Verso il Regno di Lo le pietre “trappola” e la danza per l’universo

Quando l’uomo chiamato Dharan pone molte domande ricevendo poche risposte

Quarta parte di una “Vera Avventura nel Regno di Lo”, racconto di Luca Gentili. Nella prima delle sei puntate, tre settimane fa, lasciammo il protagonista, Dharan, finalmente giunto a Kathmandu, all’inizio della sua ricerca del “luogo dove il vento racconta storie dimenticate”, in quella di due settimane fa lo abbiamo visto scegliere come compagno di viaggio, Arman, un uomo dai mille segreti. Una settimana fa, nella terza parte del racconto, scavalca monti e attraversa fiumi a dorso di mulo verso la città di Pokhara in cui finalmente fa il suo ingresso…

४ Char – (quattro) Le gole di Gaṇḍakī e i lama danzanti

Giungemmo a Pokhara sul finire della sera. I bhatti (12) erano affollati di mercanti, per la maggior parte carichi di sale provenienti dall’altopiano tibetano. Dopo aver provato a chiedere rifugio e non trovando spazio in nessuno di quelli visitati, stanchi, decidemmo di dormire in un improvvisato rifugio vicino al lago Phewa, sotto un albero sacro. Accendemmo un fuoco e, avvolti nella coperta, attendemmo il mattino.

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I fatti dei giorni passati ci avevano quasi catapultato sino a quassù e ora le montagne dalle cime innevate e la calma quiete del lago facevano apparire il villaggio come un luogo senza tempo. Agognata sosta per chi veniva dalle montagne, punto di raccolta per chi dovesse intraprendere il cammino sulla Sangye Lhakhang Lam (La Via del Tempio di Sangye).

I mercanti

Per l’intera giornata ci intrattenemmo con i mercanti per carpire informazioni sul percorso e conoscere quali difficoltà avevano incontrato scendendo a valle. La strada aveva mille nomi e spesso facevo fatica a capire se il mercante parlava proprio del percorso che avremmo seguito per salire fino al Regno di Lo. Śāligrāma Ghātī Mārg era un nome con cui era conosciuto il sentiero lungo il sacro Gaṇḍakī, venerato sia dagli indù che dai buddisti e noto per essere il luogo dove si trovano le sacre śāligrāma śilā (29), simbolo di Vishnu.

Passammo la giornata a raccogliere informazioni e a riassortire le nostre provviste, contrattando i prezzi migliori. Al mattino presto iniziammo di nuovo il nostro cammino. Cercavamo di seguire, dove possibile, le valli, anche se arrampicarsi sui passi, in teoria era più breve, ma troppo lento e difficile. Seguimmo per un tratto il Seti, poi il Modi, che ci condusse direttamente alle enormi gole scavate dal Gaṇḍakī.

Il viaggio lungo le gole

In alcuni tratti camminavamo sotto pareti di roccia che sembravano volersi ricongiungere al lato opposto della valle, tanto erano inclinate sopra la nostra testa. Arman era diventato più taciturno; strappargli una parola era faticoso. Con occhi grandi guardava le rocce, le piccole frane e i sassi rotolati sul percorso.

Una mattina di splendido sole provai a indagare: “Arman, camminiamo da giorni e il tuo silenzio pesa più del carico sul mulo. Cosa stai nascondendo? Cosa ci attende oltre queste gole?”, mi rispose chiudendosi poi in un nuovo muto silenzio “Non tutto può essere raccontato, Dharan. A volte, sapere troppo rende il cammino più difficile”.

Cercai ancora di riprendere il discorso quando, fermi, cercavamo di rifocillarci mettendo insieme dali (27), geeu (28), e tsampa (20) tanto da formare un nutriente miscuglio. Provai facendogli credere che qualcosa sapevo, con le poche conoscenze che avevo recuperato parlando con un viandante. “Non ti chiederei informazioni se non fosse importante. Ho sentito storie… di grotte scavate nella roccia e di uomini che vi abitano ancora. Chi sono? E cosa custodiscono?”

Arman mi guardò e, con una certa esitazione, rispose: “Le grotte… sono ciò che resta di un passato che pochi ricordano. Un tempo non erano solo rifugi. Erano templi, scuole e fortezze”. Poi, indicando un sasso che a me pareva solo uno tra mille, disse: “Vedi quelle incisioni? Non sono buddiste. Sono più antiche. Gli uomini che vivevano nelle grotte seguivano una via diversa. Adoravano il vento, le montagne e le fiamme della terra. Erano maestri nel calmare gli spiriti degli elementi”.

Allora lo incalzai: “Ma il buddismo ha preso il loro posto. Cosa è successo a loro? Si sono piegati o sono scomparsi?” Arman aggiustò la voce e, come un monito, disse: “Alcuni si sono uniti ai nuovi monasteri. Altri sono spariti nelle caverne più profonde, dove il sole non arriva. Dicono che i loro canti ancora riecheggino nelle notti di luna piena, ma chi li sente raramente torna per raccontarlo”.

Tatopani e le sorgenti termali

Quel giorno arrivammo a Tatopani, un minuscolo villaggio di piccole case basse, dove nei legni potevi ancora intravedere tracce dell’arte dei Newari scolpita nelle scure travi di sal. Questo era un luogo ricco di acqua; un piccolo canale scorreva nel centro dell’abitato, racchiuso tra pietre sapientemente accostate. Il villaggio, a mezza costa, era letteralmente sopra una sorgente di acqua calda, concessa – si dice – agli abitanti del luogo direttamente da Varuna, il dio delle acque. Le sorgenti erano considerate un punto in cui gli elementi (terra, fuoco e acqua) si incontravano in armonia. Questo connubio naturale era visto come una manifestazione diretta delle forze divine.

Il Bhatti (12) era poco lontano dalla splendida vasca di acqua fumante. Poco più in là, il Gaṇḍakī scendeva rumoroso e la corrente era così forte da sembrare voler spezzare le levigate rocce. La stretta valle appariva chiusa dalla cima innevata dell’Annapurna.

Sistemato il mulo e scaricati i bagagli, ci avvicinammo alla vasca. Quando stavo per immergermi, Arman mi fermò tirandomi per un braccio. “Dharan, attento, questo non è solo un bagno. Devi rispettare le acque. Porta un’offerta, recita un mantra. Altrimenti… potresti portare con te più di quello che lasci”. Poi, mentre lo guardavo con aria interrogativa, aggiunse: “Qui si dice che la terra parli agli uomini, offrendo ciò di cui hanno bisogno. Le sorgenti non sono solo calde: purificano. Chi si immerge qui lascia dietro di sé le sue fatiche”.

Venne allora fuori un po’ lo spirito europeo che tanto cercavo di nascondere e sguaiatamente risposi: “Allora forse dovrei passare un giorno intero nell’acqua”.

Il giorno dopo non so se l’acqua calda avesse davvero risanato le mie ossa o se il buon pasto e la buona dormita mi avessero ridato energia, e anche Arman era meno cupo. Fintanto che, mentre gli indicavo una strana pietra, non gli chiesi: “Quelle pietre nere, sono le Śāligrāma (29)? Si dice che contengano il potere degli dèi. È vero?”

“Vishnu abita in ogni Śāligrāma (29) o almeno così dicono. Ma non tutte le pietre sono sacre, Dharan. Alcune… alcune sono maledette” – “Maledette? E chi lo decide?” – “Non è l’uomo a decidere. Quelle pietre vengono dalle viscere della terra, portate qui dal fiume. Alcuni credono che i vecchi abitanti delle grotte abbiano sigillato i loro segreti nelle pietre nere, trasformandole in trappole per chi non è degno”.

Marpha e i lama danzanti

Avevo l’animo in subbuglio. La stretta gola ora era aperta in un largo alveo ghiaioso; i sassi rotondi non rendevano agile il cammino. Mille rivoli d’acqua scorrevano tra le pietre, e a tratti, pur essendo nella stagione secca, il fiume riprendeva vigore, alimentato dai lontani ghiacciai, rendendo impossibile il passaggio. A volte, in lontananza, potevamo scorgere altre carovane. Poi, una mattina, intravedemmo il piccolo abitato di Marpha, con il suo monastero buddista. Passammo all’interno del Mani Lhakhang (30), con una lunga fila di ruote della preghiera. Mi attardai a ruotarle per purificare il cammino. Le case sembravano tutte vuote, poi, ai piedi di una lunghissima scalinata che portava al monastero, sentii il rumore dei tamburi che echeggiavano in lontananza. “Arman, senti quei tamburi? Cosa stanno celebrando?”

“È il periodo del Saga Dawa, dovrebbe essere la festa dei lama danzanti. Qui i monaci non solo pregano, ma raccontano antiche storie con i loro passi e i loro costumi. Seguimi, andiamo a vedere”.

La corte centrale del monastero era piena di gente. I lama, con grandi maschere di cervo, entravano lentamente, il rumore ritmico dei tamburi accompagnava i loro movimenti. I corpi, avvolti in vesti ricamate, sembravano muoversi in perfetta armonia, mentre le corna delle maschere si incrociavano come in un duello. A un tratto, uno dei lama teneva tra le corna un pezzo di stoffa traforata, simbolo dell’anima umana. Arman, a bassa voce, cercò di spiegarmi: “Dicono che questa rappresentazione richiami le lotte interiori che ogni uomo deve affrontare. Solo il più saggio riesce a portare via la stoffa senza distruggere l’equilibrio”.

La gente urlava, sembrava fare il tifo. Poi un improvviso cambio di ritmo: i lama dalle teste di cervo sparirono e il ritmo fece vibrare il salone del monastero. Entrarono i lama vestiti da scheletri, con maschere dipinte di bianco e nero. Ballavano in cerchio; le braccia si muovevano con grazia, mentre le gambe seguivano un ritmo più irregolare. Ogni tanto uno di loro si avvicinava al pubblico, “minacciandolo” con gesti teatrali. I tamburi avevano creato una tensione tale che il pubblico assisteva ora in silenzio, quasi con preoccupazione.

Mi rivolsi ad Arman dicendogli: “Sembrano venuti da un altro mondo. Perché così tanta energia per rappresentare la morte?”

“La morte non è una fine, Dharan. È solo un cambio di forma. Questa danza ci ricorda che ogni paura è solo un’illusione”.

Era ormai sera. Lanterne tremolanti proiettavano ombre sulle pareti del monastero, amplificando l’effetto delle maschere scheletriche. La danza finì in un movimento vorticoso, quasi caotico, poi i lama si fermarono improvvisamente, fissando il pubblico. In quei movimenti, in quelle maschere, c’era un insegnamento che non potevo ignorare. La vita e la morte, la lotta e la rinascita: tutto era intrecciato. Forse era questo il messaggio del mio viaggio.

Mentre, pensieroso, rimuginavo, Arman sorridendo mi pose una domanda: “Adesso capisci perché i lama danzano? Non è per il pubblico, ma per l’universo stesso”.

Il viaggio proseguiva e con esso nuove domande senza risposta. La strada verso il Regno di Lo era ancora lunga, e i misteri si facevano sempre più profondi.

(4 – continua)

Glossario

(12) Bhatti: Sorta di caravanserraglio – (20) Tsampa: Farina d’orzo tostata – (27) Dali: Yogurt – (28) Geeu: Burro chiarificato – (29) Śāligrāma: Fossili, simbolo di Vishnu – (30) Mani Lhakhang: Corridoio con ruote della preghiera.

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