoli. Napoli… Come tutte le grandi e antiche città, custode di leggende e misteri, di una Storia di miserie e grandezze, brulicante di una umanità diversa eppure sempre uguale”.
Sì, ma ora narraci di Raimondo. Chi era veramente?
“Definire Raimondo sarebbe un tentativo di ingabbiarne l’eccezionalità in formule comuni: egli fu un uomo dalla personalità così profondamente poliedrica e sui generis, da racchiudere nella sua singola l’eco di molteplici esistenze. Probabilmente, la definizione a lui più calzante fu l’epitaffio inciso sul suo sepolcro, formulato da lui stesso ante mortem, in cui si riferisce a sé stesso come “celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura“. Raimondo era nato nel 1710 da Antonio Duca di Torremaggiore e da Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona morta pochi mesi dopo la sua nascita. Torremaggiore, suo luogo natale, è un centro oggi in provincia di Foggia, infeudato dai di Sangro, che vantavano una discendenza da Carlo Magno, nel XIV sec. I monumenti funebri più suggestivi e conosciuti che ospito sono, sicuramente, quelli dei genitori di Raimondo. Quello di Cecilia è sormontato da una figura femminile che regge una lastra marmorea spezzata, alludente alla giovane età della defunta. La Pudicizia, così viene chiamata, è una giovane donna bellissima, le forme di levigata perfezione, quasi palpitanti di vita, svelate anziché celate, da un velo impalpabile che ne cela il volto. Quel volto della “incomparabile madre” rimasto, ahimè, sconosciuto al figlio, che lo avrà vagheggiato nella sua mente innumerevoli volte, con la struggente nostalgia di orfano, ravvisandone i tratti sconosciuti nei propri. Di contro, il monumento dedicato al padre Antonio raffigura un uomo barbuto, involto in una pesante rete, da cui cerca di liberarsi, aiutato da un genio alato, l’intelletto umano, che gli indica un globo terrestre, simbolo della sua dissoluta vita terrena. Un padre, Antonio, molto assente, immerso in una vita violenta e viziosa, che lo costrinse spesso a riparare fuori dall’Italia, sotto l’egida protettiva della corte spagnola, in ottimi rapporti con la sua casata”.
“Così il piccolo Raimondo – continua la Cappella – fu accolto dai nonni paterni, proprio qui, a palazzo Sansevero. Il nonno Paolo, VI principe di Sansevero, avendo colto nel ragazzo i segni di un intelletto fuor dal comune, volle gli fosse impartita un’educazione che, per quei tempi, sembrò rivoluzionaria poiché accanto a materie canoniche come quelle classiche, comprendeva lo studio delle lingue e delle materie tecniche, come fisica e chimica, idrostatica e arte militare. Per completarne l’istruzione, gli fece frequentare il Collegio dei Gesuiti, presso cui l’enfant prodige si distinse, eccellendo in ogni campo. In seguito alla morte del nonno, a soli 16 anni, si ritrovò ad essere l’esponente più importante della casata”.
Si ferma un attimo. E noi rimaniamo appese, come se ad un tratto la pellicola del film che ci scorreva nella testa ascoltando la Cappella fosse diventata nera. Rimaniamo con il fiato sospeso… E poi? Cosa accadde dopo? troviamo il coraggio di chiedere rompendo il silenzio di ghiaccio sceso qualche attimo prima.
“Poco dopo – riprende finalmente la Cappella – si innamorò di una lontana cugina, Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Fu un matrimonio molto felice, da cui nacquero otto figli. Intanto la fama di Raimondo e della sua geniale personalità si diffondeva in ogni dove, oltre che per le sue avveniristiche invenzioni, anche per i suoi scritti letterari e scientifici. Mentre riceveva numerose onorificenze da re Carlo Sebastiano di Borbone, anche per le sue doti militari, aderì alla Accademia della Crusca. Un suo trattato, “Pratiche di esercizi militari”, riscosse molto successo e il plauso finanche di Luigi XV di Francia. Nel suo ruolo di accademico, ebbe la possibilità, su concessione di papa Benedetto XIV, di consultare libri facenti parte dell’Index proibito dalla Chiesa. Si approcciò agli Illuministi francesi, traendone ulteriori suggestioni di pensiero. Il Principe è considerato uno dei fondatori della Massoneria italiana, avendo ricoperto la carica di Venerabile Maestro della loggia napoletana Perfetta Unione“.
La storia si fa ancora più affascinante e misteriosa… Il concetto di Massoneria rimanda anche a esoterismo, a conoscenze arcane accessibili solo ad una piccola élite prescelta…è così? – chiediamo curiose.
“Si, è così. Molti hanno sottolineato come, accanto alla mia funzione celebrativa della famiglia di Sangro, sussista una dimensione densa di simbologie esoteriche. La maggior parte di voi umani definisce, con il termine esoterismo, una serie di pratiche misteriose, illegali, al limite e spesso prevaricanti la morale comune. Vi ricordo che la vostra Storia, piccoli omuncoli immemori, è testimonianza tangibile di come la superstizione, il fanatismo religioso, l’ignoranza intesa come non conoscenza, l’oscurantismo intellettuale, abbia portato a crimini incommensurabili della umanità contro sé stessa. Nella visione di Raimondo, l’esoterismo altro non fu che percorso di conoscenza, riservato a pochi iniziati, animati dalla volontà e curiosità di svelare e riprodurre i misteri della natura, nella consapevolezza che tutto possa avere una spiegazione scientifica. Chiamatelo pure snobismo intellettuale!”
No, non lo riteniamo snobismo intellettuale. Ma fame di sapere, spirito critico, animo aperto, connessione con l’ignoto. E come tale, qualcosa di non accessibile a tutti. Perché non tutti sono pronti ad affrontare questo percorso trasformativo così profondo e potente…
“Nel 1751 – riprende la nostra interlocutrice di pietra -, Benedetto XIV emanò la bolla antimassonica “Providas Romanorum“, in cui veniva disposta la scomunica per gli aderenti alla Massoneria e per chiunque li frequentasse. Fu un duro colpo per Raimondo che vide posta all’Index la sua “Lettera Apologetica“, un trattato matematico su un complesso sistema di calcolo peruviano, il quipu. Incrinatisi i rapporti con la Chiesa, e sempre più persuaso che la corrente massonica, a cui aveva aderito con entusiasmo, altro non fosse che una riunione di spiriti eletti, finalizzata alla diffusione di quei rivoluzionari fermenti Illuministi che incendiavano, in quegli anni, l’Europa, Raimondo si immerse, ancora più intensamente, nei suoi esperimenti alchemici”.
Esperimenti alchemici? – chiediamo sempre più prese da questa storia che per certi versi possiamo definire quasi magica…
“Si, esperimenti alchemici veri e propri. Adibì i sotterranei del suo palazzo a laboratori, dove trascorreva gran parte del suo tempo, sperimentando e creando. I risultati delle sue sperimentazioni dovevano apparire, ai suoi contemporanei, quasi fantascientifici. Potete solo immaginare lo sgomento dei napoletani quando un bel giorno lo videro scorrazzare nel golfo di Posillipo, a bordo di una elegante carrozza marina, una sorta di barca che sfruttava la forza motrice delle ruote, di sua invenzione. Raimondo creava minerali, componeva preparati galenici, misture dai molteplici e stupefacenti effetti. È di recente attribuzione, la sua paternità del blu oltremare, una tonalità pittorica, ricavata dai preziosi lapislazzuli. Il principe, riuscì a ricreare in laboratorio, il costoso minerale, estraendo da esso il pigmento, di cui gli studiosi hanno trovato traccia anche nelle decorazioni che mi abbelliscono”.
Che meraviglia! Sete di conoscenza, curiosità, voglia di sperimentare, desiderio di connessione con il mistero non incasellabile nella ristretta logica umana; tutto fuso con l’arte, con la bellezza di questo posto. Insomma, davvero un qualcosa che potremmo definire con una sola parola: magia…
“Il mistero che avvolgeva i suoi esperimenti e i suoi studi – riprende la Cappella – insieme ai sinistri rumori e bagliori che baluginavano, nottetempo, nei vicoli intorno al palazzo, contribuirono ad alimentare la leggenda nera, che aleggiava intorno alla figura del Principe. Il popolo napoletano era insieme attratto e smarrito, davanti alle eccentricità e alla genialità di questo novello Faust sempre preso da qualche nuova invenzione. In realtà, l’indole di Raimondo era portata ad un genuino umorismo e ad una creativa iperattività. Fu pioniere nella realizzazione dei fuochi pirotecnici, a cui conferì esiti di forme e colori diversi, con risultati stupefacenti”.
Ma cosa si sa dei suoi esperimenti? incalziamo Olga ed io.
“Purtroppo ben poco. Anche per me, spettatrice silenziosa, molti dei suoi esperimenti e progetti sono rimasti sconosciuti. Anche dei suoi innumerevoli e criptici scritti, rispetto alla mole originale, ci è rimasto poco. Il Principe era restio a condividere le sue scoperte, se non con pochissimi eletti; non sappiamo se per una sorta di ritrosia relativa al suo universo creativo o se per timore verso l’autorità che lo aveva costretto ad abiurare principi in cui credeva fermamente. Cosi, non verremo mai a conoscenza delle dinamiche relative alla realizzazione di molte sue opere. È così, ad esempio, per le celebri macchine anatomiche, che voi visitatori venite ad ammirare, con un misto di ribrezzo e meraviglia, nella mia Cavea”.
Macchine anatomiche? – chiediamo smarrite –. Di cosa si tratta?”
Ma anche questa volta il tempo è scaduto. L’incantesimo si è rotto. La Cappella torna nel suo silenzio di pietra. Ci voltiamo ad incrociare di nuovo lo sguardo austero di Raimondo. Non abbiamo dubbi. Ora i suoi occhi vogliono comunicarci che è arrivato il momento di andare. Sembrano volerci dire che, se veramente siamo interessate ad addentrarci nei segreti alchemici dell’esistenza, una delle doti che dobbiamo allenare e sperimentare è la pazienza. Il saper correggere il moto impetuoso della nostra anima che vorrebbe conoscere tutto e subito. E il saper, al contrario, imparare ad abbandonarci al flusso delle cose, con i suoi tempi e i suoi percorsi.
Le voci della strada là fuori, oltre la porta che separa il mondo ordinario da questo mondo fantastico dove siamo piombate, ci riportano alla realtà. Usciamo. I raggi del sole nel cielo terso trafiggono i nostri occhi abituati alla penombra della Cappella, i rumori rimbombano nelle nostre orecchie allenate ad ascoltare la voce sussurrata nel silenzio dalle mura della nostra interlocutrice. Va bene. Abbiamo imparato la lezione.
Pazienza. Saper stare nel mondo ma con la consapevolezza che c’è un altro mondo oltre queste persone immerse nella loro quotidianità che a prima vista sembra assorbire tutto. Accogliere i messaggi, percepire i segnali sottili. Connessione. Con questa realtà ordinaria ma al contempo con la magia che c’è oltre, nascosta nei meandri arcani della vita che solo chi è disposto a percorrere può vedere. Forse è proprio questo il significato profondo dell’esoterismo. Così come lo intendeva Raimondo.
(3 – continua)