Sulla strada a volte s’impara la vita

Sulle erte andine la visione di Vinacunca ti permette di guardare al Mayu, il fiume delle costellazioni

I viaggi ci portano verso luoghi straordinari, ma spesso ci insegnano qualcosa di profondo, qualcosa che va oltre il semplice vedere. Tra i tanti luoghi straordinari che ho visitato, ce n’è uno che mi è rimasto particolarmente impresso, tanto per la sua bellezza quanto per ciò che rappresenta.

Oggi quindi vi racconto di una montagna che sembra dipinta dal cielo, ma che custodisce anche un messaggio per chi sa ascoltarla. Un luogo dove natura e spirito si intrecciano in un dialogo eterno: la Montaña de Siete Colores, nel cuore delle Ande peruviane.

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Il Fiume Celeste e la Montagna dai Sette Colori

La Montaña de Siete Colores, conosciuta anche come Vinicunca, non è solo un luogo geografico: è un portale verso un altro mondo, un incontro tra cielo e terra che sfida ogni immaginazione. Situata sulle Ande peruviane, nella regione di Cusco, questa montagna è famosa per i suoi incredibili colori e per l’atmosfera magica che la circonda.

Ne avevo letto per la prima volta sul National Geographic, in un elenco dei cento luoghi da visitare almeno una volta nella vita. Ma ciò che mi spinse davvero a intraprendere questo viaggio non fu solo il desiderio di vedere un posto straordinario: volevo immergermi nelle storie antiche che parlavano di Pachamama, la Madre Terra, e del Mayu, il fiume celeste che gli antichi andini vedevano nella Via Lattea.

Era il 10 novembre 2018, e alle 5 del mattino la sveglia mi strappò dal sonno. Con un mate de coca e un caffè lungo cercai di scuotermi, sapendo che mi attendeva una lunga giornata. Attraversammo Cusco in un traffico rarefatto e proseguimmo su una statale polverosa, costeggiando paesaggi che sembravano usciti da un altro tempo. Dopo circa 120 chilometri raggiungemmo Checacupe, un piccolo villaggio nascosto tra le montagne.

La salita verso la Montaña de Siete Colores iniziò con le moto su una strada sterrata che si arrampicava lungo un torrente impetuoso. Ogni curva rivelava un paesaggio diverso: piccole capanne dal tetto di paglia, prati verdi interrotti da cespugli lanosi, e, più in alto, i ghiacciai perenni delle Ande. Ogni metro conquistato era una fatica, ma ogni respiro mi avvicinava a quel mondo che immaginavo.

Raggiunto il piazzale di sosta a 4.480 metri, iniziammo il trekking a piedi. Il sentiero si snodava in una valle verde e si arrampicava con fatica verso il crinale. Da un lato, spiccava una montagna triangolare di un rosso acceso, quasi surreale, che sembrava emergere direttamente dal cuore della terra. Dall’altro, pendii coperti da una miriade di sfumature – giallo, verde, arancione – si alternavano come una tavolozza disegnata da mani divine.

Più avanti, un piccolo lago scuro rifletteva i colori delle montagne che lo circondavano. Il contrasto tra il cielo azzurro, il verde dei prati e le striature delle rocce creava uno scenario che sembrava irreale. Ogni passo verso la vetta era una conquista, e il respiro si faceva più corto, ma la bellezza che mi circondava mi spingeva a non fermarmi.

Finalmente arrivai al crinale. La Montaña de Siete Colores sembrava respirare vita: ogni sfumatura si accendeva e si spegneva con il passaggio delle nuvole, in un gioco di luce che trasformava il paesaggio a ogni istante. Restai immobile, sopraffatto dall’emozione. Una lacrima scese silenziosa, mentre contemplavo quel miracolo della natura. Mentre mi incamminavo verso la discesa, sapevo che quelle emozioni non le avrei mai dimenticate. La montagna mi aveva parlato in silenzio, lasciandomi un’impronta indelebile.

La discesa fu faticosa, con gambe tremanti e una testa dolente che mi ricordavano l’altitudine estrema. Esausto ma felice, trovai rifugio quella sera nella Casona di Checacupe. Chiamarla albergo sarebbe stato riduttivo. Attraversammo una piccola porta che ci costrinse ad abbassare il capo, quasi in segno di umiltà, per entrare in una corte tranquilla, illuminata dalla luce morbida del tramonto. Una palma dominava il centro, mentre la ragazza che ci accolse sorrideva con due occhi profondi e sinceri.

La grande sala centrale era un salotto, una sala da pranzo e una reception insieme. Mobili vecchi, non antichi, raccontavano storie di vite vissute. Durante la cena, il manzo che ci servirono aveva il sapore autentico di ciò che cucinava mia nonna, un sapore che mi fece sentire a casa.

Quella notte, avvolto dalle pesanti coperte, ripensai al cielo stellato che avevo visto nei giorni precedenti. Senza inquinamento luminoso, il Mayu, il fiume celeste, si era rivelato in tutto il suo splendore. Gli antichi andini credevano che l’acqua, dopo aver percorso le montagne e i fiumi, si raccogliesse nel Rio delle Amazzoni per poi salire al cielo, lungo la Via Lattea, e tornare alla terra attraverso la pioggia, nutrendo la Pachamama.

In quel ciclo eterno di cielo e terra, vidi una connessione che noi moderni spesso dimentichiamo. Forse la Montaña de Siete Colores non è solo un luogo, ma un promemoria di quanto sia fragile e sacro il nostro legame con la natura.

Oggi, non so se si possano ancora provare queste emozioni percorrendo l’impervia via, o se il becero turismo abbia raggiunto anche questi luoghi, alterandone l’essenza. Ma vi invito a provare. Camminate con rispetto, lasciate che ogni dettaglio della natura vi parli, e ascoltate. Ogni passo che farete rimarrà impresso nella vostra anima per sempre.

E mentre il viaggio prosegue, vi invito a seguire Andata e Ritorno per il prossimo appuntamento, giovedì, con un’intervista speciale che darà voce a chi, come me, ha trovato nel viaggio non solo strade, ma anche storie. Continuate a esplorare con noi su Siena Post, perché ogni viaggio, come ogni racconto, può lasciarci un segno indelebile. A presto!

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