Saint Martin: un viaggio nell’anima dell’Africa – Racconto

Per Insoliti Viaggiatori – Viaggi per Umani il primo racconto propostoci da Duccio Rugani

Questa settimana, il Direttore mi ha fatto un regalo inaspettato: mi ha concesso di pubblicare una sua storia. Non sapevo nulla di questo pezzo della sua vita fino all’intervista che gli ho fatto qualche tempo fa, e confesso che, oltre alla curiosità, sono rimasto profondamente affascinato dal racconto che state per leggere.

Prima di lasciarvi alle sue parole, ricordo che questo racconto descrive un’esperienza di cooperazione “community based” dove è la collettività locale che decide le risorse a disposizione di qualsiasi progetto. Grazie alla collaborazione con la diocesi di Padova e la grande ONG Cuamm Medici con L’Africa sono stati raggiunti risultati di tutto rilievo nel riportare alla vita sociale ed economica della comunità centinai di soggetti portatori d’handicap. Ci troviamo in Kenya, qualche anno fa.

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Soggiorno al Saint Martin

La chiesa è panciuta, ma la struttura è piacevole: quarant’anni portati bene. La circonda un prato verde, qualche albero, fiori. Le bimbe del coro provano all’aperto. Poco più in là, dopo una siepe, c’è il cortile del Saint Martin: una palma spennacchiata è l’abbellimento fatto da chi ha la voglia ma non il tempo di badare all’aspetto.

Direttore un religioso cattolico, vicedirettore una donna protestante, presidentessa un avvocato di grido in una società dove la mutilazione femminile è il prezzo della maturità; tre costruzioni basse e lunghe, stanzette, uffici, qualche computer, oltre una cinquantina di dipendenti, veicoli e fuoristrada dell’associazione in perenne allerta.

Le Thomson Falls un “salto” di 74 metri del Ewaso Ng’iro River

Oltre il cancello la strada per le cascate, unica meta per turisti e, più in là, la pista per il brullo Nord che costeggia, prima di lasciare la città, una delle tante baraccopoli. Tutto intorno c’è Nyahururu, capoluogo di un distretto di 580 mila abitanti i cui bisogni sono direttamente proporzionali alle incoerenze di uno sviluppo a troppe velocità.

Il tasso di alfabetizzazione, degno dei “paesi civili”, è un vanto del governo, ma fin dagli inizi il credo insegnato è “to be number one”, cioè eccellere; e chi non è ricco o migliore degli altri conosce presto gli strappi della selezione. Ragazzi di strada che, come adulti, si inebriano con distillati tossici arricchiti da uno schizzo di candeggina; più spesso il “sogno” è colla da falegname aspirata fino a istupidirsi e, se si è donna, anche tre gravidanze prima della maggiore età. Una pacchia per il diffondersi delle malattie: devastanti le infezioni, mentre l’Aids, se continua così, si porterà via nel giro di cinque anni un quarto degli abitanti del Kenya.

Circondati da stranezze e vastità africane, la realtà giunge senza preavviso. A ricevere una comitiva di turisti/donatori provenienti dalla “Sinistra Piave” c’è Monica, bella ragazza, un po’ magrolina. Poi comincia a parlare: “Ho 25 anni e ho avuto cinque figli, sono contagiata, tre bambini li ho persi per l’Aids, non sapevo dove andare finché al Sant Martin ho conosciuto gente come me. Non sono più sola, non rimarranno soli”. Ci si sente piccoli, ma consci che negli occhi di questa donna la speranza non si è spenta… E dire che solo ieri gli hanno bruciato il negozietto messo su con il microcredito del Saint Martin; e dire che non avrà mai trent’anni…

Se vogliamo chiamarlo il centro commerciale… possiamo.

Organizzazione, presenza, amore e solidarietà. Quattro modi di esprimersi di don Gabriele, il boss, che ai kikkuyu, l’etnia più numerosa, predica in dialetto e che non crede nella definizione “terzo mondo” perché di mondo ce n’è uno solo e semmai il discorso da fare è sulle ingiustizie.

Per lui l’Africa ce la farà: non sa come, ma in fatto di fede i misteri sono ammessi. Conosce una donna nomade con due figli, l’uno pastore come lei, l’altro agricoltore con due figli; l’uno al lavoro in fabbrica, l’altro diplomato e abile nell’uso di internet. Sembra una parabola ed invece è la realtà: rivoluzioni agricola, industriale e tecnologica in due generazioni.

Un concentrato di opportunità ed ingiustizie dove tutto è possibile compreso il Comune che taglia l’acqua all’ospedale civile perché moroso nei pagamenti e dove l’immagine simbolo si trova svoltando un angolo: un cavo del telefono trascinato verso terra da una liana eppur funzionante.

Gli street children del Saint Martin Csa

Don Luigi, quarant’anni in Africa e saggia guida spirituale della comunità, si dice consapevole finalmente di non saper proprio nulla. Pare esser questo il mal d’Africa: l’evidente che si fa inafferrabile. La Chiesa allora deve rendersi più semplice: più amore meno devozione, più darsi meno chiedere. C’è scritto nel Vangelo. Pani e pesci, Gesù non li moltiplicò. Li ottenne da chi li aveva e li divise tra la gente; ed il miracolo che avvenne fu quello di trasformare la moltitudine in famiglia, quello di rinviare ciascuno alla propria casa consapevole della forza del condividere.

Così è nato il progetto “comunitario” del Saint Martin; così un orfano per il quale non si possono trovare nuovi genitori, entra a far parte di una famiglia che si impegna a dargli ricovero e parte del vitto, un benefattore gli pagherà i farmaci in caso di malattia, gli alunni di un’intera scuola si autotasseranno per uno scellino (30 lire) e gli pagheranno la frequenza.

Ecco spiegata la ricetta del Saint Martin che consente all’associazione, da un anno all’altro, di continuare ad aiutare ragazzi di strada reali e potenziali, orfani, invalidi ed emarginati senza implodere sotto il peso della propria misericordia. E questa istituzione non è un isolato fortino missionario, ma un  brulicare di diversità che interviene tramite progetti studiati in loco e sostenuti sia dall’estero che localmente come il recente “harambee”, una colletta danzante e gaudente per i bambini disabili cui hanno partecipato migliaia di cittadini.

Un’altra sensazione forte di chi visita una realtà simile è rappresentata dal desiderio crescente di poter operare per aiutare. Principali attori per il Saint Martin sono tuttavia i destinatari stessi dell’intervento.

Duccio Rugani, in una pausa tra le visite ai progetti

Per la disabilità infantile si è cominciato negando il fenomeno, poi “trovando” 1600  minori nel circondario del Saint Martin fino allora segregati dalle famiglie perché ritenuti frutto del malvolere divino, quindi si è dato via al progetto vero e proprio di sostegno.

In parole stringate, il “Cuamm-Medici per l’Africa” ha assicurato un minimo di presenza specialistica, mentre tutta la “manodopera” è stata garantita dai genitori dei bimbi invalidi, quasi tutti per mancanza di ossigeno alla nascita, resi liberi dai pregiudizi e quindi di amare i propri figli più sfortunati. Ed è un vero e disperato amore il loro quando sostengono e distraggono bambini bellissimi eppur deformi su materassini e divaricatori.

La visita al Saint Martin si chiude con la sensazione che qualcosa sia stato scritto nell’intimo. L’ultima consapevolezza è quella che là c’è spazio per tutti coloro che conoscono il significato della parola condividere e che l’operazione Saint Martin, oltre ad esprimere amore, rappresenta davvero un aiuto sostanziale a una comunità che vuole imparare a farsi del bene.

Duccio Rugani

Grazie Duccio e ora che sei entrato in questo club mi aspetto da te altre storie. È una promessa.

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