Alla Galleria di Palazzo Carletti di Montepulciano con Marinella Giannini tra opere e ricordi
Un filo sottile spesso tiene insieme i luoghi e i tempi della nostra vita, e quando si tende, capita che tutto si riannodi con naturalezza, quasi con dolcezza.
È stato così, per me, tornando a Montepulciano su invito dell’amica architetta Marinella Giannini, in occasione della mostra “Montepulciano in Arte” ospitata nella Galleria di Palazzo Carletti. Evento di cui SienaPost si è già occupato.
A dire il vero, non mettevo piede nel cuore di Montepulciano da anni, se non decenni. Eppure quel labirinto di vicoli, piazze, scorci è rimasto dentro di me. Un ricordo sedimentato che si è riattivato e tornato vivo, preciso.
Era il 1980, avevo poco più di vent’anni, e per diversi mesi avevo lavorato proprio lì, in un palazzo del centro, sul Corso. Non ricordo il numero civico, ma ricordo bene la sensazione delle pietre sotto i piedi, il silenzio dei pomeriggi, gli odori, la lentezza delle giornate fatte per essere vissute senza fretta. Le riunioni della sera.

Questa volta però il motivo del viaggio era un altro. Marinella, con la sua consueta eleganza e entusiasmo mi aveva inviato un invito whatsapp alla mostra che avrebbe condiviso con due artisti internazionali: Katrin Zwerch e Antonio Ferragina.
Così, domenica pomeriggio, mi sono infilato nel Vicolo Salimbeni e ho varcato l’ingresso della Galleria, stretto tra Palazzo Carletti e il palazzo del Giudice di Pace. Una cornice perfetta, per accogliere un dialogo a tre voci tra pittura, scultura e installazione.
L’atmosfera del vernissage era vivace ma intima. Si percepiva subito che non era solo un’esposizione, ma un incontro. Le opere di Marinella sembravano voler dare forma all’umanesimo silenzioso che ancora aleggia come lenzuola in certi borghi toscani.
Katrin Zwerch portava invece una luce del nord, tutt’altro che fredda. E Antonio Ferragina cercava equilibri fragili tra pieni e vuoti.

Tre sensibilità diverse, ma accomunate da una tensione verso l’essenziale.
Uscendo dalla mostra, camminando tra le pietre calde del Corso, ho sentito che qualcosa si era ricomposto.
Tornando all’auto mi sono fermato a guardare il basso della città. Da lì, mi sembrava di rivedermi più giovane, in cerca di qualcosa che assomigliasse, se non all’arte, almeno a uno sguardo sul mondo.
Non so se sono tornato per l’arte o per quel ragazzo che ero. Forse per entrambi.
Di sicuro c’è che l’arte, ha questa forza misteriosa: non solo mostra, ma ricuce. Certi momenti, quando succedono, valgono già da soli tutto il viaggio.