“Non me lo far dire”. L’intervista a Susanna Bianchi comincia così. Le avevamo appena chiesto da quanto tempo stava alla guida di Cooperativa Archeologia. Il suo timore è che si potrebbe pensare che questo gruppo di archeologi, architetti e restauratori, nato quarant’anni fa con la scommessa di riuscire a operare a tutto tondo sui beni culturali – scavo archeologico, restauro e valorizzazione – non abbia soluzioni di ricambio generazionale. “E questo non è vero – ci dice Susanna – perché l’intero quadro dirigente della cooperativa è cresciuto, si è rinnovato ed è sempre prevalentemente femminile. Tant’è che con il modello societario duale, che la cooperativa ha adottato, io oggi presiedo il Consiglio di Sorveglianza ma anche il Presidente del Consiglio di Gestione è una donna”. E quindi la realtà è che questa donna che in passato ha anche guidato tutto il comparto Lavoro di Legacoop Toscana è cresciuta e si è ulteriormente professionalizzata nel ruolo di leader sapendo coniugare, come pochi altri, le fatiche, gli impulsi innovativi e le responsabilità.
Archeologia è una coop che si è stabilizzata da anni sopra i dieci milioni di fatturato annuo. Lavora soprattutto in Toscana ma è stata chiamata spesso all’estero. Anni fa si impegnarono nel restauro del circuito murario di Malta, vestigia di una grande potenza passata. Li chiamavano i cavalieri ospitalieri di Malta e tutt’oggi sono in vita (https://it.wikipedia.org/wiki/Sovrano_Militare_Ordine_di_Malta). Più di recente si sono meritati i complimenti dell’Unesco per il restauro di un monumento di rilevanza mondiale come il tempio di Baalbek in Libano (https://it.wikipedia.org/wiki/Baalbek).
Nel campo dell’ideazione, progettazione e gestione di musei – che è l’argomento del nostro testo -, Susanna parla con orgoglio dell’impegno di Archeologia presso il Museo delle Navi Antiche di Pisa (https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_delle_navi_antiche_di_Pisa e anche https://www.navidipisa.it/), nato dopo gli scavi a San Rossore che hanno portato al ritrovamento di alcune navi di epoca romana che sono state restaurate e, unitamente ai tanti reperti rinvenuti, hanno permesso la creazione di un’esposizione molto bella con “poche vetrine e tante ambientazioni in cui sono collocati i reperti in rapporto diretto con il visitatore, realizzata in luogo affascinante e particolarmente adatto come quello degli Arsenali medicei”.
Archeologia cura anche la gestione e la realizzazione delle esposizioni presso il sistema museale di Palazzo d’Avalos a Vasto in provincia di Chieti (https://it.wikipedia.org/wiki/Musei_di_palazzo_d%27Avalos), ha curato l’allestimento del Museo Archeologico Cicolano in provincia di Rieti (https://www.museoarcheologicocicolano.it/), la valorizzazione e promozione del sistema museale urbano di Priverno (Latina – https://www.privernomusei.it/), dell’area Archeologica presso i Giardini Luzzati a Genova (https://culturability.org/stories/area-archeologica-giardini-luzzati-lo-spazio-del-tempo) ed ha curato la nuova immagine coordinata ed alcune mostre per il sistema Museale del Comune di Volterra.
Dunque, Archeologia, la coop più intellettuale della Toscana, si mette a fianco dell’IVV, un’impresa cooperativa ancora leader in Italia, ma che vede minacciato il suo core-business da caro-energia e conseguenze dell’evento bellico in Ucraina. Qual è il vostro pensiero sul contributo artistico dato dall’IVV nei suoi settant’anni di vita?
“Con IVV abbiamo un rapporto storico che è nato all’interno di Legacoop. Già ai tempi della presidenza Guidelli abbiamo avuto occasione di condividere problemi, speranze e anche qualche idea. Come quando ragionammo sull’eventuale produzione di merchandising per i musei archeologici ricalcando le forme dei prodotti dell’antichità. Non lo realizzammo allora ma resta un’idea a cui potremo forse pensare in futuro. Siamo quindi veramente interessati a questa opportunità di collaborazione anche per valorizzare il rilevante contributo dato dall’IVV alla produzione artistica del vetro. Perché IVV è un’industria che è nata partendo dalla tradizione artigiana ma attuando sempre ricerca sia sul materiale che sul design. Questo le ha permesso di diventare un’eccellenza nella produzione artistica del vetro. Sono stati capaci di rinnovare le tecniche di produzione e le forme, creando prodotti che sono diventati quasi delle icone nel comparto vetrario e in certi periodi hanno anticipato e indirizzato nuove tendenze. In particolare, dopo una recente visita in fabbrica, mi ha colpito la capacità di utilizzare i nuovi macchinari industriali adattandoli però ad una produzione che conserva caratteristiche artigianali. La mia opinione è che tutto questo patrimonio di lavoro e di arte non può e non deve andare disperso”.
La neonata Associazione Vetrai Valdarnesi e Amici del Vetro vi ha commissionato la progettazione di un museo. L’intenzione è che tramandi la memoria di un territorio che ha lavorato e tuttora lavora su una risorsa del tutto particolare come il vetro d’autore. Come pensate di attuare il mandato?
“Noi partiamo da una riflessione che, per fortuna, oggi, il museo non è più considerato una struttura statica. L’apparato museale contemporaneo ha molteplici funzioni e valenze. Deve coinvolgere e quindi suscitare emozioni, deve continuare ad avere una funzione formativa e conoscitiva, deve essere rappresentativo delle esperienze e della memoria del territorio di cui è parte. E deve avere una funzione di attivatore di nuove progettualità sia dal punto di vista artistico che da quello produttivo. Insomma un museo deve stimolare la nascita di nuove idee. Pensiamo ad un museo che abbia centralità nei locali per ora individuati dell’IVV ma che sia diffuso anche nel territorio di San Giovanni Valdarno con richiami e rimandi reciproci con tutte le eccellenze del territorio come il Palazzo d’Arnolfo (https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_d%27Arnolfo), Casa Masaccio (https://it.wikipedia.org/wiki/Casa_Masaccio), la Pieve, lo storico impianto industriale che oggi ospita il Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena. Inoltre, il futuro Museo dovrà essere il centro propulsore di nuovi itinerari che, partendo dal tema del vetro, permettano di apprezzare anche i valori naturalistici del territorio che poi sono quelli che richiamano la presenza delle materie che hanno permesso la nascita dell’industria vetraria in loco: mi riferisco al fiume, alle sabbie, alla lignite… Tutti elementi che portano, pur parlando di vetro, a conoscere altri aspetti del territorio. In definitiva l’obbiettivo è quello che il vetro diventi, anche attraverso il museo, un elemento caratterizzante il territorio, sia insomma una delle sue specifiche valenze. Per dare corpo all’idea del futuro museo è prevista per giugno, sempre presso i locali dell’IVV, l’inaugurazione dell’esposizione II Vetro e San Giovanni Valdarno tra storia e contemporaneità. Per un museo del territorio”.
I musei di nuova generazione introducono concetti di interazione come il consumo produttivo e la permanenza delle figure umane e professionali nel percorso illustrativo. Puntate anche a questo oppure intenderete selezionare le produzioni più pregevoli e raccontare tramite esse?
“L’interazione è per noi un valore fondamentale e non solo nel senso dell’utilizzo degli strumenti multimediali. In particolare per il progetto di San Giovanni la principale caratteristica del futuro museo è proprio quella di essere all’interno di un luogo che è tuttora produttivo. Questo lo rende ancora più vivo, in quanto andiamo a raccontare la storia del vetro che si è evoluta e ancora si evolve all’interno del suo luogo di produzione. E’ un elemento fondamentale. La visita all’interno della fabbrica risponde anche ad una funzione del museo cioè quella di emozionare: il fascino del fuoco e della trasformazione della materia hanno un effetto estremamente affascinante già di per se. Ma più di tutto vale la presenza umana e professionale. La storia, i ricordi, gli accorgimenti nell’uso delle tecniche, le aspirazioni, i problemi raccontati dagli attori principali. Infatti le visite all’interno della fabbrica saranno parte integrante del percorso museale così come il ricco patrimonio di tradizione orale e memoria storica troverà ampio spazio nell’esposizione. Vogliamo raccontare la scoperta e l’evoluzione delle tecniche della produzione del vetro a partire dall’antichità ma con la finalità di spiegare l’oggi. Infatti lo sviluppo del racconto e del confronto si dovrà basare su quattro elementi: le tecniche, i prodotti, gli usi ma anche i produttori.”
Il sito individuato per il museo sarà buona parte della “nave” dell’IVV, anch’essa un’opera architettonica, a suo modo caratteristica. Quali pregi o difetti caratterizzeranno la vostra progettazione?
“Il lato positivo lo abbiamo appena detto. Non ci nascondiamo il fatto che inserire la visita in un luogo di produzione attivo comporta problemi di sicurezza: andranno studiati e adottati vari protocolli, peraltro già elaborati dall’IVV perché le visite di gruppo sono un’esperienza che la cooperativa ha già realizzato. Dal punto di vista esclusivamente espositivo la “Nave” ha molti spazi vetrati che diminuiscono le superfici per l’esposizione, ma potremo di certo trovare soluzioni anche in considerazione del fatto che tanta parte degli affacci si proiettano sul fiume e sulla fabbrica cioè due elementi costitutivi del racconto. Inoltre stiamo pensando, non come luogo per l’esposizione temporanea ma per il progetto definitivo del museo, anche al modo di utilizzare gli spazi dei vecchi uffici attigui alla fabbrica. E’ un’idea ancora da valutare, anche per gli interventi murari che potrebbe contemplare, certo è che sarebbe di sicuro interesse far rientrare quegli spazi nell’esposizione perché testimoniano anche architettonicamente il passaggio tra due epoche con diversi criteri di strutturazione degli spazi”.
E supponendo che voi vi esprimiate sui contenuti valoriali, quali sono gli elementi di pregio ed eccellenza che evidenziate a vostro modo di vedere del binomio San Giovanni Valdarno e produzione del vetro?
“C’è un interconnessione strettissima fra la caratterizzazione del territorio e la sua qualificazione produttiva. C’è una vicendevole influenza che determina, tra l’altro, anche la trasformazione della configurazione urbanistica. Tra le tante valenze storiche del territorio di San Giovanni, che ancora conserva rilevanti testimonianze architettoniche della sua “origine” trecentesca di città fondata ex novo, deve trovare spazio anche la sua storia produttiva che è ancora oggi attiva e che ha caratterizzato anche socialmente tanta parte della sua storia. Come attuarla si è un po’ già detto: il museo deve diventare luogo di memoria collettiva, della trasformazione del territorio in conseguenza della sua attività produttiva”.
Sappiamo che avete già programmato di lanciare questo progetto con un evento di valore nazionale a coronamento del Settantesimo dell’IVV e delle celebrazioni a San Giovanni V.A. per l’anno internazionale del vetro. Si parla di Pietro Folena nella sua acquisita veste di Ceo di Metamorfosi, della soprintendente Acidini… Chi altri? Cosa puoi anticiparci?
“Pietro Folena è il direttore editoriale di Artemagazine e il presidente dell’associazione culturale MetaMorfosi che promuove l’arte e la cultura attraverso mostre ed eventi culturali. L’associazione ha al suo attivo tantissime iniziative di assoluto rilievo a livello nazionale e internazionale. E’ un partner di eccezione per un programma di iniziative che vogliamo organizzare con assoluto rilievo. Grazie alla sua preparazione nell’ambito della cultura ma anche per la sua profonda conoscenza in relazione alle tematiche politico-sociali riteniamo abbia tutte le competenze e la creatività per strutturare una riflessione suI tema del rapporto tra produzione artistica e manifatturiera. Infatti è in programma l’organizzazione di un convegno dal titolo Manifattura e arte nel terzo millennio che mira a ripercorrere l’evoluzione di questo rapporto nel tempo cercando di cogliere gli elementi che oggi lo caratterizzano. Il richiamo storico rimanda evidentemente al Rinascimento quando produzione artistica e maestria artigiana erano direttamente interconnesse nel senso che la creazione artistica si esprimeva anche nella produzione di architetture e oggetti d’uso che si basavano sulla capacità artigianale di realizzazione e dove gli stessi artisti si formavano proprio a partire dalle botteghe artigiane. La grande espressione artistica registrata in quell’epoca è stata assolutamente conseguente allo stretto legame che c’era fra artisti e botteghe, fra estro e produzione. Per sviluppare questi temi riteniamo e contiamo che Folena vorrà coinvolgere riconosciuti rappresentanti del mondo della cultura ed anche artisti contemporanei”.
Forte come il legame vetro-territorio, è il gemellaggio fra San Giovanni e Corning, città che ha forse il museo del vetro più noto al mondo. Sarà per voi un soggetto di stimolo e comparazione?
“Assolutamente sì, prima che per noi lo è stato per il Comune di San Giovanni Valdarno che già aveva individuato in questo gemellaggio un punto di forza e caratterizzazione del territorio. I rapporti diretti tra le due comunità hanno dovuto rallentarsi per la pandemia ma speriamo che quest’anno si possa tornare ad incontrarsi. Pur nelle diversità che esistono fra queste due realtà, sia per tipologia produttiva che per rilevanza industriale, il modello Corning, con l’insieme del suo sistema di valorizzazione e promozione, non può che essere un modello di riferimento. A Corning il Museum of Glass ospita anche un centro di ricerche e intorno a questa struttura si è sviluppato un sistema di servizi che ha portato la città ad essere uno dei centri minori degli Stati Uniti con il maggior numero di visitatori. Anche a San Giovanni, pur più modestamente, dobbiamo pensare ad una struttura museale che preveda attività di ricerca e formazione sia in senso professionale che storico. Mi riferisco al patrimonio documentale, anche grafico, conservato che permetterà di attivare laboratori di ricerca sulla storia della produzione, del design così come sulla storia sociale ed anche stimolare nuove produzioni artistiche. Torno a dire che il museo deve configurarsi come un soggetto attivatore di iniziative: una struttura viva che prevede laboratori che consentano a cittadini, studenti, artisti e turisti, di vivere esperienze uniche”.
Concludiamo con una vostra considerazione. La presenza di città d’arte del calibro di Firenze e Siena a non più di mezzora di strada, rappresenterà un vantaggio o uno svantaggio per il museo? Ipotizzando che un domani il medesimo dovrà essere capace di apportare risorse, almeno per autofinanziarsi, verso quale target si dirige e come potrà attirarlo?
“La vicinanza a Firenze e Siena la riteniamo un fattore positivo perché sempre più il turismo si rivolge al sistema territoriale. Il turista è sempre più attento alla sostenibilità, a conoscere la qualità dei prodotti del territorio, alle sue valenze naturalistiche, in sintesi a vivere l’esperienza del territorio. E questo non può avvenire visitando un singolo centro, un singolo monumento ma richiede di vivere un territorio più ampio. Si può quindi creare un forte interscambio tra grandi attrattori come Firenze, Siena, Arezzo e i territori circostanti specialmente se l’offerta è capace di proporre itinerari tematici ed esperenziali”.
“Sulla capacità di autofinanziarsi da parte delle strutture museali – riprende Susanna -va detto che non è così semplice e sono pochissime le realtà a livello nazionale che ci riescono. Per questo è necessario fare sistema, far parte di sistemi territoriali di offerta. San Giovanni può dare un contributo originale che arricchisca l’offerta di un territorio più ampio. Per quanto riguarda il target si può generalmente fare riferimento a quanto dicevo prima: un turista attento alla sostenibilità, al turismo lento, esperienziale. Ma più che a uno specifico target l’offerta dovrà essere diversificata in modo da rispondere ad una molteplicità di interessi quindi rivolgersi ad una molteplicità di target e non solo prettamente turistici”.
Prima di ringraziarti. Una domanda che siamo soliti fare: dacci le risposte alle domande che non ti abbiamo fatto…
“Vorrei specificare meglio lo spunto che è emerso dalla precedente domanda e cioè il tema dei sistemi territoriali. Se analizziamo le testimonianze storiche e produttive del vetro e del cristallo in Toscana vediamo che sono prevalentemente concentrate tra le province di Firenze, Arezzo e Siena, oltre al centro industriale di Pisa della Saint Gobain. Oltre a San Giovanni mi riferisco alla presenza di esposizioni, musei e/o attività produttive ancora attive a Empoli, Colle di Val d’Elsa, Sansepolcro, (https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_della_vetrata), Gambassi Terme (https://toscananelcuore.it/mostra-permanente-della-produzione-vetraria-gambassi-terme/), Montalcino (https://fondazionebanfi.it/it/museo-vetro-bottiglia/). Questa varietà di centri permette di ipotizzare la creazione di un sistema museale tematico regionale del vetro che metta a sistema quanto già esiste arricchendo il progetto con una serie di itinerari che potranno toccare anche altri centri dove si conservano le testimonianze delle antiche produzioni del vetro e del cristallo (Firenze, Siena, Arezzo, Poggio a Caiano, San Gimignano, Figline, Camaldoli, La Verna). Il sistema regionale del vetro, con i suoi itinerari, potrebbe anche collegarsi alle Strade del vino sia per la stretta connessione fra il prodotto agricolo, il suo immagazzinamento e consumo, e i contenitori in vetro sia perché le località spesso coincidono. Su questi temi prevediamo di organizzare a Settembre un Convegno, Le città del vetro In Toscana, che veda la partecipazione dei vari comuni interessati e della Regione”.