Santa Maria della Scala, ovvero la scommessa culturale di Siena. L’antica cittadella che da piazza del Duomo si sviluppa verso il Fosso di Sant’Ansano con i suoi 350.000 metri cubi d’estensione, è ancora oggi un ibrido: un po’ museo ma senza una direzione, un po’ polo culturale ma senza un vero progetto di sviluppo. Starà alla nuova Fondazione, nominata di recente, tracciare il destino di quello che si ritiene essere uno dei punti chiave per lo sviluppo della città.
L’antico Spedale è stato al centro del dibattito politico culturale degli ultimi quarant’anni, da quando da luogo sanitario divenne spazio espositivo e culturale. Politici ed intellettuali si interrogarono su cosa realizzare nelle sale di cura una volta trasferiti i malati. L’allora massimo esperto di arte italiana Cesare Brandi ipotizzò di trasformare l’antico Spedale nel polo della cultura, trasferendo lì tutti i musei cittadini. Quanto dell’eredità culturale dello storico dell’arte è stata rispettata, quali progetti sono andati a buon fine e cosa invece non è stato realizzato, ma soprattutto cosa è e cosa dovrà essere il Santa Maria della Scala nel futuro? Lo abbiamo chiesto a chi negli ultimi quarant’anni ha governato Siena e gestito questo enorme stabile nel cuore del centro storico.
Il nostro viaggio a ritroso nella storia moderna del Santa Maria della Scala inizia con Vittorio Mazzoni della Stella, sindaco di Siena dal 1983 al ’90, gli anni in cui avvenne il trasferimento dei reparti al nuovo policlinico e Cesare Brandi invitava il primo cittadino a pranzo per convincerlo a trasformare lo Spedale in polo museale.