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sabato, Luglio 19, 2025

Quando è che ti senti davvero adulto

Quando impariamo a prenderci cura di chi si è preso cura di noi?

Ci sono tappe della vita che sembrano segnare il passaggio all’età adulta. La fine degli studi, il primo stipendio, il trasferirsi da soli. Sono momenti importanti, certo, e spesso pieni di entusiasmo. Ma a volte somigliano più a un rito di passaggio simbolico che a un’autentica trasformazione interiore.

Poi arrivano le grandi svolte: costruire una famiglia, avere figli. Lì sì che tutto cambia. O, almeno, così ci sembra. Le priorità si rimescolano, il tempo prende un altro ritmo, e ti ritrovi a pensare a responsabilità che ti aprono il mondo dei grandi.

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E poi, ancora più avanti, arriva il giorno in cui un nipote ti chiama nonno. Ti guarda, ti interroga, aspetta da te. Sì, è un’altra tappa che sa di maturità e insieme di saggezza, anche se diversa: ti fa ricordare il bambino che eri e che è ancora in te.

Eppure, c’è un momento che segna forse il passaggio più profondo e definitivo all’età adulta.

È quando un genitore, invecchiando o ammalandosi, inizia ad avere bisogno. È quando ti accorgi che la persona che ti ha portato in braccio ora si appoggia al tuo di braccio per camminare. Quando le telefonate diventano più frequenti, più lunghe, più silenziose.

Quando sei tu a ricordargli le cose, a spiegargli i documenti, a tranquillizzarlo davanti a un mondo che non riconosce più.

Diventare adulti, davvero, forse succede proprio lì. Quando, per amore o per necessità, inizi a occuparti di chi si è occupato di te. Quando smetti di essere solo figlio e diventi anche una sorta di genitore di chi ti ha generato.

È un ribaltamento silenzioso, spesso faticoso, a volte struggente. Ma è anche un gesto di restituzione. Un modo imperfetto per ridare indietro almeno un frammento di ciò che ti ha fatto crescere.

Ed è lì che capisci che l’età adulta non è una conquista. È un passaggio. Anche doloroso. Ed è in quel passaggio fragile che si gioca il senso più profondo del prendersi cura.

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