Glocal Toscana, in cammino verso la neutralità climatica

Decarbonizzazione, rinnovabili, comunità energetiche: le politiche regionali dentro il Green Deal europeo e il nuovo ordine mondiale dell’energia

La lotta al cambiamento climatico non è solo una questione ambientale o tecnica: è una sfida politica, sociale e culturale che attraversa tutto il pianeta e ridefinisce alleanze, economie, priorità.

Dentro questa sfida la Toscana si muove con consapevolezza e progettualità, anche a fronte di normative nazionali non sempre chiare, inserendo le proprie azioni in un quadro “Glocal” che va ben oltre i confini regionali. Oggi parlare di decarbonizzazione significa affrontare la crisi climatica, certo, ma anche le tensioni geopolitiche esplose con la guerra in Ucraina, le nuove strategie industriali globali, la competizione tra giganti economici come Stati Uniti, Cina e Unione Europea. È uno scontro anche culturale tra modelli di sviluppo, tra chi continua a puntare sulle fonti fossili e chi investe, con decisione variabile, su tecnologie pulite e transizione ecologica.

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La Cina, ad esempio, ha costruito la propria supremazia nel settore delle tecnologie verdi con politiche aggressive, investimenti massicci e una strategia che abbina capacità produttiva e controllo delle filiere: pannelli solari, batterie, veicoli elettrici sono oggi in gran parte progettati e realizzati in Asia.

Gli Stati Uniti, per non restare indietro, hanno adottato una strategia protezionista, finanziando con fondi pubblici l’industria nazionale attraverso l’Inflation Reduction Act (legge per la riduzione dell’inflazione), con l’obiettivo di riportare in patria produzioni considerate strategiche.

L’Europa ha scelto un’altra via: quella della regolazione, dei diritti, della partecipazione democratica, del legame tra sostenibilità ambientale, sociale e territoriale. Con il Green Deal europeo, lanciato nel 2019, ha indicato un obiettivo chiaro: diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, riducendo già entro il 2030 almeno del 55% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. È un obiettivo ambizioso, che si incrocia con altri due piani fondamentali: “Fit for 55”, il pacchetto legislativo che aggiorna le regole su rinnovabili, trasporti ed efficienza energetica, e “REPowerEU”, il programma nato per ridurre la dipendenza energetica dal gas russo e accelerare l’autonomia energetica del continente.

In questo contesto, l’Italia e le sue regioni si trovano davanti a un bivio: subire i processi o governarli. La Toscana ha scelto la seconda strada. Lo ha fatto con una visione strutturata, che mette insieme obiettivi climatici, programmazione locale, innovazione tecnologica e partecipazione civica. La cornice principale è rappresentata dai PAESC, i Piani di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, che ogni Comune è chiamato a redigere. Piani che non si limitano a dichiarazioni d’intenti, ma che devono tradurre gli impegni in azioni misurabili: riduzione delle emissioni, incremento delle fonti rinnovabili, adattamento ai cambiamenti climatici, difesa del suolo, gestione dell’acqua.

La Regione, attraverso gli uffici della Direzione Ambiente ed Energia e l’Agenzia Recupero Risorse (ARRR), ha avviato un percorso formativo gratuito per amministratori e tecnici comunali, offrendo strumenti operativi, consulenza e linee guida condivise. L’obiettivo è costruire una strategia regionale articolata, che nasca dal basso, valorizzando le specificità dei territori e delle comunità locali.

Tutto questo è stato al centro dell’evento “Climatica25”, tenutosi al Teatro della Compagnia di Firenze, dove la Regione ha fatto il punto sulle politiche di decarbonizzazione e ha lanciato nuove iniziative.

Eugenio Giani, presidente della Toscana, ha ricordato che già oggi oltre il 50% dell’energia elettrica consumata in regione proviene da fonti rinnovabili, e che l’obiettivo è superare il 60% entro pochi anni. La geotermia, che in Toscana ha una lunga tradizione, avrà un ruolo chiave: un nuovo accordo con Enel Green Power permetterà di aumentare la produzione e ridurre le dispersioni. Anche l’idroelettrico verrà potenziato, con impianti moderni e a basso impatto. Sul fotovoltaico, la strategia regionale è improntata al buon senso: raddoppiare la capacità installata senza snaturare il paesaggio, con attenzione all’agrivoltaico (l’integrazione tra coltivazioni agricole e pannelli solari).

Ma la transizione non può essere solo tecnica. Deve essere giusta. Deve coinvolgere le persone, tutelare i più fragili, ridurre le disuguaglianze. Lo ha ricordato l’assessora Monia Monni, sottolineando che una transizione ecologica che ignora i costi sociali rischia di fallire. Per questo la Toscana ha investito anche sulle comunità energetiche, ovvero gruppi di cittadini, imprese ed enti locali che producono, condividono e consumano energia da fonti rinnovabili. Il progetto “INVECE”, finanziato con fondi europei, offre supporto tecnico, giuridico e finanziario per la nascita di queste comunità in ogni angolo della regione.

Accanto a questo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato fondi per l’agrivoltaico, il biometano, le reti intelligenti (smart grid) e gli impianti di accumulo energetico. Tra questi, spicca il progetto TES (stoccaggio di energia termica) a Cavriglia, in provincia di Arezzo, dove Enel e l’israeliana Brenmiller Energy stanno testando una tecnologia che utilizza rocce per immagazzinare energia, con potenziali applicazioni anche su scala industriale.

Questa sinergia tra politiche locali, risorse nazionali e fondi europei è la chiave per affrontare una transizione che non può essere lasciata alla spontaneità del mercato. Anche perché i mercati oggi sono attraversati da tensioni profonde. Le guerre – dall’Ucraina a Gaza – e le tensioni tra potenze globali – Stati Uniti, Cina, Russia, Unione Europea – si giocano anche sul piano energetico. Le vie del gas, del petrolio, dei minerali rari sono vie strategiche, spesso contese. E in questo scenario, l’autonomia energetica non è solo una questione ecologica, ma anche di sovranità, sicurezza, stabilità. Anche il dibattito culturale ne è investito: mentre crescono i movimenti per il clima, aumenta anche la resistenza di settori conservatori che temono il cambiamento, e a volte lo strumentalizzano per alimentare paure. La sfida, dunque, è duplice: tecnica e simbolica, ambientale e politica.

La Toscana, con le sue scelte, prova a rispondere a entrambe. Lo fa costruendo una transizione che tenga insieme efficienza, partecipazione, innovazione e giustizia sociale. Una transizione che si fonda su conoscenza, ascolto, visione. Ma anche su capacità amministrativa, strumenti operativi, e una volontà politica chiara.

In questo senso, la Toscana si presenta come laboratorio avanzato di una nuova stagione dell’ecologia: non come imposizione, ma come alleanza. Non come ideologia, ma come progetto condiviso. E forse proprio da qui, dai territori che decidono di non aspettare, può arrivare un contributo decisivo per cambiare il futuro.

Se è vero che la Toscana ha messo in campo un disegno coerente con le politiche europee e internazionali, è altrettanto vero che il contesto sta cambiando. In Europa, la transizione ecologica potrebbe non avere più la stessa forza propulsiva del 2019: si avvicinano elezioni cruciali, crescono le pressioni dei settori industriali tradizionali, alcuni governi rallentano o mettono in discussione norme e obiettivi. In questo quadro, anche una legislazione favorevole e incentivi ben congegnati rischiano di non bastare. Senza una pubblica amministrazione capace, formata, dotata di strumenti e risorse, molte delle misure restano sulla carta. E senza una rete di soggetti pubblici, civici, cooperativi – capaci di agire fuori dalle logiche del profitto immediato – la transizione rischia di essere lasciata in mano al solo mercato, con tutti i limiti e le distorsioni che questo comporta.

C’è quindi una domanda che rimane aperta, anche in Toscana: chi governa davvero la transizione? E soprattutto: chi la guida, con quale visione, con quale responsabilità? Forse, proprio a partire da questa domanda, si potrà capire se l’ambizione di un modello sostenibile, giusto e partecipato sarà capace di resistere alle tempeste del presente e alle incertezze del futuro.

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