Le ragioni della missione Aspides

Gianni Cuperlo, da facebook del 7 marzo 2024

Qualche giorno fa alla Camera abbiamo votato il via libera alla missione Aspides.

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Alcuni tra voi hanno commentato negativamente la nostra decisione marcando l’ennesima scelta “guerrafondaia” del Pd (del Movimento 5 Stelle risponderanno loro).

Siccome da anni mi ostino a considerare questo spazio un luogo di confronto libero e partecipato, e poiché (come credo avete compreso) non soprassiedo sulle critiche che leggo, ma cerco di capire quale fondamento abbiano, vorrei provare a spiegare (anche avvalendomi di un prezioso Longform curato da Lucio Caracciolo su Repubblica) il senso di quel nostro voto.

Premessa dovuta: di cosa si parla?

La missione Aspides prevede una attività di scorta militare per le navi mercantili che transitano dal Golfo Persico, Golfo di Aden, Golfo di Oman e Mar Rosso.Scorta resa necessaria dopo i ripetuti attacchi con droni e missili da parte delle forze Houti dello Yemen.

La missione secondo quanto detto nell’Aula della Camera dal ministro degli Esteri avrà carattere difensivo (cioè finalizzato unicamente a contrastare eventuali attacchi e proteggere la libertà di navigazione e trasporto in quelle acque).

Ma perché la questione ha l’importanza che le viene riconosciuta? E perché ha un rilievo particolare per il nostro paese?

Qui entriamo nel merito della faccenda.

Con i nostri ottomila chilometri di costa (tutti esposti al Mare Nostrum) siamo il paese dell’Europa che più deve contare sul contributo di quel Mediterraneo che è parte fondante della nostra civiltà.

Da quel mare importiamo le materie prime che non possediamo ed esportiamo le merci “che sostengono la nostra economia”.

Come spiega Caracciolo, “la penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse“.

Il nostro problema (o dramma) è che tre continenti (Europa, Africa, Asia) affacciati sullo stesso mare sono catturati oggi da una serie di conflitti potenzialmente devastanti.

Uno di questi è appunto quello aperto dagli Houti (fazione armata dell’Arabia meridionale legata all’Iran).

La motivazione (ma più logico definirlo il pretesto poiché, come noto, quei paesi non hanno mai veramente voluto concorrere alla causa legittima del popolo palestinese per uno Stato sovrano), dicevo, la motivazione dei loro attacchi è la difesa dei palestinesi massacrati dal governo israeliano a Gaza.

Lo fanno colpendo “selettivamente le navi che via stretto di Bab al-Mandab puntano verso Suez”.

Nota a margine (ma neanche tanto): l’impatto della vicenda per la nostra economia potrebbe essere enorme.

“Dal Mar Rosso passano due terzi delle nostre importazioni e un terzo delle esportazioni per circa 150 miliardi di euro l’anno”.

Se viene chiuso quello sbocco all’oceano, “si torna al periplo dell’Africa via Capo di Buona Speranza: otto giorni di navigazione in più per chi va e viene fra Italia ed Estremo Oriente“.

Insomma, rimanere quasi isolati nel Mediterraneo significa rimanere privi di accesso diretto all’Oceano mondo”, lasciando di conseguenza le chiavi del “fu mare nostrum” nelle mani di altri.

E qui, Caracciolo ci aiuta moltissimo ripercorrendo qualche trama del lontano passato.Ci ricorda come già la Roma antica, una volta conquistato l’Egitto e stabilito uno scalo presso la Suez odierna, lo ritenesse base per il commercio di seta e spezie con l’India.

Rispetto ad allora, la novità di adesso è che lo storico Mediterraneo è venuto assumendo una funzione precisa su scala globale divenendo il canale tra l’Atlantico (l’oceano “canonico della nostra alleanza”) è l’indo-Pacifico, (“teatro della competizione sino-americana per il primato planetario”).

In altre parole, il nostro mare che rappresenta solo l’1 per cento dell’Oceano Mondo vede però passare oltre un quarto del commercio internazionale e tre quarti dell’energia diretta in Europa, oltre agli snodi strategici dei cavi sottomarini della Rete, gasdotti e oleodotti.

Anche in questo caso la storia va raccontata con uno sguardo lungo, se preferite, retrospettivo.

L’inizio è nel 1869 quando si inaugura il Canale di Suez: un’opera già sognata dai veneziani nel Cinquecento e “realizzata anche grazie all’iniziativa del triestino Pasquale Revoltella” (a casa mia, se ci andate, non mancate di fare una puntata al museo che gli è intitolato o, in alternativa, una passeggiata nel parco pubblico della villa dirimpetto al Ferdinandeo).

Ma divago, come al solito.

Allora, con quel varco il nostro mare si apriva all’Oceano Indiano con tutte le conseguenze del caso.Era una “formidabile opportunità di sviluppo dei traffici e delle comunicazioni “con il nostro paese collocato a quel punto “al cuore di un sistema oceanico globale che verteva per noi sulla rotta Gibilterra-Stretto di Sicilia-Suez-Bab al-Mandab, e da qui verso i mercati dell’Estremo Oriente”.

Nel corso del tempo (di moltissimo tempo) il contesto storico è cambiato e nella seconda metà del secolo che ci siamo lasciati alle spalle l’Italia è divenuta l’unica grande nazione dell’Europa membro dell’Alleanza Atlantica a non affacciare sull’Atlantico.

Ma questa era anche la ragione che aveva spinto Washington e Parigi a volerci coinvolgere dentro quella alleanza nell’idea che fossimo decisivi per evitare che Mosca prendesse (troppo) potere sullo scacchiere mediterraneo.Per convincersi di questo vale citare il memorandum (2 marzo 1949) con cui il Dipartimento di Stato convinse il presidente Truman ad ammetterci nel Patto di Washington: “Nel caso di guerra terrestre in Europa occidentale, l’Italia è strategicamente importante. Quanto alla guerra marittima, non c’è dubbio circa la sua potenzialità strategica per il controllo del Mediterraneo. È di grande importanza negare al nemico l’uso dell’Italia come base per il dominio marittimo e aereo del Mediterraneo”.

Leggi questa nota e capisci meglio anche perché le basi americane e atlantiche del nostro paese sono quasi sempre collocate vicino al mare, specialmente in Sicilia e nel nord-est.Siamo già andati lunghi e quindi cerchiamo di chiudere.

“L’incrocio tra la guerra in Ucraina, che verte anche sul controllo del Mar Nero, e il conflitto Israele-Hamas esteso a gran parte dell’oriente vicino, con i riflessi immediati su Medioceano orientale e Mar Rosso, rivela l’urgenza di una strategia marittima nazionale. Non retorica: pensiero applicato. La posta in gioco è vitale.

”La chiusa?“

Speriamo di non dover riconfermare un giorno il monito del cardinale di Richelieu (1585-1642): “Le lacrime dei nostri sovrani hanno il gusto salato del mare che vollero ignorare”.

Se torniamo però alla stretta attualità il dato politico più rilevante è che siamo alle prese con potenze intente a ricostruire un loro primato nella storia.

Russia e Cina rivaleggiano con l’America mentre la Turchia neottomana e islamista di Erdoğan “usa la Nato ma non intende essere usata”.

Se a tutto questo sommiamo il disimpegno americano dal fronte europeo e mediterraneo, ne consegue che il bel tempo (ammesso tale sia stato e non lo credo) in cui affidavamo il nostro destino alle decisioni di altri non esiste più.

E che siamo nel tempo dove si fa un dovere il cominciare a pensarci da noi, sempre che ne siamo capaci.Ecco perché quel voto (nella logica difensiva citata dall’inizio) si giustifica soltanto se accompagnato da una iniziativa corredata da visione strategica, politica e diplomatica che restituisca all’Italia quel margine di manovra e quella funzione sullo scacchiere internazionale incompatibile con i limiti evidenti di questo governo.

Ma qui entra in campo un’altra pagina decisiva del lavoro dell’opposizione e anche della capacità del mio partito di porsi alla testa di una nuova e complicata stagione.Agendo per fermare il massacro di Gaza e per aprire un sentiero di trattativa nel cuore dell’Europa centrale. Ci torneremo ancora, per adesso fermiamoci qui.

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