Cinquecento al Tuscany Hall: tutti gli “ultimi segretari” presenti, ma il copione è al femminile. Commovente l’abbraccio virtuale Gramigni-Coulòn
In riva all’Arno, ieri, la Storia ha fatto un rutto. Ma non era un segnale di digestione avvenuta. Forse esattamente il contrario. Pensiamo a un rigurgito, un segnale della presenza di qualcosa che è impossibile da buttar giù per una comunità ritrovata.
A riempire il Tuscany Hall per l’intera giornata c’erano gli iscritti Fgci, ex appartenenti di un movimento di ispirazione gramsciana, nato a Firenze nel ’21 – con il sostegno di Spartaco Lavagnini -, apparentemente integrato nel Partito Comunista, ma di fatto permanentemente eretico, scomparso nel 1990 e non più replicato con eguale soddisfazione.
Per i media – eccetto l’Unità che per giorni ha riempito pagine e pagine “di piombo” a dimostrazione che quando parla questa gente quel che non interessa è veramente poco – la sola idea della reunion ha fatto ironizzare e semplificare. C’è mancato solo che ipotizzassero quanti in percentuale erano quelli cui era stato applicato un catetere o erano in lista per la cataratta. Ma c’è molto di diverso e di più.
Questa gente. Li conosciamo anche come sessantottini, oppure come la “meglio gioventù”, oppure i movimentisti; sono stati protagonisti di anni in cui la società è cambiata velocemente e drasticamente. Testimoni o artefici di tante conquiste sociali, tramite il voto o le azioni di resistenza. I meccanismi sociali e politico legislativi che hanno sostenuto, hanno migliorato a tal punto la vita del Paese da trasformare in ceto medio la classe operaia e rendere uniforme quel corpo medio e molle su cui oggi il reflusso sta agendo. Cose che loro hanno conquistato e che oggi non sono più garantite. Vogliamo parlare di buona sanità e giustizia sociale, di occasioni di incontro e scambio o di… pensioni, magari?
Quello che mette “questa gente” in conflitto con le proprie coscienze non è in toto che la destra oggi sia maggioranza di governo e voglia fare le proprie riforme. Più o meno ci sono abituati. Dal dopoguerra, il comunismo e suoi eredi – verso cui in bassissima percentuale i figgicciotti si sono diretti – sono andati al potere una volta sola – lo conferma Gianni Cuperlo –, mentre le altre volte ci sono stati in forza di desistenze e compromessi. Quello che li fa arrabbiare è che si voglia riscrivere il loro impegno per la democrazia, e che una parte crescente dei nostri connazionali non sia stata declassata, ma semplicemente sia diventata povera e disperata; e senza sedi per esprimersi.
Ieri si sono chiesti in oltre cinquecento se sia il caso domani di mettersi in gioco. Consci stavolta che metterebbero a repentaglio ciò che hanno. E chi c’era dei media, allora, ha cominciato a ripensarlo quest’Allonsanfàn. Cos’è? Che vuol fare? Finché Massimo D’Alema non ha parlato e detto il suo pensiero che ha consentito una titolazione certa, ma non condivisa. Non faremo partiti, manderemo solo un segnale alla politica che qui c’è una parte cospicua di elettori che non vota per partito preso. Se interessa…
Per D’Alema non è stata una giornata facile. Tutto era iniziato ore prima. Aperti i battenti da Massimo Gramigni, con il socio Bertini uno dei principali benemeriti di Allonsanfàn, in pochi minuti l’evento ha rivelato la chiara impronta matriarcale. Signore ben oltre gli anta, tornate semplici compagne, che prendevano possesso di scatole e banchettini; per le magliette, per le solidarietà economiche, per avere l’indirizzo di chi voleva condividerlo, per dare ottimi consigli. E hanno continuato a ruscellare in ogni dove aprendo ogni dibattito, ogni presa di posizione.
Non angeli del ciclostile, ma pienamente inserite in una continuità di battaglie che l’hanno emancipate come il divorzio e l’aborto e che oggi sono diventate la questione dell’identità di genere e quella delle libertà sessuali. Donne con ideali che contrastano la supremazia maschile nella Sinistra. In tarda serata un riconoscimento esplicito arriverà loro da Leonardo Domenici, già sindaco di Firenze, che dopo aver espresso una quantità importante (eccessiva?) di dubbi, certifica che se c’è stato un pensiero rivoluzionario, questo è stato il pensiero femminista.
Ebbene, l’alacrità di queste signore, perfettamente si integrava in quella visione di organizzazione a responsabilità diffuse propugnata da Pietro Folena. Una sorta di mantra che già esprimeva ai tempi in cui fu segretario nazionale della Fgci. E in tempi di autoresponsabilità va chiarito che così come nessuno aveva bloccato un posto a sedere in sala o a tavola per chicchessia, Massimo D’Alema compreso, nessuno ieri aveva rappresentatività sugli altri. Quindi Allonsanfàn è stato altro e ha detto altro.
Per capirlo ho beneficiato di tutto il prequel senese di Allonsanfàn. E ho appreso che riunirsi e parlare è dove comincia la visione di un percorso democratico dei figgicciotti. Non fare questo percorso è inconcepibile, quasi come rifiutarsi di trattare il prezzo se compri qualcosa in un Suq. Insomma la fiammella che è stata accesa dal dibattito, ora potrà divampare o estinguersi a seconda delle riflessioni che faranno sui territori gli spettatori di ieri, divulgatori di oggi. Un’altra donna – Marisa Nicchi –, oltre a riempire un cesto di ringraziamenti per il ruolo di organizzatrice che si è data, è ultima a parlare. Ma non trae conclusioni… Anzi, assegna compiti a casa a persone che stanno facendo ritorno in ognidove della nostra Repubblica; da domani sarà più facile mantenere le relazioni, così come esprimere pensieri ulteriori. Magari ci sarà il sito voluto da Ivano Zeppi, altra colonna dell’organizzazione, che fungerà da utile conduttore.
Femmine e maschi. Allonsanfàn era stata pubblicizzata anche come la reunion che metteva insieme gli ultimi quattro segretari nazionali, quattro principi della politica, tutti fini dicitori. Ma è stata anche la giornata di Livia Turco, di Giulia Rodano, di Cecilia D’Elia, della nostra Fiorenza Anatrini e dell’altrettanto nostra Stefania Cresti, di tutte le altre.
Marco Fumagalli è il primo a parlare; la questione della pace vera lo assilla più di altre questioni. Crede che l’umanità abbia commesso un errore quando ha pensato che il muro di Berlino aprisse alla pace perpetua. Ricorda che il conteggio del Doomsday Clock è ora a 90 secondi; ed è stupito in negativo che la gioventù non si organizzi per rimetterlo indietro. Se ci sarà bisogno lo ricercheremo sul bagnasciuga sardo; in fondo là potrebbe stare una soluzione: in fondo, da una spiaggia sarda, sono arrivati, tutti legati nel sangue, uno scatenato referendario, un bieco ministro degli Interni poi approdato al Quirinale e naturalmente la famiglia dei Berlinguer.
Per raccontare di D’Alema frughiamo tra gli aforismi. Il primo: “Crediamo nell’avvenire dell’Europa come crediamo nel destino dell’uomo di far progredire ovunque la civiltà”; il secondo “Perché la stupenda frase ‘La Giustizia è uguale per tutti’ è scritta alle spalle dei magistrati?”; il terzo “Non esistono soluzioni di centro-sinistra o di centro-destra o di centro. Esistono soluzioni valide e basta”. Secondo il Massimo nazionale, in una società che ha sostituito i sondaggi alla religione, che equipara Wehrmacht e Gestapo a Tsahal, queste frasi potrebbero essere l’espressione di un… pericoloso estremista. Ma la realtà è diversa perché l’autore è Giulio Andreotti – sette volte premier e 34 ministro – e l’Italia è guidata da una maggioranza che poggia su 12 mln di voti, il 27% dell’elettorato. Un patto di un corposo gruppo di intellettuali carismatici con la politica avrebbe una sua ragione. Parte anche da qui il pensiero critico.
La giornata prosegue. Chi spara sul Pd coglie sempre nel segno, ma non è il “rinfacciare” il cuore della giornata. Si parte spesso da un ricordo, si aggiunge altrettanto spesso una visione attuale e si conclude con un sentimento. Salvo un unico momento per gesto di un singolo che chiosa il saluto da lontano di Veltroni, chi parla – e lo si è fatto per nove ore almeno – non viene mai interrotto, ma sempre ascoltato. Borse e borsetti quando la gente si alza restano al sicuro, abbandonate sulle poltroncine di platea. E non è una forma di politically correct ma amore per l’etica.
Due persone hanno le idee più chiare degli altri. Spronavano, aiutavano e chiamavano un tempo “ragazzi” gli invecchiati figgicciotti, e lo fanno ancora stante… l’evidente differenza di età. La compagna Chiodo viene messa in preallarme dal suo mentore Aldo Tortorella, 98 anni, perché la ritrovata comunità deve darsi degli incarichi al più presto, poi il “partigiano Alessio” si rivolge in video a tutti parlando di pace e definendo i presenti indefessi combattenti della giustizia sociale. Reduce da un incontro del giorno prima a Vienna per parlare di comunismo all’italiana, Luciana Castellina (95 anni) vuole esserci per dire che la rivoluzione deve iniziare ora o mai più a partire da ogni vertenza. Parla per se stessa, è chiaro, ma anche nel senso che lei sarà pronta a fare la sua parte.
“Quanti siamo” si rincuora Pietro Folena che argomenta bene la spiegazione sul “veniamo da lontano”. Il comunismo dei giovani non era una palestra per diventare qualcuno – cosa che comunque è avvenuta spessissimo -, ma la condivisione di azioni contro l’ingiustizia sociale che ti facevano sentire realizzato. Ammette quanto l’abbia colpito la morte di Ousmane Sylla – sedicesimo suicida in carcere di quest’anno appena iniziato – e constata che è sempre più difficile lasciar correre senza far seguire una reazione politica.
Poi Folena ammette che sulla tecnologia è in atto una sfida da vincere. A fine 2024 per Auditel-Censis – ci informa un successivo video – saranno 14 mln le smart tv in Italia, device sempre più potenti capaci di attrarci al luddismo; e tuttavia, se adeguatamente sfruttati, un’occasione unica per collegarsi al mondo.
Dieci anni fa sul collegarsi a una piattaforma digitale l’Italia conobbe una novità importante. E molti destini appartenerono a un ligure sguaiato e a un lombardo blasé. Oggi potrebbe esser differente? Forse sì, soprattutto se gestito da chi ha comunque una coscienza e una cultura di organizzazione politica.
“Ahihaiai” dice Gianni Cuperlo che l’11 gennaio Repubblica, il quotidiano un tempo amico, ha scandalizzato con un sondaggio sul premierato. L’uomo o la donna forte piacciono al 58% degli italiani. E passi. Ma la seconda risposta porta ad appurare che il 52% degli italiani tra 18 e 54 anni, cioè coloro che fanno il Pil del Paese, ritengono possibile una democrazia senza partiti. Chiara la sua visione di una società che distrugge le boe per tornare indietro e i pilastri di quella democrazia che non si sa percepire. Qui non abbiamo a che fare – dice Cuperlo – con le felpe di Salvini, qui c’è una destra che inietta nel Paese rabbia e paura presentandoti il proprio antidoto di protezione in cambio di una quota di libertà: “E’ la destra che è vicina a farci un nuovo ’68, ridisegnando il mondo che conosciamo. E’ tempo di uscire di casa, di creare movimenti e dargli forza sui territori prima che la Destra perda del tutto i suoi freni inibitori”.
La conclusione della serata arriva cantando, insieme al vagheggiato collegamento con Jorge Coulòn che anche il Governatore della Toscana Eugenio Giani è venuto a vedere. Tornano le chitarre e quasi in toto il gruppo dei cantori – parafrasando il dialetto Ayarnara potremmo chiamarli gli “apolli mugellani” – sostitutivi.
Tornato di corsa dal Sud al Nord del Cile, per non mancare l’appuntamento con l’amico Massimo Gramigni, il riconosciuto leader degli Inti Illimani, è emozionato, anche commosso. Canta con la platea del Tuscany Hall anche se c’è quasi due secondi di intervallo percettivo: è una cacofonia che fa bene al cuore. Prima che la regia operi un mixaggio su Loredana Berté che prende il premio della critica, c’è ancora tempo per promettersi che quest’anno, in Garfagnana, loro – gli inti illimani – ci saranno, i presenti sono invitati e tutto verrà meglio.
Ecco qui, quel che ci è sembrato di vedere. Politicamente le palle non sono ferme, su nulla. Che dire? Se ai figgicciotti verrà nelle prossime settimane ancora voglia di parlare, contino sulla nostra voglia, già presente, di ascoltarli.