La mia Australia attraversata per dritto

Prima puntata del viaggio più recente di Luca Gentili offerto in anteprima a SienaPost

Come promesso oggi si avvia un mini-racconto speciale di Luca Gentili per la rubrica “Andata e Ritorno”. Che poi è una cosa davvero speciale perché scritto espressamente per SienaPost. Da Melbourne, capitale dello Stato di Victoria a Darwin, capoluogo dei territori del Nord (via Adelaide); di sicuro più di 4200 chilometri di “Giroingiro”, attraverso l’outback australiano, attraverso deserti e jungle. Non è il viaggio più eccezionale fra quelli di Luca, tutti però “eccessivi”. Presto la versione “maxi” di questa storia genererà un nuovo libro e sicuramente molto più materiale sarà reperibile sul suo blog (dr).

“Il tempo del sogno”

Ho atteso qualche giorno prima di tirare le conclusioni di questo viaggio. Le emozioni si dovevano sedimentare, la polvere della meraviglia calare per rendere il giudizio più sincero. Come raramente ho fatto in altri viaggi, ansioso sempre di partire, di buttarmi sulla strada, qui ho deciso di fermarmi un giorno intero a Melbourne oltre a quello dell’arrivo. Volevo assaporare la città e non mi sono pentito.

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Premetto che in queste conclusioni racconterò solo delle sensazioni provate, quello che ho visto, in uno spazio temporale purtroppo troppo breve, non sufficiente per dare un giudizio su questa complessa società. Cercherò di fare affiorare solo il lascito, il piacere o il turbamento, saranno carotaggi puntuali di vita di quello che ho percepito attraversando questo immenso paese.

Lo Yarra River Park – Melbourne

Come base di partenza ho scelto un albergo sullo Yarra River, a poche centinaia di metri dal Parco che porta lo stesso nome, il Fiume delle Nebbie, proprio di fronte ai grandi grattacieli che rendono inconfondibile lo skyline della città. Ho un mio modo per prendere confidenza con un ambito urbano ed è quello di camminare semplicemente per strada, confondermi tra la gente per osservarla e qui, come dice il mio amico Fabio, la gente è veramente “bella”, non perché finemente vestita, ma perché apparentemente libera di mostrarsi per come è, scintillante di folle energia.

Della città, delle sue strade vi dirò solo che sono semplicemente perfette. Volutamente non mi sono recato in un museo né sono salito sulla cima di un grattacielo, ho voluto vivere ogni emozione dal basso camminando per ore e, come un cane che annusa l’aria, trovare percorsi “olfattivi” che solo l’istinto può comprendere, muovendomi del tutto casualmente lungo la sponda del fiume, per percorrere le interconnessioni, la multi modalità con cui un elemento naturale è stato integrato con la frenetica vita di una grande città.

Mi sono accasciato dopo ore di vagare nel grande orto botanico che è proprio al centro della città e devo dire che l’insieme delle cose viste era percettivamente perfetto, l’uso dei docks, dei piccoli e grandi spazi verdi, l’integrazione con gli impianti sportivi e le aree residenziali risultavano frutto di una maniacale, accurata attenzione progettuale ai dettagli. Tutto è apparso a misura d’uomo forse, per lasciare un graffito che sporchi gli splendidi muri, solo per una affermata società, ma questo non lo posso dire con certezza.

Apollo Bay

Per descrivervi questo giorno comincio dalla fine. In questo pezzo di paese siamo meteorologicamente in autunno e cosa c’è di più struggente, in una sera dall’aria ancora tiepida, se non quello di camminare lungo la duna, in mezzo ad una profumata macchia che sinuosa la ricopre, attraversarla e dopo uno stretto sentiero sabbioso, uscire dalla penombra e trovare il tramonto che bacia un lunghissimo arenile dove si arrotolano le onde? Ricordo di aver avuto uno sguardo stupito, forse ancora di più delle decine di pappagalli bianchi dalla cresta gialla che mi osservavano severi per capire le mie mosse di intruso.

Great Ocean Road

Ho iniziato il giorno precedente a percorrerla e come ogni mito che si rispetti la Great Ocean Road ha cercato di ammaliarmi con la sua bellezza. Io sono un motociclista e trovo sensuale, forse fin erotico, accarezzare curve rotonde, qui sono adagiate in uno scenario da film, dove dopo ogni tornante mi affacciavo su un delta di un piccolo torrente o su un faro sperduto testimone di una giovane storia oppure su torri di roccia che sbucano dal mare e archi di pietra modellati dal vento e dal battere delle onde.

Gli splendidi faraglioni che sbucano dall’oceano li hanno chiamati i Dodici Apostoli, non so perché, ma a me sembra adeguato alla solennità del luogo. Cape Otway mi ha fatto capire la difficoltà di vivere in queste latitudini con le decine di cartelli che avvisano di prestare molta attenzione ai serpenti velenosi!

Ma non ho avuto esitazione nell’attraversare un tratto di foresta pluviale, per camminare ammaliato sotto gli ombrelli di splendide felci che disegnavano giochi di luce e delicate ombre sul sentiero, all’uscita un cartello elencava tutte le biodiversità presenti e vi assicuro che la lista era infinita, tra cui veniva annoverata anche una grossa lumaca carnivora che già sentivo strisciarmi lungo la schiena.

Le Grampians

Cosa raccontare di un parco che eleva la sua costa sopra un’infinita pianura? Ovviamente l’inaspettato incontro con il primo canguro della mia vita. Il cartello diceva di prestare attenzione agli animali, ma era uguale alle decine incontrati precedentemente, giallo con l’inconfondibile sagoma.

Al mattino avevo deciso di prendere la Northern Grampians Road, una strada praticamente abbandonata, di servizio alla sterminata campagna, fuori terreni brulli di cui non si vedeva la fine che parevano in attesa di una goccia d’acqua che potesse alleviare la loro sete. Il percorso viceversa era sapientemente ombreggiato da secolari eucalipti dai tronchi color perla macchiati con delicate squame brune, con le foglie pendule che li fanno sembrare malinconici.

In giro, nonostante la Pasqua, non c’è nessuno, poi sul limitare della foresta l’inconfondibile figura. Stava in piedi appoggiato sulle gambe posteriori, il muso teso ad annusare l’aria, lo sguardo fisso nella mia direzione, poi il sorprendente balzo che lo fa volare da una parte all’altra della carreggiata. Che spettacolare procedere, che eleganza.

Mi sono fermato ricordandomi delle raccomandazioni fattemi dal meccanico che ci ha preparato le moto: attenzione, la grossa coda su cui si appoggiano gli impedisce di andare indietro, pertanto quando li vedi, sosta o giragli alle spalle. Cosa vi devo dire delle Grampians? Solo che cascate e sentieri valgono ogni minuto che vi trascorrerete.

Robe House

Quando ho preparato la tappa e fatto la prenotazione per l’alloggio, l’ho scelto dalla foto solo perché mi è apparso un piacevole cottage in stile vittoriano. Un vecchio muro di pietra sorregge un tetto di lamiera che dolcemente si curva sul finire della gronda a coprire il loggiato. Aveva qualcosa di splendidamente vissuto.

Arrivato di fronte all’ingresso, sull’altro lato della strada, un prato e una piccola chiesa, posta lì come baluardo di preghiere per rabbonire il mare. Il piccolo edificio era incorniciato da due cipressi, poi la costa a picco che cadeva nell’oceano. Ecco, senza saperlo, la targa all’ingresso annunciava che avrei alloggiato nella casa più antica di Robe. Splendidamente restaurata, vanitosa mostrava la sua storia. Robe è un piccolissimo porto famoso un tempo come approdo durante la corsa all’oro.

La sera ad Adelaide

In Australia ho visitato tre grandi città e in questa viene voglia di mettere un nido. Premetto che non sono preparato alla densità delle metropoli, amo gli spazi aperti. Ma il progetto di questo capoluogo è un gioco di simmetrie, grandi strade fatte per un traffico che non esiste, viali e controviali che fanno apparire lontane le sponde delimitate da scintillanti edifici.

L’impianto della città ha poco più di duecento anni ed è nato così dall’origine, i “vecchi” edifici sono esclusivamente in stile gotico o vittoriano perfettamente incastonati tra i moderni grattacieli.

Ecco proprio qui penso di aver preso una decisione, vista la molteplicità di razze incontrate per strada, vista la povertà della cucina locale, cercherò di mangiare solo etnico e questo me lo dicevo mentre mi imbucavo in un ristorante vietnamita ritrovando il piacevole phó, il naan imburrato e i vaporosi momo ristoro dei viaggi in oriente.

Ikara-Flinders Ranges National Park

Quel giorno ho percorso quasi ottocento chilometri per trovarmi disperso in un remoto parco, l’Ikara; alloggiavo al Wilpena Pound, una struttura isolata in mezzo ai boschi completamente autosufficiente sia energeticamente che per l’approvvigionamento idrico, gestita in collaborazione con gli aborigeni. Il piccolo bungalow che ho affittato è abbastanza confortevole, quello che non ti aspetti è di cenare con un canguro che a fianco bruca l’erba dell’aiuola.

Qui ho percorso splendide sterrate, passeggiato in mezzo ai wallaby dalla coda a strisce, sembravano usciti da un circo con uno strano costume da pagliaccio. Sul sentiero, nel fitto del bosco, ho conosciuto l’echidna bruno col passo dondolante e i gialli aculei, il muso perennemente piantato tra le foglie in cerca di insetti se ne andava sicuro per la macchia come se noi non esistessimo.

In una prateria, dai dorati fili d’erba, ho visto la prima aquila che volandomi a fianco sembrava scrutarmi, prendere le misure. Quanto spavento i grossi emù, abili corridori senza cervello, te li trovavi dietro ad ogni curva, ti puntavano diretti e tentavano di attraversare qualunque fosse la distanza che li separava da te.

(1 – continua)

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