Grandi opere, ma quale visione per il territorio senese?

Mobilità, energia, paesaggio: la sfida di una governance integrata per il futuro della Toscana meridionale”

Quando si parla di infrastrutture nel territorio senese, il dibattito tende a polarizzarsi attorno a singole opere attese da decenni: la Variante alla Cassia tra Monteroni d’Arbia e Monsindoli, il completamento e la messa in sicurezza della Siena–Firenze, il potenziamento della ferrovia Siena–Firenze, il destino della ferrovia Siena–Chiusi e il suo possibile collegamento diretto con Roma, la stazione dell’Alta Velocità cosiddetta “Media Etruria”, l’Aeroporto di Ampugnano e infine la Due Mari, l’E78 Grosseto–Fano che attraversa il cuore della Toscana meridionale.

Sono opere di cui si parla da anni, alcune con progettazione avanzata, altre ancora nella nebbia dell’indecisione o delle scelte romane. Alcune rispondono a necessità reali, altre sembrano rincorrere una logica di sviluppo ormai in ritardo rispetto alle sfide contemporanee.

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Tuttavia, c’è una domanda che rimane costantemente sullo sfondo e che raramente viene posta in modo esplicito: chi ha oggi il compito – e la legittimità – di fare sintesi e di definire le priorità per questo territorio? Chi stabilisce cosa viene prima e cosa può attendere? Qual è la cabina di regia istituzionale, tecnica e politica che guida la visione complessiva per il futuro della provincia di Siena?

È su questo punto che si gioca il tema della governance territoriale: non come un fatto amministrativo, ma come esercizio democratico, condiviso e responsabile della pianificazione di lungo periodo.

Nel frattempo, le occasioni si moltiplicano: treni ibridi già in circolazione sulla Siena–Chiusi aprono la possibilità concreta di un collegamento ferroviario diretto e competitivo con Roma; i cantieri sulla Siena–Firenze migliorano la sicurezza ma non risolvono il problema di un tracciato inadeguato; la stazione AV Media Etruria rischia di nascere in un’area priva di accessibilità reale, mentre i territori restano spettatori di decisioni prese altrove.

Le linee ferroviarie locali e il resto delle connessioni stradali, autostradali, infrastrutturali aspettano investimenti non solo in binari ed elettrificazione, ma anche in strategia. L’impressione che resta è invece quella dell’abbandono e delle chiusure. Qualcuno o qualcosa deve saper invertire la rotta di un racconto decadente e riportare l’attenzione su integrazione, riapertura di stazioni, valorizzazione turistica e connessioni con l’area vasta, la Regione, Firenze e con la capitale Roma.

Allo stesso tempo bisognerà capire che la mobilità è solo una parte del quadro. Che visione abbiamo per il nostro territorio nel contesto della transizione ecologica ed energetica? Perché non si tratta solo di viaggiare meglio: si tratta di vivere meglio. Di abitare un territorio che abbia accesso all’energia rinnovabile, a servizi di prossimità, a paesaggi protetti e al tempo stesso produttivi.

Per questo, ogni riflessione sulle infrastrutture non può escludere la dimensione energetica. Le comunità energetiche e gli impianti per l’autoconsumo sono un primo passo, ma dobbiamo anche chiederci se siamo pronti a valutare progetti di scala maggiore – impianti fotovoltaici o eolici – pensati con logica territoriale e con misure di compensazione ambientale per i territori che li ospitano.

Ci sono aree già compromesse, marginali, che potrebbero tornare a essere centrali in una strategia verde, purché non siano scelte calate dall’alto ma parte di una programmazione condivisa. Abbiamo abbastanza studi sulla ventosità e sull’irraggiamento solare? Sappiamo davvero dove e come si potrebbe installare produzione rinnovabile senza deturpare ma anzi rigenerare i paesaggi? E mentre cerchiamo nuove forme di energia, cosa facciamo per risanare le vecchie ferite? È tempo, ad esempio, di ottenere da Terna un impegno concreto al risanamento e all’interramento delle linee ad alta tensione che attraversano contesti di straordinaria bellezza, come le nostre terre.

Tutto questo ci riporta al punto di partenza: serve una visione integrata, che tenga insieme mobilità, energia, paesaggio e sviluppo locale. Una visione non calata dall’alto, ma costruita nel dialogo tra Comuni, Regione, forze sociali, professionisti e cittadinanza. Senza questa cornice, le grandi opere rischiano di restare occasioni mancate o di generare impatti sproporzionati e disallineati rispetto ai reali bisogni del territorio.

Le sfide che abbiamo davanti non si affrontano per somma di progetti tecnici, ma con scelte politiche coraggiose, che sappiano intrecciare innovazione e giustizia ambientale, sviluppo e cura del paesaggio.

Occorre una cabina di regia territoriale, un luogo dove fare sintesi, ascoltare competenze, orientare i finanziamenti, selezionare le priorità. In gioco non c’è solo l’efficienza dei collegamenti o la velocità dei treni: in gioco c’è l’identità stessa di un territorio che vuole rimanere vivo, bello e capace di futuro.

Chissà se le prossime elezioni regionali su questo diranno qualcosa?

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