Paolo Rossi, medico ormai in pensione, stimolato dalle suggestioni di Barbara Tomasini e Stefano Zani, neonatologi senesi che sono storicamente il caposaldo del Cuamm-Medici con l’Africa a Siena, è da anni il Presidente della onlus senese che supporta la ONG patavina: Jenga Insieme. E chiaramente l’associazione riverbera della sua ondaiolità giacché Paolo che è un presidente al quale è sempre difficile opporre un no, per la ricchezza di argomentazioni e per la pervicacia della sua azione, ormai da due lustri stimola i propri contradaioli sul tema, mai tanto d’attualità della cooperazione internazionale.
Per il 24 settembre, ore 18:00 la Cripta di San Giuseppe della Contrada Capitana ospiterà un evento a carattere nazionale, cioè la presentazione del libro “Quello che possiamo imparare in Africa” con la presenza del direttore dell’Opera San Francesco Saverio-Cuamm Medici con l’Africa, don Dante Carraro e la moderazione del direttore di RadioSienaTv Matteo Borsi. Alla tavola rotonda prenderà parte anche Mattia Fattorini, medico volontario di Jenga Insieme.
Paolo di nuovo nell’Onda per un evento che organizzi che ha lo scopo di stimolare l’acquisto del libro, l’ennesimo della Ong che ha sempre mostrato grandi qualità comunicative e per portare testimonianze sensibilizzanti di impegno sull’Africa. A te che sei stato particolarmente in Uganda per il Cuamm, l’Africa cosa ha insegnato?
“Più che insegnarmi qualcosa, mi ha consentito di aprire gli occhi su una realtà che finora mi era stata descritta da altri. La nostra Africa non è quella che si attraversa con Valtur o FrancoRosso: è una regione dai grandi bisogni nella quale entri in contatto con persone reali e problemi reali. Di certo ti rendi conto del perché così tanti migranti attraversano il deserto prima e il mare dopo per trovare uno spazio più sicuro che promette, almeno nel desiderio, di generare opportunità per la famiglia di ciascuno. Sono stato in Kenya e soprattutto in Uganda, paese soprattutto quest’ultimo dove nel così detto “ultimo miglio” manca tutto e dove la presenza del Cuamm risulta decisiva nell’insegnare ad aspiranti figure sanitarie, e più ancora alla popolazione, come si tutela la salute. Il nostro non è colonialismo scientifico, il nostro è un interscambio di relazioni, di rapporti, di condivisione. Una conoscenza che si confronta con un’altra conoscenza, una cultura a contatto con una cultura, senza che la prima prevarichi sulla seconda”.
La vostra tenacia nel perseguire la promozione di quest’associazione ha portato a risultati non banali per il Cuamm. Da tempo l’Aos senese, se non sbaglio, sostiene presidi ugandesi e kenyani e anche le partenze da Siena per la zona subsahariana non sono così rare…
“L’esperienza con l’Aous Siena e la Regione Toscana nasce nel 2005, quando con Barbara Tomasini e Stefano Zani, assieme alla direttrice d.ssa Semplici e alla d.ssa Biagioli, partimmo tutti insieme per l’ospedale di North Kinangop dove firmammo una convenzione che impegnava l’Aous a fornire medici e la Regione a finanziare le trasferte. Credo sia una esperienza formativa importante, non solo per noi che l’abbiamo fatta, ma anche per coloro che ci vanno. Insieme allo Junior Project rappresenta un momento di formazione e di crescita per i medici del futuro e anche per quelli che lavorano per la nostra Aous”.
Perché il Cuamm e non Emergency o Medici Senza Frontiere? Cosa ha consolidato il rapporto tra il tuo sodalizio e la Ong e per cosa l’avete preferito?
“Ho scelto il Cuamm, innanzitutto per l’amicizia e la stima nei confronti dei nostri due pionieri, i già citati Stefano e Barbara che, negli anni ’80, lavorarono a lungo alla maternità dell’ospedale di Nyeri alle pendici del Monte Kenya. Tuttavia, quando ho conosciuto meglio le altre realtà – e aggiungerei anche Save The Children – pur riconoscendone l’importanza a livello di cooperazione sanitaria mondiale, sono tornato ad apprezzare l’approccio del Cuamm che è “stanziale”, cioè arriva in aree dove la Sanità è sconosciuta e vi rimane, condividendo con la popolazione la crescita sanitaria. Pur intervenendo in aree a grossa necessità, il Cuamm non collega il suo intervento a guerre o epidemie. Quando in Sierra Leone abbiamo fronteggiato l’ebola assieme a Medici senza Frontiere, questi si occupavano del cordone sanitario, mentre i medici del Cuamm presidiavano l’unico ospedale approcciando la terapia, assieme ai sanitari locali e ai volontari cubani”.
Scusa una curiosità, state operando all’estero anche in questo periodo di Covid? E nel caso affermativo come ci si protegge? Quali sono le maggiori problematiche cui si va incontro?
“Stiamo riprendendo dopo un non breve periodo di assenza, nel quale abbiamo sostituito con l’impegno economico la nostra presenza. Siena in particolare ha donato 15 mila euro al nostro ospedale di riferimento che è quello di Aber in Uganda perché si potesse rifornire di mascherine in un momento in cui mancava tutto. Ora stiamo ricominciando a muoverci. Tre nostri medici sono attualmente in Africa: Luca Scali a Nairobi in Kenya, mentre Barbara Tomasini e Stefano Zani sono in Uganda per partecipare a un programma della Cooperazione Nazionale Italiana che selezioni i progetti da sostenere negli anni a venire. C’è una lista in via di formazione di medici – ci siamo anche mia moglie ed io – che hanno dato disponibilità per lavorare con il Ministero della Salute e studiare i posti, le necessità e la metodologia con cui potranno essere attuati questi progetti”.
Ci vuoi parlare di Mattia, uno dei tuoi, e anticiparci come potrà collocare la sua senesità nel contesto difficilissimo della salute dell’Africa Sud Orientale?
“Mattia l’ho conosciuto a Siena e con lui abbiamo fatto una bellissima serata, chiaramente nell’Onda, denominata “Le parole che contano”. Dovevamo ripeterla nell’Oca, ma nel frattempo sono iniziati i blocchi e l’unica socializzazione era rimasta cantare assieme dai balconi. Mattia è un ragazzo motivato; non proprio di Siena, ma di Chianciano. Ha scelto di presentarsi volontario, ha fatto il corso che il Cuamm organizza per i medici disponibili ad andare in Africa per periodi non brevi e quand’è arrivato in Africa si è occupato di gestione sanitaria operando tutta una serie di studi e ricerche per le vaccinazioni, il materno-infantile, la mortalità, raccogliendo materiali preziosi che ha anche usato per le sue pubblicazioni di specializzando. Vorrei ricordare che lo Junior Project è fondamentale per disporre la collaborazione di specializzandi: il Cuamm ha convenzioni con 21 università, compresa quella di Siena. La “senesità” per Mattia, come per gli altri, non è mai un problema: da noi vige l’imperativo che l’approccio alla comunità del luogo deve essere teso a comprendere e seguire ogni uso locale. In questo modo, ovunque tu vada, la comunità del luogo ti riconoscerà e ti permetterà di entrare nella loro struttura sociale che è cosa fondamentale per capire e quindi aiutare”.
Hai facoltà di chiudere, raccontandoci tutto quello che non ti abbiamo chiesto… E grazie ancora.
“Grazie dell’invito. Potrei parlare di come questi quasi tre anni di assenza dall’Africa mi hanno creato un senso di vuoto. Potrei dirti, comunque, che alla cooperazione internazionale non serve che tutti si vada in Africa, altrimenti rimarranno solo… posti in piedi. Ci si può sensibilizzare anche da qui, non solo con donazioni e sottoscrizioni, ma soprattutto organizzando eventi. Credo molto nel dialogo successivo a una testimonianza. Credo nella bontà della parola e dello scritto che consentono una conoscenza altrimenti preclusa. Certo, chi parla deve avere avuto un’esperienza caratterizzante e avere la capacità di trasmetterla; talvolta un’esperienza non è valida per tutti, ma è pezzo di vita vera che, aggiunto ad altri, dà la comprensione. Il mio pezzo di verità è che l’Africa ha davvero tanti problemi generati da siccità e malattie, tuttavia quello che frena lo sviluppo di questi Paesi è la necessità di mantenere lo status quo a livello politico-governativo da parte dei poteri forti. Per esempio, in Uganda, il Presidente, pseudo democraticamente eletto, è in carica ininterrottamente dal 1986 e di recente, sostenuto dall’Esercito, ha rifiutato di lasciare il potere quando ha perso le elezioni. Solo così si spiega che il 52% delle ricchezze mondiali siano in mano a meno dell’1 per cento della popolazione mondiale. Detto questo, grazie dell’opportunità datami e vi aspetto nell’Onda”.
(nella foto di copertina Paolo Rossi dopo un parto gemellare in Uganda)