Il velo della sposa a Monticchiello

Il Teatro Povero apre di nuovo il palcoscenico della sua gente e per la sua gente

Come ogni estate comanda, dal 1967, Monticchiello è in fermento per la nuova edizione dell’ormai storico autodramma del Teatro povero.

Il velo della sposa è, giustappunto, il cinquantottesimo spettacolo che la gente del meraviglioso paese, gemma della val d’Orcia, offre alle persone che – in massa – rinnovano la loro presenza insieme a nuovi scopritori.

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Poter contare su una compagnia – al lavoro per mesi in modo da garantire la miglior riuscita dell’evento – quasi del tutto autoctona e diluita, anagraficamente, tra i 4 e i 90 anni di età è qualcosa di sbalorditivo.

Parliamo di volti che divengono, col passare degli anni, amici. Persone che, finita la rappresentazione, saluti, ringrazi e abbracci.

Ma andiamo con ordine.

Il velo della sposa offre tre linee temporali al pubblico. La prima negli anni tremendi della guerra, fra il ’42 e il ’43, la seconda agli albori degli anni ’60 (momenti nei quali tramontava il secolare sistema economico mezzadrile delle nostre terre), l’ultima ai giorni nostri.

Una scelta peculiare, quella della tripartizione narrativa, complessa e riuscita ci viene da dire.

È, senza rivelare troppo, la vicenda esistenziale di Palmira Mangiavacchi (e del fratello minore, Tonio) all’interno di queste grandi fasce cronologiche. Vite ritratte fra episodi tragici e comici con, sullo sfondo, momenti febbrili di alcuni matrimoni – elemento tutt’altro che marginale nell’impianto complessivo del sistema mezzadrile – realizzati durante quei tre distinti momenti storici di cui si diceva poco sopra.

Vengono quindi messe a fuoco, fra le tante e riuscite figure che animano la rappresentazione, le vite di due persone che matureranno prospettive e sentimenti su direttrici molto diverse, assistendo al cambiamento repentino di Monticchiello e non solo.

Come sempre le opere del Teatro povero, pur partendo da spunti reali e condivisi tipici di Monticchiello, portano a riflettere sulle difficoltà del quotidiano vivere e, al termine dello spettacolo, si è spesso portati a condividere analisi e riflessioni.

Questa volta, con lo stesso gruppo di amici col quale partecipiamo ogni estate all’autodramma, il commento elaborato si è focalizzato sull’avvertenza che il Teatro povero pare aver suggerito al pubblico. Un’avvertenza sulla “snaturazione” dei luoghi, sui rischi che il progresso – non sempre positivo – comporta sull’emancipazione di genere, sull’emancipazione sociale e sulla tenuta stessa della comunità.

Insomma, questo cinquantottesimo autodramma ci ha fatto ragionare più degli anni precedenti. Si badi bene non perché quelli passati siano stati peggiori o più “leggeri”.

La stima e l’affetto per questa gente e per questo magnifico ed iperattivo monumento sociale, siamo un poco allergici alla parola borgo, che è Monticchiello cresce ogni volta. Non vediamo quindi l’ora di confrontarci ancora con questo importante esperimento sociale e culturale, ospitati da un “posto” che è antico e contemporaneo in ogni sua sfumatura.

L’autodramma verrà realizzato ogni sera, alle 21.30, fino al 14 agosto compreso. Per ogni informazione consultare https://teatropovero.it

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