Vaccinazioni, quando una scusa si preferisce a una spiegazione

Vaccini per tutti non ci sono. Almeno non ora, e comunque non per tutti insieme.

Gli obiettivi del Governo per vaccinare, pur se dimostrano lo spirito di volontà, non possono ancora trasformarsi in una gara effettiva di emulazione fra le Regioni. Cinquecentomila vaccini al giorno si possono anche fare. Ma tre milioni e mezzo di dosi disponibili alla settimana ancora non ci sono. Non bisogna essere dei matematici per capirlo.

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Il tema è stato, e resta, la scelta delle priorità di chi vaccinare. Cosa e chi si privilegia? Una volta vaccinati i medici, su cui nessuno ha fatto questione, a chi tocca? A quelli più a rischio dal punto di vista della trasmissione del virus? Oppure a quelli più a rischio di malattia e quindi destinati a “intasare” strutture ospedaliere e, ahi noi, gli obitori? Tutto qui il confronto.

La decisione del Governo è chiara. Si procede per fasce d’età, dal più anziano al più giovane. Ma la discussione rimarrà.

Sicuramente esposti sono quelli che svolgono un’attività e devono muoversi all’esterno per assicurare servizi più o meno essenziali; che sicuramente compiono prestazioni che saranno decisive quando ci sarà il momento della ripartenza. Meno esposti sono quelli che possono stare a casa e che, non accettando ospiti, hanno trovato il modo di convivere con la pandemia. Essi rappresentano le generazioni che hanno contribuito a fare la storia del nostro Paese.

Chi preferire? Forse è brutto dirlo così, forse è persino banale. Giovani contro anziani. E, stringi stringi, senza chiari scuri, senza zone grigie che pur ci sono, potrebbero proporsi punti di vista ulteriori.

Attenzione, è facile vedere gli egoismi di casta o generazionali e denunciarli come tali. Più difficile vedere quella vasta umanità rappresentata ad esempio dai nonni che si sono chiesti perché non si dovrebbe dare la priorità ai nipoti.

La verità è che la politica si è trovata a scegliere, ancora una volta, in conseguenza delle ristrettezze, delle priorità in cui scienza e etica aiutano, ma non troppo e dove, alla fine, pesano elementi che riguardano l’organizzazione della sanità, in particolare ospedaliera.

Le ristrettezze e conseguentemente la selezione di priorità, a ben vedere è sempre la madre di tutto. Non abbiamo i vaccini perché la struttura produttiva industriale farmaceutica considerava i vaccini un  investimento non remunerativo. Non avevamo una sanità territoriale capace di gestire il tracciamento del virus e assicurare le cure necessarie fuori dall’ospedale perché troppo costosa. I posti letto nei reparti di terapia intensiva non sono sufficienti rispetto al bisogno perché probabilmente calcolati con coefficienti costi-benefici volti al risparmio.

Tanto è vero che molte delle cose positive che sono avvenute sono state catalogate come atti di eroismo e non come la risposta normale. Si, la discussione si dovrebbe aprire sulla gestione sanitaria e le scelte politiche degli anni precedenti. Discussione tutta da fare. A ben vedere neppure iniziata. O, se è iniziata, è iniziata proprio male.

Come quella se avevamo o meno un piano anti pandemico aggiornato? Ma non è surreale? Non basta la evidenza dei fatti? Se c’era è servito a ben poco.

Basterebbe un semplice scusateci! La Merkel lo ha fatto in Germania. Con la realtà che ha superato l’immaginazione, probabilmente sarebbe l’esternazione pubblica meno ridicola di tante argomentate giustificazioni. Pretenderle di averle finirà per dare argomenti a satira e ai comici.

Torna alla mente il vecchio adagio napoletano: “l’acqua è poca, ossia scarseggia e la papera non galleggia”.

Almeno riesce a far sprigionare ancora un sorriso… un po’ rassegnato ma pur sempre un sorriso.

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