Piccini osserva Siena (e il Pd), come un dente che duole

Un nuovo articolo sul blog dell’ex sindaco fotografa la paralisi della politica senese

Pierluigi Piccini, in prestito per tre giorni alla settimana alla sua città d’infanzia come assessore, si gode l’aria fresca dell’Amiata e affronta con impegno i temi delle sue deleghe nel Comune di Piancastagnaio. Una sfida concreta, locale, amministrativa, nella quale ha ritrovato una dimensione operativa che Siena ha faticato a offrirgli.

Per il resto del tempo, Piccini continua a osservare il capoluogo da lontano e a parlarne con assiduità dal suo blog.

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La sua attenzione – come un dente che duole – è spesso rivolta al Partito Democratico, ancora alla ricerca di una rotta chiara in vista delle prossime amministrative.

Nel suo ultimo intervento, Piccini firma una riflessione lucida e impietosa: Siena è “una città immobile”, sospesa in un tempo politico che non riesce a rigenerarsi, incapace di esprimere leadership, progetti, visione. Il centrosinistra, in particolare, si muove senza bussola, bloccato tra vecchie rendite di posizione e alleanze ipotetiche.

Piccini intravede due nomi in campo: Tomaso Montanari e Massimo Bianchi. Il primo, storico dell’arte e attuale rettore dell’Università per Stranieri, è una figura di spicco del dibattito pubblico nazionale, da sempre vicino alla sinistra civica. Ma ha già fatto sapere che non intende candidarsi, preferendo un ruolo di regia e riflessione.

Il secondo, docente universitario e priore della Contrada della Torre, con un passato da assessore nella giunta Cenni, rappresenta un’esperienza consolidata ma forse troppo legata al passato per poter incarnare un cambiamento radicale.

Entrambi, osserva Piccini, mancano di quella forza di rottura di cui la città avrebbe bisogno.

Siena — scrive — non è più quella del tempo in cui MPS sosteneva un modello di benessere e coesione. Il legame tra banca, politica e territorio si è spezzato da tempo, lasciando dietro di sé fragilità economiche, nuove disuguaglianze, e soprattutto un vuoto identitario.

Ed è in questo vuoto che la politica avrebbe dovuto intervenire, immaginando una nuova funzione urbana per la città. Non più “città-banca”, ma forse “città del sapere, della cultura, della sostenibilità”. Invece, la paralisi. La continuità di un sistema senza visione.

Da Piancastagnaio, Piccini guarda con disincanto alla difficoltà cronica della sinistra senese di rinnovarsi. Il contrasto tra la vitalità amministrativa delle piccole realtà e lo stallo del capoluogo non potrebbe essere più evidente.

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