La sola generosità non basta per disarmare le frontiere, abbattere i muri interiori, costruire ponti di dignità. Ci vogliono fondamenta solide
di Clori Bombagli *
Disarmare le frontiere, abbattere i muri interiori, costruire ponti di dignità: l’appello di Ivano Zeppi ci richiama a una sfida alta, quella di riconoscere nell’altro un frammento di noi stessi. Ma Eugenio Neri ci invita a non dimenticare che la costruzione di ponti richiede fondamenta solide: non si può chiedere alla sola generosità di reggere il peso di disuguaglianze, povertà, insicurezze crescenti.
Se vogliamo andare oltre questa apparente contrapposizione, dobbiamo cambiare sguardo: accogliere non è semplicemente un atto di altruismo, è un progetto di società. E come ogni progetto, ha bisogno di regole, visione, investimenti. Non basta scegliere tra l’utopia senza limiti e il realismo disincantato: serve una terza via, che tenga insieme l’ideale della dignità umana con il pragmatismo della costruzione quotidiana.
Le sfide del nostro tempo – migrazioni strutturali, mutamenti demografici, crisi ambientali – ci obbligano a ripensare profondamente il nostro modo di concepire la comunità. Accoglienza e coesione sociale non sono alternative, ma parti inseparabili dello stesso cammino: non possiamo pretendere solidarietà senza garantire sicurezza, ma neanche sicurezza senza praticare giustizia.
Sono segnali ancora troppo limitati e poco praticati quelli intrapresi nell’ultimo periodo, in questa direzione: i corridoi umanitari che, laddove attuati, hanno permesso ingressi legali e sicuri, evitando tragedie nel Mediterraneo; le quote d’ingresso per settori strategici come l’agricoltura e l’assistenza che rispondono a bisogni reali del mercato del lavoro; i progetti di accoglienza diffusa che coinvolgono piccoli comuni e aree interne e che mostrano quanto sia possibile costruire percorsi di inserimento contro la ghettizzazione urbana.
Ma sono segnali ancora troppo parziali.
Non basta aprire le porte: bisogna avviare percorsi.
Accogliere significa oggi investire su scuole multiculturali di alfabetizzazione linguistica, che siano anche luogo di incontro, non di esclusione; significa rafforzare un welfare universale che protegga sia chi arriva sia chi già vive fragilità; significa costruire spazi urbani che favoriscano il mescolamento e la partecipazione; significa, infine, promuovere una narrazione politica che non opponga “noi” a “loro”, ma racconti le sfide comuni di un’umanità che cambia.
In questo quadro, l’esperienza di Chianciano Terme offre uno sguardo concreto su come si può affrontare questa sfida. Chianciano Terme, cittadina di circa 7.000 abitanti, ha ospitato da anni comunità straniere ben integrate in settori chiave come l’edilizia, l’assistenza familiare e il turismo. L’equilibrio raggiunto, però, si è fatto più complesso con l’arrivo, all’incirca negli anni 2016/2017, dei richiedenti asilo e con l’istituzione di ben tre Centri di Accoglienza Straordinaria, i C.A.S.
La gestione di questo fenomeno, da parte di chi ha governato in passato la città, è stata sostanzialmente assente o, quantomeno, priva di una progettualità complessiva tesa all’inserimento e all’integrazione; ovvia conseguenza è stata la perdita del controllo degli arrivi, fino ad arrivare ad un numero di presenze sovradimensionato rispetto al territorio e al numero di residenti. Questa situazione ha alimentato poi il disagio e l’isolamento degli ospiti e la sensazione di insicurezza e sospetto da parte degli abitanti.
Oggi, Chianciano Terme sta tentando un cambiamento. La nuova amministrazione ha scelto una strada diversa: fin dal suo insediamento, si è dotata di un progetto globale che va dall’accoglienza alle attività di integrazione, formazione e di pubblica utilità, non trascurando, allo stesso tempo, l’approccio culturale a questo fenomeno, ormai divenuto ordinario, la cui comprensione è fondamentale per una convivenza più pacifica e costruttiva.
I fondi statali che ogni Comune riceve, e che sono vincolati a fronteggiare l’immigrazione, saranno dunque utilizzati per attivare progetti a medio termine, mirati all’alfabetizzazione linguistica e alla crescita civica, all’orientamento e formazione professionale e di supporto all’inserimento nel tessuto sociale con attività socialmente utili, cercando di destrutturare con queste azioni pregiudizi e utili oggetti di proiezione delle proprie ansie e paure.
Il tema dell’accoglienza richiama anche la sfida giovanile. Come in molte realtà di provincia, i giovani di Chianciano Terme affrontano isolamento, mancanza di opportunità lavorative, carenza di spazi sociali. È proprio su questo terreno che si gioca una parte decisiva della coesione futura. Il piano di rigenerazione urbana – che nasce dalla crisi e dal declino della città termale – che il Comune si propone di elaborare con il concorso della partecipazione attiva dei cittadini – prevede tra l’altro di rigenerare spazi pubblici inutilizzati per farne centri culturali di aggregazione positiva, investire su formazione professionale legata ai bisogni reali del territorio, come il turismo e l’artigianato. Al tempo stesso, si punta sul volontariato, sul Servizio Civile, sul coinvolgimento diretto dei ragazzi migranti e italiani in percorsi di cittadinanza attiva.
Chianciano Terme può dimostrare che l’integrazione non è una formula astratta, né un processo automatico: è il risultato di politiche intelligenti, di narrazioni costruttive, di investimenti coraggiosi. È una scommessa che riguarda tutti: istituzioni, scuole, famiglie, associazioni, singoli cittadini.
Naturalmente, non si possono ignorare le contraddizioni più ampie. Oggi l’Europa, mentre proclama valori di umanità e solidarietà, continua a stipulare accordi con Paesi terzi per esternalizzare il controllo delle frontiere, chiudendo troppo spesso gli occhi su violazioni sistematiche dei diritti umani. Una politica miope, che rischia di rinforzare proprio quelle paure e tensioni che si vorrebbero combattere.
La domanda, allora, non è soltanto “quanto possiamo accogliere”, ma soprattutto “come vogliamo farlo”, “quale società vogliamo costruire”. Una società ripiegata sulla paura, sulla diffidenza, sulla chiusura o una società che, pur tra mille difficoltà, continui a scommettere sulla dignità, sulla responsabilità, sull’umanità condivisa?
Accogliere, programmare, integrare: tre verbi che non devono restare separati. Tre strade che dobbiamo imparare a percorrere insieme, senza scorciatoie, senza illusioni, senza rinunce, consci del fatto che la sfida è impegnativa.
Tutto questo non può essere lasciato solo alle istituzioni. L’Amministrazione Comunale ha scelto di lavorare, collaborare e programmare ogni azione con tutti e tutte coloro che interagiscono e sono impegnati alla risoluzione/risistemazione di questo problema: le comunità locali, le scuole, le associazioni; i cittadini e le cittadine devono essere protagonisti, aprendo spazi di relazione, favorendo l’ascolto, creando opportunità di crescita collettiva e condivisa.
Disarmare le frontiere, anche quelle invisibili, comincia da noi. Comincia oggi. In ogni scuola, in ogni quartiere, in ogni scelta quotidiana. Accogliere non è solo un gesto di generosità, è un progetto di società. Superare il dualismo tra idealismo e realismo significa costruire comunità coese, investendo in educazione, lavoro e sicurezza. Chianciano Terme, tra declino termale, sfide migratorie e crisi economica, vuole raccontare un’Italia che, se vuole, può scegliere di trasformare la paura in speranza e la convivenza in risorsa.
* Clori Bombagli è nata e vive a Chianciano Terme. Insegnante per oltre quarant’anni nella scuola primaria. È sposata, madre di due figlie e nonna di tre nipoti. Oggi è consigliera comunale di “Chianciano Terme Città Aperta” e si occupa di Biblioteca e promozione culturale, Cultura della memoria, Pace e diritti civili, Politiche di genere, Inclusione e multiculturalità. Promotrice da anni di iniziative di solidarietà e accoglienza, continua a impegnarsi per una comunità più aperta consapevole e solidale.