Le sfide di Sarracino al Pd per tornare davvero a vincere

Con la conferenza stampa di venerdì si apre per il Pd della città una nuova fase. Si ricompone il fronte con la Ferretti e si supera la fase “dell’andare divisi per colpire uniti”, come qualcuno aveva motivato il mancato accordo di inizio mandato.

Un successo? Vedremo dal dipanarsi del confronto in Consiglio Comunale. Sicuramente un segnale. Chiaro. Il Pd vuole tornare a vincere al Comune di Siena.

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Come parla chiaro, almeno per chi lo vuole intendere, il programma di lavoro del Commissario Sarracino.

Alle future amministrative il Pd deve ottenere almeno gli stessi voti che ha preso alle europee. E, comunque anche così, che pure sarebbe molto, non basterebbero. Ci vorrà di più. Attorno a quei voti dovrà saper organizzare alleanze e convergenze tali da conquistare il cinquanta e uno per cento almeno al ballottaggio.

Il Pd non può più permettersi di perdere alleati e pezzi per strada. E’ già due volte che ci prova ad andare “libero”, della serie “chi mi ama mi segua”, e non è riuscito, nell’intento, lasciando il campo a De Mossi prima e ora alla Fabio.

Le ragioni del fallimento, in verità scarsamente affrontate e discusse, ma chiare sicuramente al Commissario, stringendo all’osso sono tre: la debolezza del gruppo dirigente e la incapacità di dialogo con pezzi di città; la fragilità del progetto e della visione di città; la perdita del radicamento nei territori e negli strati sociali della città.

Il Pd della città è apparso, e ancora appare – ma in questo non è il solo -, non come un partito ma come un insieme di tribù in conflitto perenne tra di loro. Gruppi dirigenti autoreferenziali che spesso hanno predicato bene ma razzolato male. Incapaci di attrarre altre forze.

Coloro che gli si sono contrapposti, e gli si contrappongono, non sono molto migliori (infatti le differenze si giocano sotto i mille voti), tuttavia hanno dalla loro un collante maggiore.
E poi lo stato attuale del Pd stride significativamente con le tradizioni dei partiti popolari, e di popolo, di cui dice, a ragione, di essere l’erede.

Tornare a vincere allora diventa uno sforzo quasi immane. Non basta dichiararlo, che tuttavia non è poca cosa.

Significa riallineare presente passato e futuro, che richiede un lavoro di lunga lena.

Il Pd probabilmente dovrebbe partire analizzando i punti di forza e di debolezza della Siena di oggi e, guardando in avanti, proporre una idea di città per il futuro.

Per far questo dovrebbe liberarsi dai lacci – messi da se stesso prima ancora che dagli altri – che lo legano alle responsabilità vere o presunte sul passato e in particolare al lutto mai elaborato della crisi della Banca Monte dei Paschi.

E’ vero che in diversi nel Pd affermano che è ora di parlarne – di Bmps – ma una discussione organizzata tarda ad essere messa in campo.

Un’idea di città presuppone leggerne i dati complessi del presente, chi sono e cosa fanno i senesi residenti, il loro reddito, la dislocazione del complesso delle risorse produttive, lo stato dei servizi, della sanità, del territorio, eccetera, con realismo senza tratti propagandistici a seconda delle convenienze.

Significa vedere gli intrecci tra territorio comunale, comuni vicini, provincia, regione. Avere una visione oltre “l’orto di casa”. Probabile invece che la fase di opposizione lo possa sospingere verso una impostazione da “la lista civica”?

Basterà organizzare una conferenza programmatica? I tempi ristretti lasciano qualche dubbio. Occorrono elaborazione, approfondimento, studio, ricerca dei dati, conoscenza e consapevolezza.

Così come non possiamo domandarci se basterà davvero una conferenza di organizzazione per superare le ormai annose lacune organizzative di assenza di una presenza visibile, strutturata in alcuni popolosi quartieri della città a partire da San Miniato e la zona nord della città.

Tuttavia con il Commissario venuto da Roma si è certamente aperta una pagina nuova.
Un organismo monocratico ha preso la guida del partito e ne sta scadenzando tempi e ritmi dell’iniziativa. Raccogliendo e indirizzando risorse e forze. Non è cosa di poco conto.

Sicuramente il lavoro del Commissario ha avuto un ruolo nell’allineare l’iniziativa locale con quella nazionale avviando un percorso che nel tempo possa ricomporre il Pd e collocarlo insieme al complesso delle forze di opposizione.

Il Commissario ci ha provato e ci sta provando, ma siamo ancora distanti da considerare definito il percorso capace di portare alla costruzione di una coalizione futura vincente.

Non si sfugge ad un punto: la prima risposta è tutta interna al Pd. Si deve riaprire il dialogo tra le diverse anime che, devono saper trovare le basi per un accordo che ridia fiducia a tutti. E’ l’unico modo perché anche l’esterno torni a dialogare e a fidarsi del Pd. Ma un percorso di fiducia di tale fatta e difficile da praticare.

Troppe le ferite aperte, i veti incrociati, e le richieste ancora sul tavolo che i responsabili delle sconfitte siano se non allontanati, almeno esonerati dai posti di comando.

Alla fine un governo davvero unitario del partito sembra scarsamente praticabile. E anche Sarracino lo esclude.


La crisi della maggioranza che ha guidato alla sconfitta precedente, l’assenza di una chiara capacità di discutere e di ritrovare in bandolo della matassa, l’aver consegnato la scena alla pura testimonianza ha bruciato tante energie e consumato tante ipotesi.

Per questo è assai probabile che alla fine gli appelli sull’unità che pure ci saranno non sortiranno effetti, e chi vorrà indicare la soluzione in un congresso unitario almeno dal punto di vista del confronto incontrerà più di una difficoltà.

Eppure sarà l’unica ipotesi che avrebbe qualche possibilità di concludersi con una maggioranza coesa che prenda la guida del partito, capace di darsi un segretario/a in grado di rappresentarla.

Non saranno un passaggio e un percorso facili quelli che il Commissario vorrebbe aprire quando afferma che il segretario o la segretaria del Pd dovrà essere riconosciuto come l’alfiere (lui ha parlato di paladino) dell’opposizione.

Qualcuno (chi?), dovrà ipotizzare minimi comuni denominatori per un compromesso accettabile. Iniziare l’amalgama, consapevoli che sarà, alla fine, quel gruppo dirigente – quel segretario/a – che dovrà gestire il percorso di individuazione del candidato sindaco e della coalizione che lo sosterrà.

Nessuno si siederà al tavolo per definire quella maggioranza congressuale se non ci sarà un disegno, un abbozzo dello scenario che porterà alle elezioni amministrative del 2028.
Qualcuno accetterà la politica della foglia di carciofo dello “scalino dopo scalino”? Basterà darsi garanzie reciproche di stima e legittimazione?

Bisognerà che qualcuno abbia chiaro percorso e punti di caduta e renderli apprezzabili e visibili. Qualcuno (ripeto chi?) dovrà proporre le basi per un accordo e individuare i garanti in grado di farlo rispettare.

Insomma chi vorrà il davvero riscatto del Pd dovrà saper far politica, conciliando risorse umane, materiali e immateriali, con i tempi e i ritmi della politica cittadina, che necessariamente saranno anche scanditi da altri, in particolare dalla coalizione che attualmente governa.

Un lavoro che non può essere fatto da un uomo solo al comando, tanto meno a “tempo perso” ma da un gruppo coeso e affiatato e inclusivo.

Un gruppo che andrà delineato tra estate militante, conferenza programmatica e conferenza di organizzazione per poi consolidarlo e legittimarlo al congresso.

Non sarà un percorso a tavolino, né del tradizionale metodo delle cooptazioni, ma succederà nella tempra del percorso.

Perchè, delle due l’una, tra quattro anni, o “non c’è due senza tre” e rivincono gli altri, la destra; oppure “alla terza canta il gallo”. Ma dovrà essere al posto giusto all’alba del giorno preciso.

Sarracino ha lanciato una sfida, vediamo chi la raccoglie.

Le foto sono state scattate all’aperitivo del Pd provinciale al Circolo dei Due Ponti

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