Difficoltà da Covid a parte e tenuto conto dell’andamento di economia agroalimentare, nel 2020, il vino italiano ha evidenziato una certa capacità di reazione. E nei primi mesi del 2021 la curva è in netto miglioramento.
Nel 2020, il mercato globale del vino ha risentito del blocco quasi totale dell’Horeca (HOtellerie – REstaurant – Café/CAtering), del turismo e del generalizzato indebolimento delle economie nazionali che hanno di fatto ridotto gli scambi a seguito della diffusione del Covid-19. In un anno sicuramente difficile, il sistema vinicolo italiano ha guadagnato, comunque, due importanti primati: quello produttivo e quello delle esportazioni in volume. Nel primo caso i 49 milioni di ettolitri che risultano dalle dichiarazioni di produzione, confermano una leadership mondiale ormai consolidata da anni, mentre sul fronte dell’export, l’Italia ha in qualche modo minimizzato le perdite riuscendo, con i 20,8 milioni di ettolitri (-2,4%), a ristabilirsi al primo posto nella graduatoria mondiale, superando la Spagna.
Italia meglio di Francia e Spagna
Con 6,3 miliardi di introiti, e una performance negativa dopo anni di crescita (-2,3%), l’Italia del vino ha, comunque, fatto meglio dei suoi principali competitor: Francia e Spagna, entrambe penalizzate, oltre che dalla pandemia, anche dai dazi statunitensi, che hanno chiuso l’anno rispettivamente a -10,8% (a 8,7 miliardi di euro) e a -3,2%.
La flessione degli scambi, tuttavia, non può essere immediatamente tradotta in una riduzione dei consumi complessivi, in quanto va tenuta in debita considerazione anche la dinamica delle scorte preesistenti. Di fatto, alcuni Paesi produttori quali l’Italia hanno visto crescere la domanda interna, così come gli Usa.
Per l’Italia, la domanda interna del 2020 è stata trainata dai consumi entro le mura domestiche; mentre l’Horeca ha subito un vero e proprio tracollo. A livello di volumi consumati si stima un incremento di circa il 7% (dato da bilancio calcolato per campagna) che, però, si è tradotto in una riduzione della spesa complessiva: il lockdown prima e le limitazioni poi hanno tenuto i consumatori lontani dai ristoranti e questo ha cambiato il paniere degli acquisti; i vini più penalizzati sono stati quelli di fascia alta, mentre hanno tenuto molto bene gli altri che hanno beneficiato di una maggiore domanda presso la Gdo (Grande Distribuzione Organizzata), ma non solo. L’emergenza sanitaria, infatti, ha impresso anche una forte accelerazione nella digitalizzazione del settore vinicolo, tramite un più diffuso ricorso all’e-commerce e a nuove modalità di vendita e interazione con il cliente finale che hanno riguardato anche l’innovazione di forme di vendita che si possono definire tradizionali, come la vendita diretta.
Mai come nel 2020 si è mostrata la vulnerabilità delle aziende monocanale: chi aveva come cliente solo l’Horeca si è trovato in forte difficoltà, non sono per la flessione della domanda, ma anche per i ritardi nei pagamenti della merce già venduta, con conseguenti problemi di liquidità soprattutto per le imprese meno strutturate. Difficile, quindi, stimare l’impatto di una realtà così composita sul fatturato finale del settore che sconta anche la drastica riduzione dei flussi legati all’enoturismo.
Il vino italiano nel suo complesso, tenendo anche conto del resto dell’economia e dell’agroalimentare in particolare, ha comunque evidenziato una certa capacità di reazione. E questo si evince anche dal generalizzato livello dei listini alla produzione che, nel 2020, secondo l’indice Ismea dei prezzi, segna una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente, risultato però di tendenze molto diverse tra i segmenti che compongono il settore. Da una parte si evidenzia la crescita dei vini da tavola (+10%) e dall’altra la flessione delle Dop (-5%). I vini bianchi, inoltre, hanno avuto performance migliori anche tra le Dop dove, in un contesto di generale flessione delle quotazioni, hanno contenuto i ribassi nell’ordine del -4%, rispetto al -6% del segmento dei rossi.
Il primo trimestre del 2021
Secondo i dati Ismea e Unione italiana vini (Uiv), che hanno elaborato i dati Istat relativi alle esportazioni di vino, nel primo trimestre dell’anno il saldo cumulato è negativo del 4% a valore e dell’8,2% a volume, ma guardando i dati per singoli mesi la curva è in netto miglioramento: in volume, si è passati da -19% di gennaio a -11% di febbraio per arrivare a saldo zero a marzo, con i frizzanti e fermi imbottigliati in scia positiva, a +7%. Sul valore, tendenza ancora migliore, con il totale vino che nel singolo mese di marzo arriva a +12% dopo essere passato dal -21% di gennaio al -5% di febbraio. Spumanti che da -16% di inizio anno arrivano a +3% e imbottigliati fermi-frizzanti che da -23% risorgono a +16%.
Anche sui principali mercati di esportazione le tendenze sono per lo più simili: negli Stati Uniti, per esempio, la spumantistica archivia il cumulato trimestrale in positivo, con il Prosecco addirittura a +11% volume, mentre i vini fermi e frizzanti confezionati, pur chiudendo in passivo l’aggregato trimestrale (-7%), registrano un incoraggiante percorso in crescita, sia in volume che in valore: dal -44% di gennaio (dato peraltro spiegabile dalla forte richiesta degli importatori Usa un anno fa per i timori di un eventuale inserimento dell’Italia nel carosello tariffario) al +21% di marzo.
Il Retail e la domanda interna
L’impatto dell’emergenza sanitaria ha avuto diversa intensità sulla spesa riferita ai comparti favorendo quelli il cui consumo era generalmente nel “fuori casa”. Il blocco pressoché totale del canale Horeca e con esso l’azzeramento dei flussi turistici, ha colpito trasversalmente e duramente tutti i comparti produttivi con particolare riguardo a quelle filiere le cui vendite erano sostanzialmente orientate a questo canale, il vino è tra i comparti più toccati, con un contestuale travaso dei consumi da “fuori casa” a “in casa”.
Il protrarsi del periodo di lockdown ha restituito la fotografia di un settore che procede a due velocità: da una parte le aziende con rapporti con la Gdo, italiana ed estera, hanno proseguito le attività e le vendite in maniera pressoché normale o, addirittura dovendo far fronte alla crescita della domanda, dall’altra le aziende che hanno come canale di destinazione prevalente l’Horeca hanno visto ridursi drasticamente ordini e pagamenti.
Il comparto dei vini (compresi gli spumanti) pesa per il 3,4% sulla spesa domestica annua delle famiglie. La spesa per vini e spumanti, se si considerano tutti i canali distributivi, è cresciuta nel 2020 del 8,1%, (del 7,3% se si considera la sola Distribuzione moderna: Iper, Super, Liberi servizi e Discount). Nel 2020 sono stati spesi oltre 2,35 miliardi di euro per acquisto vini fermi presso retailer Gdo (+8,3% vs 2019 pari a +180 milioni di euro).
Il 55% dei volumi di vino venduti alla Gdo sono Doc, Doc o Igt (24% Igt e 31% Doc e Docg), questi in valore rappresentano il 63% degli introiti. Il restante 34% dei volumi di vino fermo esitati è vino da tavola che incide solo per il 16% sugli introiti totali. A trainare la spesa nel 2020 sono stati i vini Dop e Igp (+8,4%), mentre le vendite dei vini comuni sono cresciute solo del 2,8%.
I vini fermi si sono giovati sin dall’inizio del periodo di emergenza di un incremento dei consumi tra le mura domestiche, la chiusura dei canali Horeca e il maggior numero di pasti consumati in casa hanno spinto gli acquisti, fino a farli arrivare, ad inizio aprile, a segnare incrementi del 29% in volume. In estate, la riapertura della ristorazione, ha riportato di nuovo sui livelli normali le vendite di vino, che tra luglio e agosto sono anzi finite in terreno negativo (-2%) rispetto agli analoghi mesi del 2019.
A ottobre le nuove misure restrittive hanno costretto di nuovo a consumare i pasti serali nelle mura domestiche, pertanto hanno ripreso quota le vendite di vino presso i canali Retail (+7%). Queste – seppur con meno enfasi della prima ondata – hanno registrato anche nella parte finale dell’anno incrementi interessanti (novembre-dicembre+8%).