Enrico Letta è onesto con il lettore, il suo “Anima e cacciavite, per ricostruire l’Italia” (edizioni Solferino) non era pensato per il lancio del segretario del Pd. Lo tradisce la partenza del libro: la preoccupazione sul futuro dei giovani italiani. Perché tutti a parole dicono di volersi occupare del futuro , trovatelo un politico che non lo dica. Ma pochi mettono futuro e giovani in legame stretto.
Perché alla fine l’Italia è un paese di vecchi, e “politicamente” con i loro problemi bisogna farci i conti. Ed è più facile impegnarlo il futuro.
Insomma, parlare di giovani non è politicamente appagante. Invece Letta ne è convinto. Lo si capisce quando si passa a leggere dell’inverno demografico italiano. Lo si capisce quando propone una tassa di successione che finisca ai giovani. La sua proposta è chiara: scommettere sui giovani. Nel suo libro, appunto, non c’è soltanto il proposito, ma anche la concretezza degli obiettivi.
Difficile capire se questo libro lo aiuterà a fare il duro mestiere del segretario di partito. Di un partito che se non è alla guida delle amministrazioni non è presente.
Una cosa è certa, nel libro esprime analisi e convincimenti profondi che possono mutare solo con il mutare del corso delle cose. Difficilmente cambiano – con la bevuta di una spremuta – come nel libro racconta essere stato per altri.
Una cosa è certa la cifra dell’uomo: se è utile c’è, altrimenti si fa da parte. Non è poco. A ben vedere Enrico Letta con il suo libro una cosa la rende chiara: se la frontiera contro il deperimento dell’Italia, per cambiare una democrazia malata, è l’Europa… se la frontiera è il multilateralismo e la cooperazione internazionale… L’uomo, il professore, il politico ha da dire e fare più di una cosa.
Vedremo se la metafora dell’anima e del cacciavite attecchirà. Per riuscirci, Letta, dovrà imporsi più di una sfida.