Emilio Radice, giornalista di lungo corso e viaggiatore instancabile, ha percorso chilometri in solitaria attraverso paesi come la Turchia, l’Iran e l’Afghanistan, trovando nel viaggio il cuore dell’incontro umano. A Mashhad, una delle città sante dell’Islam sciita, l’incontro con un Imam e il racconto di San Francesco si trasformano in un’esperienza unica, tra curiosità reciproche e un tocco di umorismo. Ve li propongo in modalità intervista…
Carissimo Emilio, siamo a Preci, in Umbria. Tempo fa nel corso di un’altra chiacchierata mi avevi promesso di raccontarmi una storia, le promesse vanno mantenute, no? Come si dice… E poi l’Umbria è zona di Santi, bisogna essere buoni e quindi direi che casca a pennello. Raccontami un po’.
“Hai ragione, l’Umbria è davvero zona di Santi, e questo mi dà un aggancio perfetto per una storia che voglio raccontarti. Sono andato diverse volte in Iran, ma una delle ultime, un paio d’anni fa, mi sono spinto fino a Mashhad. È nell’estremo angolo nord-orientale del Paese, quasi al confine con l’Afghanistan e il Turkmenistan. Pensa, dista solo una settantina di chilometri da entrambi i confini”.
Mashhad? Non ne so molto. Cos’ha di speciale?
“Mashhad è una città santa per l’Islam sciita, una delle più importanti dopo Qom e Karbala. È un luogo di pellegrinaggio paragonabile a Lourdes per i cristiani. Le persone vi si recano per visitare il santuario dell’Imam Reza, una figura veneratissima dagli sciiti. Non ti sto a spiegare tutti i legami con Maometto e la religione sciita, ma ti basti sapere che gli iraniani vanno lì quasi esclusivamente per pregare. La città è in continua espansione per accogliere i pellegrini: costruiscono nuovi hotel ogni anno. Quando ci arrivi, ti sembra di essere a Lourdes, con file di carrozzine di persone che cercano una benedizione o un miracolo”.
E noi occidentali? Possiamo entrare?
“Ufficialmente no, l’accesso al santuario è precluso ai non musulmani. Tuttavia, questa regola viene applicata con una certa tolleranza. Nel cuore di Mashhad, c’è quindi questa città nella città, grande quasi come il Vaticano, circondata da alte mura che si espandono continuamente per inglobare nuovi quartieri, moschee e luoghi di preghiera. Al centro di tutto c’è la tomba dell’Imam Reza, illuminata da un verde brillante, il colore sacro dell’Islam”.
E cosa succede lì davanti?
“Succede di tutto. Vedi persone che pregano in lacrime, che si strappano i capelli, che si inginocchiano o vanno in deliquio. È un’atmosfera di fervore incredibile, qualcosa che non puoi ignorare. Devi entrarci con prudenza, senza arroganza, e rispettare profondamente chi prega. Io mi sono mescolato ai pellegrini e, facendo la fila, sono arrivato fino alla grata che circonda la tomba. È lì che portano i bambini per esporli ai “raggi verdi della santità”. Ho partecipato al rituale insieme a loro senza farmi scoprire. Ma ti confesso, devi fare attenzione: tra la folla potrebbe esserci qualcuno più zelante che si accorge di te e crea problemi”.
Deve essere stato emozionante…
“Lo è stato. Ma oltre alla dimensione spirituale, ci sono cose incredibili da vedere. La parte più antica del santuario conserva strutture che risalgono all’epoca di Tamerlano, con elementi che ricordano Samarcanda e tutta quella civiltà. Siamo nell’incrocio tra Samarcanda, Mashhad e Herat, una zona densissima di storia e cultura. Dopo aver esplorato il santuario, partecipando ai rituali e mescolandomi ai pellegrini, sono riuscito persino a scattare qualche fotografia. È curioso: le macchine fotografiche non sono ammesse, ma il telefonino, considerato un elettrodomestico di uso comune, viene tollerato. Così, con discrezione, ho potuto immortalare alcuni momenti”.
“A un certo punto – continua Emilio -, però, mi sono sganciato dalla zona di maggior fervore religioso. La folla era incredibile, migliaia e migliaia di persone, un’atmosfera densa come alla Mecca. Mentre girovagavo verso l’uscita, ho notato un cartello in inglese. Diceva che i pellegrini stranieri dovevano essere ospitati, rifocillati, e che avevano diritto a biglietti gratuiti per visitare i musei interni della città santa, dove sono conservati reperti della storia islamica dell’Iran”.
E tu, cosa hai fatto?
“Beh, mi sono detto: “Io sono un pellegrino straniero!” Così ho deciso di rivelarmi. Sulla piazza c’erano degli inservienti con una sorta di “scaccia-mosche” in mano: un manico corto con una coda di cavallo all’estremità, usata per mantenere ordine tra la folla. Mi sono avvicinato a uno di loro e gli ho detto in inglese: “I am a pilgrim, a foreign pilgrim”. A quel punto si è scatenato un piccolo caos. Non si erano accorti di me prima e, vedendo uno straniero, hanno chiamato immediatamente la security. Sono arrivati uomini in giacca e cravatta, mi hanno preso e portato in una stanza interna, riservata. La prima cosa che hanno fatto è stata offrirmi del tè e farmi sedere”.
“Dopo poco – aggiunge Emilio – è arrivato uno dei religiosi del santuario, un Imam. Indossava un turbante bianco e una tunica immacolata, con paramenti marroni. Si è seduto davanti a me, con la sua barba curata, e mi ha chiesto perché fossi lì”.
E tu, cosa gli hai risposto?
“Gli ho detto che ero lì perché ero curioso della loro civiltà, perché volevo capire di più. Mi hanno dato un modulo da compilare, dove dovevo scrivere cosa avevo visto, cosa mi era piaciuto e cosa no. Poi mi hanno offerto anche dei dolci. A un certo punto, l’Imam mi ha chiesto: “Cosa l’ha colpita di più qui?”. Mi aspettavo che volesse sentire un elogio ai monumenti, ma ho risposto con sincerità: “La cosa che mi ha colpito di più è la gente che prega”. Lui ha alzato lo sguardo, visibilmente sorpreso, e ha detto: “La gente che prega?”. Ho continuato: “Sì, perché mi ricorda la gente che in Italia va a pregare sulla tomba di San Francesco ad Assisi”. Lui si è incuriosito e mi ha chiesto: “San Francisco? L’America?” Ho spiegato: “No, Assisi è in Italia, vicino a Perugia. San Francesco è un santo molto importante per noi”.
E lui come ha reagito?
“Era affascinato. Mi sono ritrovato, in quello che è forse il cuore del potere religioso sciita, a raccontare la storia di San Francesco, un santo cristiano. Un paradosso, se ci pensi: lì, in uno dei luoghi più sacri per gli sciiti, stavo parlando di un uomo che rinunciò a tutto per i poveri, un messaggio universale ma profondamente legato alla mia cultura. Poi, quasi senza rendermene conto, ho iniziato a recitargli il Cantico delle Creature in inglese: “Sorella acqua, Fratello fuoco…” Lui era incredulo, con gli occhi spalancati. Ha iniziato a prendere appunti mentre io proseguivo, e sembrava sempre più colpito. Per lui era una rivelazione inaspettata, qualcosa che non avrebbe mai immaginato. Alla fine, mi ha stretto la mano con grande calore e mi ha invitato a tornare il giorno dopo. Mi ha detto che mi avrebbero guidato nei luoghi del santuario chiusi al pubblico e che avrei potuto vedere i musei. Prima di congedarmi, mi ha promesso che avrebbero cercato informazioni su San Francesco su internet. Era rimasto davvero colpito dalla storia che gli avevo raccontato”.
Incredibile, Emilio. Mi sembra una scena quasi irreale!
“Lo so. È stato sorprendente. Ma il momento più buffo doveva ancora arrivare… Dopo il lungo colloquio con l’Imam, mi hanno accompagnato a recuperare la macchina fotografica che avevo lasciato all’ingresso. Ed è qui che è successo uno degli episodi più imbarazzanti e comici della mia vita. Uno dei religiosi che mi accompagnava – una sorta di “prete” sciita, diciamo – mi ha chiesto quale fosse il mio lavoro. Ora, io sono un giornalista in pensione, ma non dico mai di esserlo durante i viaggi, soprattutto in luoghi delicati come quello, perché cambia completamente il rapporto con le persone. Così, avevo detto che ero un insegnante di italiano”.
“Lui continua Emilio -, molto interessato, ha risposto che anche lui era un insegnante, ma di persiano. Si è subito mostrato curioso riguardo alla mia attività didattica, un campo in cui, devo ammettere, sono assolutamente ignorante. A un certo punto, mi fa una domanda: “Quante lettere ha l’alfabeto italiano?”
Oh … e tu cosa hai risposto?
“Confesso che in quel momento mi sono bloccato. La mia mente si è completamente svuotata, e gli ho risposto: “Diciotto”. Lui sgrana gli occhi: “Così poche?”. A quel punto ho realizzato l’errore, ma era troppo tardi. Mi sono arrampicato sugli specchi, cercando di giustificarmi: “Beh, non è come l’alfabeto inglese, noi non abbiamo la W, la Y, e altre lettere…”. Insomma, ho cercato di tamponare, ma il danno era fatto”.
E lui ci ha creduto?
“Non lo so, ma è stato gentile e non ha insistito. Poi mi ha invitato a visitare la sua città, nel nord dell’Iran, dove si trovano le miniere di lapislazzuli. Non ci sono mai andato, ma devo dire che non escludo di tornarci un giorno. Conservo ottimi ricordi di quel viaggio”.
Che dire, Emilio, una storia incredibile! Grazie per averla condivisa. Spero davvero di sentirne altre presto…
“Con piacere! Alla prossima”.