A 40 anni dalla scomparsa, il ricordo di un uomo che ha attraversato da interprete i fatti del Novecento
Il prossimo 30 maggio, a Siena, saranno probabilmente in pochi a ricordare Vittorio Bardini, a quarant’anni dalla sua scomparsa. Eppure fu un uomo che segnò profondamente la storia politica e sociale della nostra città e dell’Italia intera, con una vita spesa all’insegna degli ideali di giustizia, libertà e progresso sociale.
Posso dire di averlo conosciuto, anche se tardi, nel 1975. Avevo diciannove anni, venivo da Chianciano, e arrivai a Siena per fare il segretario provinciale dei giovani comunisti. Lui era ancora senatore, presidente della Commissione Federale di Controllo: l’organismo che amministrava la giustizia interna e vigilava sul rispetto delle regole. Taciturno, un po’ in disparte, dall’aspetto burbero, portava con sé una storia che imponeva rispetto.
Eppure bastò poco – grazie soprattutto alla sua attenzione, alla voglia e alla curiosità di capire i giovani – perché rivelasse un’altra faccia: quella di un gigante buono. “Lo stalinista”, così qualcuno lo definiva a mezza voce, era in realtà un uomo profondamente attento al nuovo.
Nel 1977, quando pubblicò il suo libretto di memorie – poco più di cento pagine fitte di episodi, racconti, documenti – organizzai una presentazione per i giovani della FGCI. Erano anni difficili. Il terrorismo rosso aveva riaperto le ferite mai del tutto sanate sul rapporto tra rivoluzione e democrazia, sulle promesse tradite della Resistenza.
Il suo racconto fu chiaro, lucido, profondo: non solo sulle vicende politiche, ma anche su quelle umane. Le lotte, i sacrifici, la fatica con cui i comunisti italiani avevano scelto, senza ambiguità, la Repubblica e la Costituzione. Indimenticabile il racconto del suo viaggio in auto tra Roma e Siena, lungo la Cassia, dopo l’attentato a Togliatti: con la sua autorità, riuscì letteralmente a smontare ogni tentazione insurrezionale. Quella storia fu per tanti di noi un contributo essenziale per capire da che parte stare.
Oggi, qualcuno dovrebbe riproporla, quella storia. Lì ci sono le radici di un pensiero e di una prassi politica che stiamo forse dimenticando, ma che ancora ci possono aiutare a comprendere non solo da dove veniamo, ma anche che ogni conquista va difesa e costruita: non è mai un regalo, ma il frutto di un’iniziativa coerente e costante.
Con questo spirito, a quarant’anni dalla sua scomparsa, ripropongo questo piccolo ricordo. Perché penso che la sua vita a suo modo consegni un messaggio al presente: quello di un uomo che non ha mai ceduto all’opportunismo né al compromesso, ma ha sempre agito guidato da una visione alta e rigorosa della giustizia sociale e della libertà.
Nato il 15 settembre 1903 a Sovicille, figlio di operai, operaio lui stesso, Vittorio Bardini fu tra i primi, a intuire la reale minaccia che il fascismo rappresentava. Sin da giovanissimo entrò nel movimento comunista, distinguendosi presto per capacità organizzative e dedizione assoluta alla causa. Era a Livorno nel ’21 alla fondazione del partito. A soli ventidue anni era già segretario della federazione provinciale senese del Partito Comunista Italiano. Il regime fascista, che non tollerava alcuna forma di dissenso, lo colpì con durezza: fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale, trascorrendo anni in carcere. Ma il carcere, anziché piegarlo, rafforzò la sua determinazione.
Dopo una breve parentesi di libertà, Bardini si unì alla lotta internazionale per la democrazia e la giustizia, partecipando come volontario alla guerra civile spagnola nelle Brigate Internazionali, combattendo in difesa della Repubblica contro il franchismo. Quella fase della sua vita – al fronte, sotto il fuoco, al fianco di uomini e donne di tutto il mondo – rappresenta uno dei momenti più alti della sua militanza e del suo coraggio. Ma la sconfitta repubblicana lo condusse nei campi di concentramento francesi, da cui fu poi riconsegnato alla polizia fascista.
Neppure questa ulteriore tragedia lo fermò. Dopo l’8 settembre 1943, Bardini prese parte attiva alla Resistenza. Fu gappista, organizzatore e combattente nella lotta armata contro l’occupazione nazista e la Repubblica Sociale Italiana. Anche in questa fase la sua figura si impose per rigore, lucidità politica e capacità organizzativa.
Con la Liberazione, Bardini fu uno dei principali protagonisti della rinascita democratica italiana. Eletto all’Assemblea Costituente, contribuì con passione e competenza alla redazione della Costituzione della Repubblica Italiana, e successivamente fu eletto più volte in Parlamento, sia alla Camera dei Deputati che al Senato, distinguendosi per il suo costante impegno a favore dei lavoratori, dei diritti civili e della pace.
Ma accanto alla sua azione nazionale, Bardini mantenne sempre un fortissimo legame con la sua terra. Fu consigliere comunale a Siena, dove portò avanti battaglie concrete per migliorare la vita dei cittadini. La città lo omaggiò con la medaglia d’oro del Concistoro del Monte del Mangia, riconoscimento riservato a chi ha reso servizi straordinari alla comunità.
Nel 1977 pubblicò il suo libro di memorie, Storia di un comunista (Ed.Guaraldi, 1977, 119pg), un racconto asciutto e intenso, che ripercorre le tappe fondamentali della sua militanza, ma anche le emozioni, le sofferenze, i dubbi e le speranze di una vita interamente spesa per un ideale. La prefazione di Giancarlo Pajetta, figura storica del comunismo italiano, restituisce con forza e partecipazione l’importanza di Bardini: non solo un testimone della storia, ma un esempio morale, una guida per chi, allora come oggi, non accetta l’ingiustizia.
Pajetta lo definì “non un reduce, ma ancora un combattente”, capace di trasmettere coraggio e senso del dovere anche nei momenti più cupi. La sua esistenza – scandita da prigioni, fronti di guerra, clandestinità, responsabilità politiche – è paragonabile a un romanzo epico, eppure profondamente radicata nella realtà di un’Italia che cercava, tra mille difficoltà, di ritrovare la propria libertà e dignità.
Oggi, a quarant’anni dalla sua scomparsa c’è ancora bisogno di riflettere su figure come la sua, per orientarsi in un presente spesso confuso e fragile. Di coltivare la memoria di una generazione che ha lottato, sofferto e sperato, affinché oggi possiamo godere dei diritti e delle libertà conquistate. Il suo esempio parla ancora ai giovani, a chi crede che l’impegno civile e politico possa e debba essere vissuto con coerenza, coraggio e profonda umanità.