Cosa va e cosa no fra Next Generation Eu e Pnrr

Riceviamo e pubblichiamo da Eleonora D. Fiorelli e Christian Dominici Spa questo articolo che costituisce un’anticipazione del numero del 9 settembre della rivista Leasing Magazine (https://www.leasingmagazine.it/rivista.html).

L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation EU (NGEU), noto in Italia come Recovery Fund o Recovery Plan. Si tratta di un maxi piano da 750 miliardi di euro, che prevede investimenti e riforme per costruire un’Europa ecologica e digitale, più equa dal punto di vista di genere, territori e generazioni, con lavoratrici e lavoratori formati e altamente qualificati.

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L’Italia, ha avuto accesso alla quota più alta in valore assoluto, dei due principali strumenti del NGEU:

  • il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF);
  • il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU).

Nel 2020, la crisi sanitaria da Covid-19 è stata più severa in Italia che con altri Paesi europei, i quasi 120.000 decessi dovuti alla pandemia rendono l’Italia il Paese che ha subito la maggior perdita di vite nell’UE, inoltre, il nostro è stato il primo Paese dell’UE a dover imporre un lockdown generalizzato, provocando una riduzione del prodotto interno lordo dell’8,9%, a fronte di una media europea del -6,2%.

Il PNRR proposto dal Governo parte descrivendo una situazione non felice. La crisi si è abbattuta su un Paese già in grave difficoltà economica, sociale ed ambientale, tra il 1999 e il 2019 il PIL in Italia è cresciuto in totale soltanto del 7,9%, contro il 30,2% in Germania, 32,4% in Francia e 43,6% nel medesimo periodo.

Uno dei maggiori ostacoli che non permette all’Italia di mantenere il ritmo con gli altri Paesi europei e di correggere i suoi squilibri interni è soprattutto la bassa produttività; dal 1999 al 2019, il PIL per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2%, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3%.

Questi dati evidenziano che non solo paghiamo tanto il lavoro, avendo alti costi contributivi, ma lavoriamo anche con un parco macchine industriali che in questi anni è diventato particolarmente obsoleto, ed ha toccato proprio quest’anno il record di obsolescenza con la vita media del parco macchine industriale attivo che è superiore ai 12 anni.

Un ulteriore elemento che risulta limitante per il potenziale di crescita dell’Italia è la relativa lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali. Negli ultimi anni ci sono stati dei miglioramenti, ma, a titolo esemplificativo e non esaustivo, in media sono necessari oltre 500 giorni per concludere un procedimento civile in primo grado o, ancora, le barriere di accesso al mercato restano elevate in diversi settori (si pensi alle professioni regolamentate che, comunque, dato di questi giorni stanno perdendo molto appeal sui giovani laureati in considerazione dell’elevato numero di professionisti iscritti, dei lunghi tempi richiesti ad un giovane iscritto agli Albi professionali per poter produrre reddito in proprio e, innegabilmente, della riduzione continua del numero delle piccole e medie imprese del nostro Paese e quindi del numero dei potenziali clienti).

L’Italia inoltre è il Paese dell’UE con il più alto tasso di NEET, ossia ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione. Solo il 53,8% delle donne partecipa al mercato del lavoro, contro il 67,3% della media europea. Ricordiamo inoltre l’annoso capitolo del Mezzogiorno che, anche in questo caso, mostra un gap notevole rispetto al Nord e un processo di convergenza ormai fermo. Tutto questo ha un impatto negativo sugli investimenti e sulla produttività.

Quali sono a nostro modesto avviso i punti di forza del piano? Il maggior punto di forza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è la sua portata dimensionale inedita. Il solo RRF garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021- 2026; di questi, 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto, gli altri 122,6 miliardi andranno ad aumentare il debito pubblico.

L’Italia potrà sfruttare pienamente la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della RRF che per il nostro Paese sono stimati in 122,6 miliardi di euro.

L’ambizione del piano è di rilevanza storica, il Next Generation EU si presenta come un programma non solo di ripresa, ma anche di trasformazione per l’intera Unione Europea.

Le Missioni del Piano, in piena coerenza con i sei pilastri del NGEU, sono:

  • digitalizzazione;
  • innovazione;
  • competitività;
  • cultura e turismo;
  • rivoluzione verde e transizione ecologica;
  • infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  • istruzione e ricerca;
  • inclusione e coesione;
  • salute.

Quali potrebbero essere i punti deboli del piano? Il NGEU rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme disegnate per superare l’impatto economico e sociale della pandemia e intervenire sui nodi strutturali del nostro Paese, ma ci sono alcune problematiche a cui bisognerà destinare particolare attenzione.

Il Piano è a breve termine. Nel 2026 è previsto che si inizino a restituire i fondi, l’Italia fra bandi di gara e vincoli burocratici, rischia di arrivare al termine temporale previsto avendo sì allocato le risorse, ma avendo fatto ben poco a livello concreto di ciò che si prevede nel piano (si pensi ad esempio ai tempi che sono effettivamente richiesti per l’ammodernamento della rete ferroviaria, per il rinnovamento della Pubblica Amministrazione e della Giustizia, ed anche per la digitalizzazione e l’ammodernamento del nostro sistema amministrativo statale e bancario tradizionale).

Sono dunque fondamentali e urgenti le riforme di contesto che accompagnano le linee di intervento del Piano. Il PNRR inoltre è un piano generale e non di specifica politica industriale, le missioni del piano non definiscono un itinerario preciso e ben marcato per il nostro Paese:

  • che cosa vuole essere l’Italia?
  • Vogliamo essere un Paese di turismo, di impresa, di fiere, di fintech o di innovazione?
  • In quali settori strategici vogliamo investire?
  • Vogliamo essere un Paese industriale, fintech, un Paese che punta sul turismo?

Secondo il PNNR nella migliore delle ipotesi, nel 2026 l’occupazione sarà più alta di 3,2 punti percentuali e il PIL risulterà più alto di 3,6 punti percentuali, rispetto all’andamento tendenziale senza Piano.

I settori che beneficeranno di più dei fondi messi a disposizione sono le costruzioni e le attività immobiliari. Pur riconoscendo la centralità di tale settore, puntare oggi ad un programma in cui la parte del leone è assegnata alla ristrutturazione degli immobili civili, è quanto meno limitante.

Il patrimonio immobiliare degli italiani va senza dubbio tutelato, ma il Piano dovrebbe puntare in modo più concreto a nuove imprese e nuove tecnologie. Solo in questo modo la digitalizzazione e l’innovazione potranno diventare trainanti a livello strategico per il nostro Paese.

In questo momento i grandi players mondiali, Amazon, Google, eccetera… di fatto non usano infrastrutture fisiche (o meglio utilizzano pressoché gratuitamente le infrastrutture fisiche e di logistica che i singoli Paesi hanno faticosamente e con tanto debito proprio costruito, mentre loro producono utili semplicemente con processi ed informazioni).

Le infrastrutture fisiche sono quindi importanti e fondamentali, ma anche l’Italia deve imparare a costruire colossi informatici che vendano piattaforme ed informazioni, piuttosto che ristrutturare immobili, o costruire strade e ponti (che vanno comunque costruiti), ma che poi i players mondiali utilizzano senza pagare un prezzo a fronte dei nostri sforzi e del nostro indebitamento.

Mi sembra che in questo momento si scontrino due mondi:

  • il mondo che è “proprietario della produzione mondiale”: Cina ed altri Paesi asiatici che iniziano a presentare al mondo il costo dei loro sforzi industriali imponendo inflazione e prezzi più elevati di fornitura a tutti;
  • il mondo degli Stati Uniti e quindi delle piattaforme di dati ed informazioni che utilizza pressoché gratuitamente le nostre infrastrutture fisiche, che ha ormai monopolizzato il mercato della pubblicità dei prodotti a livello mondiale e che, parimenti, sta innalzando i prezzi dei propri servizi di marketing che ormai sono necessari a tutte le imprese produttrici, comprese le piccole e medie imprese del nostro Paese.

Di fronte a questi scenari le possibilità del nostro Paese sono sicuramente legate ai seguenti punti chiave:

  • Turismo e territorio: siamo sicuramente il Paese più bello del mondo e dobbiamo utilizzare questa nostra peculiarità, lo dobbiamo fare con una logica di sistema sia a livello di piattaforme informatiche di prenotazione (chi prenota un hotel in Italia deve prenotare tramite una nostra piattaforma mondiale, e non tramite una piattaforma che lascia utili all’estero), sia tramite un sistema di impresa – il sistema dei singoli hotel o delle catene di dieci hotel non funziona, gli investimenti ormai necessari per avere un turismo internazionale sono troppo rilevanti, l’asticella della qualità dell’accoglienza è salita tanto in tutti i Paesi del mondo ed occorre adeguarsi con investimenti mai previsti in passato;
  • Sistema delle imprese industriali: i nostri prodotti costano sicuramente molto cari, devono quindi essere i migliori del mondo per qualità e per caratteristiche progettuali, il made in Italy deve essere vero made in Italy, solo in questo modo il cliente finale pagherà il giusto prezzo, ed anche molto di più del giusto prezzo;
  • Sistema tecnologico e digital: creare veri poli di sviluppo delle nuove tecnologie e del fintech che siano monitorabili, valutabili e finanziabili dal nostro sistema bancario;
  • Sistema delle Banche: disegnare di nuovo un sistema bancario vicino al territorio, che affidi le imprese anche nei momenti più difficili, il momento del loro avvio – nessuna banca fa veramente finanziamento delle start up nel nostro Paese – ed il momento della crisi e del turnaround dell’impresa – anche in questo caso il ruolo della Banca del territorio può essere fondamentale – ancora una volta inutile lasciare alle piattaforme straniere gli utili delle (a volte) molto redditizie operazioni di ristrutturazione e di turnaround aziendale.

Non sarà un cammino facile, il nostro è un Paese piccolo e con pochi spazi fisici (che sono comunque necessari sia per il turismo, sia per l’impresa), siamo però stati capaci di costruire tante eccellenze mondiali, possiamo quindi essere il Paese delle Eccellenze, il Paese che impone al mondo uno standard di qualità non elevato, ma semplicemente irraggiungibile per gli altri.

Solo in questo modo, diventeremo non soltanto un Paese leader economicamente, ma soprattutto, ed è quello che più conta davvero, il Paese in cui i nostri giovani avranno voglia di laurearsi e di formarsi, ma anche e soprattutto di continuare a vivere, di formare una famiglia e di continuare a lavorare nel nostro Paese.

Christian Dominici

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