La recente “vicenda del cambio del capogruppo” del Partito Democratico nel Consiglio Comunale di Siena, a prima vista un mero affare interno, si rivela, ad un’analisi più attenta, un sintomo eloquente di una più profonda crisi.
Due interventi, quello dei “Nuovi Democratici del Pd” e l’analisi di Pierluigi Piccini sul suo blog, pur con toni e prospettive diverse, convergono nel dipingere un quadro di stasi, autoreferenzialità e, soprattutto, una palpabile insicurezza.
Il comunicato dei “Nuovi Democratici del Pd” appare quasi come un documento sofferto, un tentativo di mediazione tra la lealtà al partito e la frustrazione per le sue dinamiche interne. Le loro parole, come “il Partito Democratico… appare ancora prigioniero di dinamiche interne, di correnti e di veti incrociati”, e “non si intravede nella sostanza il rinnovamento tanto atteso”, lasciano trasparire una lotta interna tra la volontà di restare e contribuire e la delusione per una realtà che sembra immutabile.
La nota suggerisce una costruzione faticosa, un testo in cui ogni parola è pesata, quasi per non rompere del tutto ma al contempo esprimere un disagio profondo. Si evidenzia il paradosso di un cambio che “ci si aspetterebbe… avvenga per motivazioni politiche precise”, ma che qui sembra dettato da logiche oscure, aggravate da “organismi dirigenti nel PD locale (che) si riuniscono raramente”.
L’allusione al fatto che “la recente elezione della segretaria Rossana Salluce (foto) avrebbe potuto rappresentare l’occasione per rilanciare il partito in un’ottica di rinnovamento” suona quasi come un’apertura, un suggerimento che la scelta della capogruppo non sarebbe stata di per sé un errore, se solo fossero stati coinvolti nella decisione. È una posizione che, in qualche modo, rinvia il problema della scelta in sé, concentrandosi più sulle modalità che sul merito. Il problema, per i “Nuovi Democratici”, non sembra essere tanto la settantenne che subentra alla trentenne, ma il non essere stati parte della decisione.
Ed è qui che l’analisi di Pierluigi Piccini si inserisce, mettendo in discussione proprio questo punto e offrendo una lettura più disincantata e diretta. Piccini, con la sua inconfondibile incisività, demolisce la narrativa del cambio come “atto di rafforzamento” e lo definisce “l’ennesima manovra interna, priva di senso politico”. L’affermazione “Si rimuove chi ha ricevuto legittimazione dagli elettori per sostituirla con chi quella legittimazione non l’ha ottenuta” è un colpo diretto al cuore della questione, sottolineando come la logica interna abbia completamente ignorato il dato oggettivo dell’età e della performance elettorale.
Per Piccini, il cambio del capogruppo non è un errore di procedura, ma un errore in sé, un sintomo di un partito che non comprende più la realtà. La sua critica è più radicale e sistemica: il PD di Siena è “prigioniero” non tanto di correnti, ma di una logica di “autoconservazione” che lo rende “incapace di dirigere i processi e di indicare obiettivi di interesse generale”.
Il dialogo tra i due testi è evidente. Ma mentre i “Nuovi Democratici” sembrano ancora aggrappati alla speranza di un cambiamento dall’interno, tentando di salvare il salvabile e suggerendo vie d’uscita onorevoli, Piccini appare rassegnato e critico, dipingendo un quadro di ineluttabilità. Il suo “ancora una volta, si cambia un volto per non cambiare nulla” è la conclusione amara di chi ha visto troppe volte la stessa “messa in scena”.
In definitiva, il “cambio della capogruppo” non è altro che la punta dell’iceberg di una questione ben più complessa. Il PD di Siena sembra bloccato in un limbo, incapace di scegliere tra il coraggio di una rottura con il passato e la rassicurante (ma sterile) continuità. Nonostante i punti a capo professati. E finché questa battaglia non sarà risolta, il problema verrà, come dice Piccini, semplicemente rinviato. E, purtroppo, nulla di significativo sembrerà cambiare.